HomeAlmanacco quotidiano14 settembre 1881 – “Ecco perché i novelli sposi devono mangiare insalata di ortica”


14 settembre 1881 – “Ecco perché i novelli sposi devono mangiare insalata di ortica”


14 Settembre 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 14 settembre 1881 Carlo Tonini, bibliotecario della Gambalunghiana di Rimini, annota un «curioso uso nuziale romagnolo»:

«Verso la fine del banchetto è costume che alcuno de’ parenti, e spesso il cuoco, rechi allo sposo in un piatto ben coperto una quantità di ortica, che dicono essere l’insalata. Se lo sposo se ne accorge per tempo, getta dietro a colui il piatto, ed è fragorosamente applaudito dai convitati; ma, se non se n’avvede, e il piatto rimane un tratto a lui davanti, allora gli applausi risuonano a colui che lo portò. Ma raro è che non se ne avveda, e che gli applausi non siano per lui».

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“Banchetto nuziale” di Pieter Brueghel il Vecchio (1568 ca.)

Questo strano rituale è citato anche da altri autori. Eraldo Baldini (“La sacra tavola: il cibo e il convivio nella cultura popolare romagnola: simbolismi, riti e tradizioni”, 2003) li ha raccolti, tentando anche di spiegare il significato.

Giuseppe Gaspare Bagli in “Nuovo saggio di studi su i proverbi, i pregiudizî e la poesia popolare in Romagna” nel 1885 scriveva: «Al pranzo di nozze, uno dei convitati porta cipolla, rosmarino e altre simili cose alla sposa, e questa deve prendere tutta quella roba e scagliarla nella schiena a chi gliela porge».

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E C. Guerrieri, in “Credenze, superstizioni e usi popolari in Rimini e suoi dintorni”, nel 1893 a sua volta confermava: «Sul finire del pranzo, uno offre allo sposo un piatto d’ortica; se quello è svelto deve gettarla a chi gliela offre, altrimenti passa per un buon uomo cui attendono poco grate sorprese».

Commenta Baldini: «Per quanto riguarda i piatti di ortaggi poveri e di ortica, che vanno rifiutati scagliandoli contro chi li offre, il linguaggio è chiaro: si tratta di rifiutare simbolicamente e ritualmente le eventuali povertà e asperità della vita futura, in un momento in cui vanno invece propiziate la prosperità e la felicità».

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E’ il cosiddetto «scherzo dell’insalata», uno dei momenti apparentemente giocosi, ma in realtà regolati da un rigidissimo rituale che ogni nuova coppia deve seguire, pena sventure di ogni tipo.

In questo succedersi di gesti obbligatori, Baldini individua innanzi tutto il menù, sempre uguale e immutabile: cappelletti, lesso e arrosto, poi dolci in quantità, in parte fatti dalla famiglia, il resto portati dagli ospiti, ma anche qui secondo quote rigorosamente stabilite dalle usanze.

Jan Brueghel, banchetto di nozze

Jan Brueghel, banchetto di nozze

Secondo, «le posizioni a tavola degli sposi erano codificate, ed essi mangiavano nello stesso piatto e spesso bevevano anche dallo stesso bicchiere». La motivazione era che si doveva ostentare in ogni modo di essere ormai una stessa persona, ad onta di chiunque «perché c’è molta invidia e cattiveria nella gente», come riferisce un testimone di Cesenatico a M. Turci (“La dimora dei riti – Nascere, vivere e morire in Romagna”, 1989).

E quindi è indispensabile tener lontano il malocchio: «Il malocchio è un guaio – spiega un altro testimone, di Poggio Berni, sempre a Turci – e i due col matrimonio fresco devono stare attenti…; se fanno come se fossero uno si difendono meglio». E un terzo di Montiano racconta: «Due piatti sono pericolosi perché c’è l’invidia. Gli sposi per non ammalarsi dovevano fare tutto in piatto e in un bicchiere».

Mosaico "del malocchio", Antiochia (Turchia) II sec. aC.

Mosaico “del malocchio”, Antiochia (Turchia) II sec. aC.

Infine, alla sposa veniva anche offerta «una grande radice: chiaro simbolo fallico – spiega sempre Baldini – che deve funzionare come auspicio per la vita sessuale e riproduttiva della coppia e, di riflesso, per la fecondità e fertilità dell’intero ambito comunitario».

Canti e scherzi licenziosi, pesanti allusioni, brindisi maliziosi, non sono dunque solo motivati dall’allegria: sono un obbligo preciso. Che del resto si riscontra negli usi di tutti i popoli e in tutte le epoche, al momento di celebrare la nascita di una nuova unione.

Scena di matrimonio in un sarcofago di Ostia antica

Scena di matrimonio in un sarcofago di Ostia antica

A Rimini si conserva nel Museo della Città un “fascinus”o “fascinum”, insomma un amuleto fallico:  fra i Romani era uno dei doni più importanti in occasione delle nozze. Esemplari di questo oggetto – quello di Rimini è alato, ma partendo dall’elemento fodamentale poteva avere le più diverse fogge  – sono stati ritrovati in tutti i territori dell’impero. L’amuleto era sacro in origine all’ancestrale divinità latina dio latino Mutunus Tutunus (aveva un suo tempio già nella Roma di Romolo), poi al greco Priapo, nominato appunto anche Fascinus da Plinio il Vecchio. Che dall’alto della sua autorità assicurava le infallibili proprietà di medicus invidiae, ossia di rimedio all’invidia e al malocchio.

Il fascinus del Museo di Rimini

Esemplari gallo-romano di fascina in bronzo