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10 febbraio – La Beata Cera ad Remin


10 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Dal Martirologio Romano alla data del 10 febbraio: “A Rimini, beata Chiara, vedova, che espiò con la penitenza, la mortificazione della carne e i digiuni la precedente vita dissoluta e, radunate delle compagne in un monastero, servì il Signore in spirito di umiltà.”

Chiara apparteneva a una delle famiglia più in vista del riminese, gli Agolanti originari di Firenze. “Le fonti più antiche della sua biografia – annota l’Enciclopedia Italiana Treccanisono due leggende, che concordano nel dirla di Rimini e nata da Chiarello di Pietro di Zacheo; sono incerti gli anni della nascita e della morte (per alcuni, 1262-1338). Le leggende ci narrano che negli anni giovanili fu donna di rara bellezza, ma di costumi corrotti, ebbe due mariti, entrambi premorti a lei, dovette fuggire dalla patria per le competizioni di parte, e si rifugiò a Urbino, iniziando poco dopo la sua penitenza, a 34 anni”.

Arma degli Agolanti

“Comincia allora una vita tutta di preghiere e umiliazioni: si dedica anche al soccorso dei miseri, e viene eletta badessa delle “Povere Sore” dette da lei di S. Chiara, seguendo, come pare, la regola di S. Benedetto. Pio VI approvò il culto e la festa della beata Chiara, per la diocesi e la città di Rimini, nel 1785. Il corpo di lei, dal monastero di S. Maria degli Angeli, fu poi trasportato nella chiesa di S. Francesco, il tempio Malatestiano”.

“La visione della Beata Chiara” nel dipinto di Giovanni da Rimini

Una delle leggende racconta che il padre e il fratello morirono lo stesso giorno, in guerra contro i Malatesta, così che tutte le ricchezze della famiglia Agolanti si accentrarono nelle mani della giovane vedova. A 34 anni sarebbe avvenuto un fatto insolito: mentre stava assistendo alla Messa in S. Maria in Trivio, la chiesa dei Frati Francescani e futuro Tempio Malatestiano, le parve di udire una voce misteriosa che le ordinò di dire un “Padre Nostro” e un’“Ave Maria”, almeno una volta con fervore e attenzione.

Stemma degli Agolanti (Archivio di Stato di Firenze)

Chiara obbedì al comando, non sapendo da dove proveniva, e poi cominciò a riflettere sulla sua vita. Prese la decisione di entrare nel Terzo Ordine di San Francesco, allo scopo di espiare i suoi peccati con una vita di penitenza. Ben presto divenne un modello di ogni virtù, ma soprattutto di carità verso i poveri e gli afflitti. Quando le Clarisse furono costrette a lasciare la città a causa della guerra, fu principalmente attraverso gli sforzi di Chiara che furono in grado di ottenere un convento e mezzi di sostentamento a Rimini.

Più tardi, Chiara entrò lei stessa nell’ordine delle Clarisse, insieme a diverse altre donne pie; ottenne la benedizione del vescovo di Rimini Guido Abasio e divenne superiora del convento di Nostra Signora degli Angeli di Rimini. Oggi il convento è scomparso; sorgeva sull’attuale piazzale Gramsci e forse alcuni cipressi sono l’ultimo segno della sua presenza.

Stemma degli Agolanti (Archivio di Stato di Firenze)

Chiara avrebbe operato numerosi miracoli e verso la fine della sua vita il Signore le avrebbe fatto dono di elevatissime grazie spirituali.

Il suo corpo riposa ora nella chiesa intitolata a Santa Maria, parrocchiale di Corpolò, dove era stato trasferito per proteggerla all’inizio della seconda guerra mondiale.

La chiesa di S. Maria a Corpolò

La chiesa di S. Maria a Corpolò

Le leggende che tramandano questi episodi sono due, entrambe scritte probabilmente a poca distanza dalla morte di Chiara e con testimoni ancora in vita; eppure con non poche contraddizioni fra loro. Non corrispondono nomi, date, parentele, mentre ambedue trovano scarsi riscontri nei documenti coevi ai fatti e presentano anche diverse inconguenze. Per esempio, gli Agolanti erano guelfi come i Malatesta e loro alleati (avranno l’onore di guarnire il loro stemma araldico della medesima “cornice dentile” che circondava quello dei signori di Rimini); quindi ben difficilmente avrebbero potuto morire in guerra contro di loro, come rifugiarsi nella ghibellina Urbino.

Lo stemma degli Agolanti sul muro esterno della sagrestia della chiesa dei Servi, sul Corso d’Augusto di Rimini

Tanto che Luigi Tonini (“Rimini nelle signora de’ Malatesti” 1880) arrivò ad arguire: “La famiglia adunque della Beata si manifesta diversa da quella degli Agolanti pei nomi, per gli stemmi, e per la fazione”. Lo storico riminese ritenne insomma che Chiara provenisse da un’ignota famiglia ghibellina, entrata in quella guelfa degli Agolanti per matrimonio; non era raro, specie in occasione di temporanee pacificazioni.

Oppure si trattava di tut’altro personaggio, entrato a far parte degli Agolanti per un equivoco. Spiega la pagina Facebook Storie di Rimini nel descrivere la cosiddetta Arca della Beata Chiara da Rimini: “Fu scolpita nel 1323 per ospitare le spoglie della nobile Anna Agolanti, figlia di Donosdeo del fu Giacomo Agolanti da Firenze. L’arca, in marmo rosso, lunga due metri e alta circa un metro, si trovava a Rimini nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, e reca nello zoccolo inferiore un’iscrizione in caratteri gotici che – sebbene il nome sia in parte abraso – chiarisce l’identità della defunta. Questa arca servì, fino alla fine del XVII secolo, da sepolcro per le spoglie della beata Chiara, e fu questo a far nascere l’equivoco secondo cui la santa appartenesse alla famiglia degli Agolanti”

La cosiddetta Arca della Beata Chiara

“In realtà, come scrisse il canonico Giuseppe Garampi che si occupò della vicenda, è probabile che qualche tempo dopo la morte della beata le monache, volendo onorare le sacre spoglie, abbiano scelto di deporle all’interno della nobile urna degli Agolanti, cancellando il nome della defunta perché non si credesse che l’iscrizione facesse riferimento alla Beata. Divenuto proprietà dei conti Baldini (nativi di Santarcangelo), il sacello fu ritenuto un’ottima soluzione per ospitare le spoglie del beato Simone Balacchi, quando queste nel 1817 ritornarono a Santarcangelo e venne costruita in Colleggiata una apposita cappella per custodirle. Fu in quell’occasione quindi che il sarcofago prese la via di Santarcangelo, e là si trova ancora oggi”.

Fosse come fosse, la devozione popolare intorno alla sua sepoltura si sviluppò spontaneamente e immediatamente dopo la morte. Ma solo nel 1782 il culto della beata Chiara fu approvato da Papa Pio VI, che fissò la sua festa nella città e diocesi di Rimini per il 10 febbraio.

Le reliquie della Beata Chiara a Corpolò

Il culto della Beata Cera contribuì senza dubbio a rafforzare in Rimini quello di S. Chiara d’Assisi la cui chiesa conventuale è da sempre meta della più fervida devozione popolare.

Senta Cera – spiega Gianni Quandamatteo – Santa Chiara, nome di una chiesa riminese, nell’omonimo vicolo, che va dall’Arco a via Garibaldi. Per la presenza, qui, dei frati (notoriamente di manica più larga), si invitava a recarsi a Santa Chiara la persona che aveva sulla coscienza peccati piuttosto robusti: ma te ut tâca andè ma Senta Cera, te ti tocca andare a Santa Chiara, anche perché vi si venerava la Madonna della Misericordia che perdonava tutto e tutti”. 

Stemmi ed epigrafi dalla “Tomba” degli Agolanti di Riccione

Minore venerazione era osservata per Santa Chiara quando in metafora passava a significare l’acqua: cantava il poeta contadino Giustiniano Villa nel 1884: “Dop chi crepa a fe sta stenta, a vli chi magna dla pulenta, dl’erba cruda, dla purchera, e che beva senta cera?”: dopo che crepano di stenti, volete che mangino della polenta, dell’erba cruda, della porcheria, e che bevano la santa chiara?

(nell’immagine in apertura, “Visione della Beata Chiara Agolanti da Rimini”,tempera e oro su tavola di Francesco da Rimini, 1333-1340 ca. – Londra, National Gallery).