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20 settembre 1848 – Omicidio politico a Rimini, primo di una lunga serie


19 Settembre 2022 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Scrive il bibliotecario della Gambalunghiana Carlo Tonini: «La tristissima iliade di que’ guai può dirsi incominciasse la sera del 20 settembre 1848, alloraquando nel caffè di piazza G. Cesare veniva tolto di vita con un’archibugiata un figlio del notaio Giacomo Borghesi, certamente, come si suol dire, per opinioni politiche».

Tipi di archibugio in uso nell’800

E’ il Quarantotto. Rimini è in subbuglio come tutta l’Europa. La prima guerra di Indipendenza ha visto la sconfitta delle truppe pontificie, dove militavano anche molti volontari riminesi, che avevano affiaancato il Re di Sardegna Carlo Alberto contro gli Austriaci.

Fra tumulti per la farina – in agosto a una nave era stato impedito a furor di popolo di partire per Venezia con il suo carico ed era poi finita bruciata dai rivoltosi – la tensione è alle stelle ed è tanta la rabbia dei Liberali per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti, con gli Austriaci ormai alle porte, mentre naturalmente i “reazionari” rialzano la testa.

L’omicidio del giovane Borghesi è solo il primo episodio di sangue di quella “Iliade”, come la chiama il Tonini: «Nell’ottobre, circa alle tre di notte, fu aggredito da ignoto sicario in mezzo a due suoi teneri figliuoletti, mentre con essi conducevasi a casa, il dott. Enrico Bilancioni, il quale, caldo fautore della indipendenza e della libertà della patria, quanto letterato egregio ed eccellente cultore della lingua del Lazio, nella schiettezza dell’animo suo con libere parole andava pubblicamente riprovando quell’infausto andazzo delle cose e quelle fatali intemperanze, che traevano senza riparo la patria alla estrema mina: e fu buona ventura, che, quasi difeso dai fanciulli, campasse dall’apprestatogli eccidio, rimanendo lievemente ferito».

Non è finita e accade ancora di peggio: «Nel novembre, ad un’ora di notte, con un colpo di pistola fu ucciso l’avv. Marco Fabbri, quello stesso che, tenente de’ volontarii pontificii, vedemmo essere stato già proditoriamente assalito e ferito».

Ancora, «Ai 17, circa alle due di notte, volendosi torre di mezzo un Michele Barbieri, noto per principi, come si dicevano, retrogradi, e imprudente nel manifestarli, venne morto in sua vece un cotal falegname Tamagnini, uomo carico di prole, il quale in compagnia del Barbieri passava per la via».

Insomma, una vera faida di aggressioni e vendette, con tanto vittime innocenti. Né cessano le sollevazioni popolari: «E nello stesso mese, a’  25, la popolazione, ammutinatasi sulla piazza della Fontana, volle abbruciare le carte della cancelleria criminale di polizia. E voleva fare altrettanto di quelle del Vescovado; ma si lasciò vincere alle persuasioni del vicario M/ Brioli, il quale mostrò loro come in quelle carte nulla fosse di criminale, e qual danno mai sarebbe stato per le famiglie della città il distruggerle».

assassinio-rossi

15 novembre 1848, l’assassinio di Pellegrino Rossi a Roma

Di lì a poco, dopo l’omicidio “eccellente” del Presidente del Consiglio Pellegrino Rossi, Papa Pio IX sarebbe fuggito da Roma rifugiandosi presso i Borboni. La Città Eterna andava ormai verso la Repubblica e in tanti a Rimini non vedevano l’ora di seguirla.

Come ricorda Antonio Montanari, fra il 1847 e il 1864 gli omicidi politici furono 11, oltre ai feriti, gli attentati andati a vuoto, le risse e le bastonature. Queste le vittime: “Massimiliano Pedrizzi mercante di cereali (1847); il figlio del notaio Giacomo Borghesi, un cappellaio, l’avv. Mario Fabbri, ed il falegname Tamagnini colpito per sbaglio al posto di Michele Barbieri fervente sostenitore del papa (1848); il presunto autore dell’uccisione del cappellaio, e don Giuseppe Morri molto caldo contro i liberali (1849); il caldo papalino dottor Raffaele Dionigi Borghesi (1850); il vicesegretario del Comune Antonio Clini che si occupava molto di politica (1854); il francese Vittorio Tisserand sposo della contessina e commerciante Mariuccia Ricciardelli (1856); il cappellaio Terenzo (1859)”; infine nel 1864, nonostante l’unità ormai raggiunta, Nicola Nagli: “Gli amici lo ricordano come operaio instancabile, padre di famiglia accurato, patriota animoso, indefesso, integro che per 40 anni ha sfidato ogni tempesta della tirannia a riscatto della comune madre Italia”.