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24 aprile 1890 – Il riminese Carlo Zavagli è ucciso in Somalia


24 Aprile 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 24 aprile 1890, “Durante una missione di pace e di civiltà morivano nel fiore degli anni, barbaramente assassinati, il sottotenente di vascello Carlo Zavagli ed il marinaro Angelo Bertorello”

(da Rivista marittima, Anno XXIII, secondo trimestre 1890, riportata da Rimini Sparita).

Carlo Zavagli nasce a Rimini dal Conte Gomberto e dalla Contessa Luisa il 16 marzo 1867. Frequenta gli studi ginnasiali in collegio a Firenze, poi a Genova, in vista dell’esame di ammissione all’Accademia Navale di Livorno. La sua passione è infatti il mare e il suo sogno è di arruolarsi nella Regia Marina. Un problema di salute lo costringe a rinviare l’esame e nel frattempo si specializza all’Istituto nautico di Rimini. Entra in Accademia nell’ottobre 1882. Nelle crociere di istruzione tocca Gibilterra, Grecia, Tripoli, il Canale di Suez.

Nel 1887 consegue il grado di Guardiamarina e viene imbarcato  sulla pirofregata corazzata “San Martino”. L’anno successivo è promosso a Sottotenente di Vascello; passa poi sulle Regie Navi “Ruggero di Lauria” e poi “Caio Duilio”.

Nel 1890 è a bordo del piroscafo “Volta” (Capitano, il nobile catanese Giuseppe Amari di S. Adriano) “con il compito di scortare fino a Massaua la delegazione di emissari dell’Imperatore d’Etiopia, reduci da una visita in Italia per ammirarne le grandezze e riportare al Negus i doni del Re”.

Ras Makonnen e la sua corte

In realtà si è trattato di una delicata missione diplomatica, guidata da ras Makonnen, cugino del Negus Neghest (“re dei re”, ovvero l’imperatore d’Etiopia) Menelik, i cui dettagli vengono forniti da Indro Montanelli (“L’Italia unita”, Bur): la delegazione abissina riparte da Roma con «un prestito di quattro milioni, e un orribile quadro commissionato apposta non so a quale pittore di Corte, che rappresentava l’Ascensione al cielo di Gesù, contornato dal Re, dalla Regina e dal massone Crispi in ginocchio a mani giunte».

E soprattutto con la firma di re Umberto I sul “trattato di Uccialli”; un documento controverso, con differenze fra la versione italiana e quella aramaica sul fatto che l’Etiopia accettasse o meno il protettorato italiano; differenze che di lì a poco portarono alla guerra e al disastro di Adua. Ma intanto, oltre al prestito, il Negus riceve una cospicua fornitura di armi.

Menelik II, Negus Neghest

Armi che servono a Menelik sia per combattere i nemici interni (ha pressoché usurpato il trono), sia, lui imperatore cristiano, contro i musulmani eritrei (che formano fra l’altro la stragrande maggioranza delle truppe coloniali italiane, gli Ascari) e soprattutto contro il musulmano integralista sudanese Muhammad Ahmad che si è proclamato il Mahdi (“ben guidato” da Dio), le cui schiere l’anno prima hanno sconfitto e ucciso il suo predecessore sul trono abissino, Giovanni IV.

Le schiere del Mahdi nel 1885 avevano già massacrato a Karthum gli inglesi del generale Charles George Gordon “Pascià”.

La morte di Gordon Pascià a Khartum, Sudan, nel 1885 (J.L.G. Ferris)

A sua volta, l’esercito di Giovanni il 26 gennaio 1887 aveva spazzato via a Dogali circa 500 soldati italiani comandati dal tenente colonnello Tommaso De Cristoforis. 

La battaglia di Dogali

Quelle armi (fra cui i fucili requisiti all’esercito pontificio dopo il 1870, gli americani Remington Rolling Block che avevano sparato sui bersaglieri di Cadorna a Porta Pia) e quei soldi torneranno utili a Menelik per battere di nuovo e clamorosamente gli italiani ad Adua, nel 1896.

Gli Alpini nella battaglia di Adua, 1 marzo 1896 (figurina Dado Liebig)

In un articolo di Gaetano Rossi su Ariminum (gennaio-febbraio 2007), le morti di Carlo Zavagli e del marinaio di terza classe Angelo Bertorello vengono rievocate nei minimi dettagli:
MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALORE MILITARE
SPIRÒ COL NOME DELL’ITALIA SULLE LABBRA
SOTTOTENENTE DI VASCELLO MORÌ IN UN’IMBOSCATA NEI PRESSI DI ZANZIBAR
DOPO AVER ORDINATO DI SALVARE L’IMBARCAZIONE.

“Giunti ad Aden – scrive Rossi – il Volta salpò per Zanzibar, costeggiando la costa somala per portare doni alle tribù locali e profondervi cortesie, visto che in quei giorni l’Italia aveva accettato dalla Compagnia inglese dell’Africa Orientale il protettorato di quella costa da Capo Guardafui al fiume Giuba, ed occorreva quindi ingraziarsi quelle popolazioni”. Si inizia così a chiarire a quale “missione di pace e di civiltà” alludesse La Rivista marittima.  

Piroscafo scozzese della classe “Dundee” cui apparteneva il “Volta”

A Zanzibar, arriva l’ordine “di rientrare via Mar Rosso costeggiando nuovamente ed a ritroso quelle coste, per toccare ancora altri porti inesplorati (anche se il termine “porto”, per l’epoca ed i luoghi, era un puro eufemismo). La mattina del 24 il Volta si trovava all’altezza del porto di Warsheik, un misero villaggio abitato da poche centinaia di somali della tribù Abigal, diffidente e malfidata, protetto da scogli e dune di sabbia”.

Warsheik oggi

Warsheik (traslitterato in una decina di altri modi fra cui Uarsceik, Uarsciek, Uaracek) era ed è un importante centro religioso Sufi, nonché capoluogo dell’omonimo distretto. E’ abitata dal popolo che gli Italiani chiamano Auija (o Hawiye nella traslittarazione anglosassone) come la stessa Mogadiscio. Durante l’epoca coloniale italiana, fu sede di una “delegazione di spiaggia” del Regio Corpo delle capitanerie di porto. È citato espressamente nella Convenzione fra Zanzibar e Italia del 1893, che getterà le basi della colonia italiana di Somalia. Con l’accordo il Sultano di Zanzibar affittava agli italiani l’Uaracék, Mogadìscio, Mérca, Bràva e territori circostanti per 25 anni al prezzo di 120.000 rupie”. Nella carta sottostante riferita alla situazione nel 1915 il luogo è chiamato Warsheikh:

Viaggiando via terra ci sono quasi 2 mila chilometri da Zanzibar, oggi in Tanzania, Warsheik; in realtà ci troviamo fra Merca e Mogadiscio, in piena Somalia. Qui la costa è abitata da popolazioni musulmane, mentre all’interno le tribù abissine sono cristiane e la guerra fra loro è endemica da secoli.

2016: miliziani somali liberano Warsheik dai fondamentalisti di Al Shabaab

Il “Volta” getta l’ancora a quattro miglia dalla costa. “Il Comandante dispose di armare una barca a vapore spedendola verso riva al comando del Sottotenente Zavagli, con istruzione di cercare un abboccamento con il capo locale per manifestare le intenzioni amichevoli dell’equipaggio procurando di offrire doni per i capi e per la popolazione”. Con Zavagli ci sono il sottonocchiere Angelo Bertolucci, il marinaio di 3° classe Angelo Bertorello, il macchinista di 3° classe Alfredo Simoni, il fuochista di 2° classe Giuseppe Gorini, il 2° capo timoniere Giovanni Gonnella e l’interprete arabo Said Achmed.

13 dicembre 2015: militari italiani firmano un accordo di cooperazione nel distretto di Warsheik

Cosa sia successo da quel momento in poi, lo sappiamo solo dalla relazione al Re del ministro Brin, nel sollecitare le onorificenze poi concesse. Secondo questa versione, si sarebbe trattato di una vera imboscata, scatenata a tradimento ad un segnale del capo villaggio contro i tre italiani che erano sbarcati disarmati. Zavagli viene ferito subito e muore sulla barca che sta cercando precipitosamente di riprendere il largo mentre il resto dell’equipaggio spara all’impazzata per coprire la fuga; Bertorello è colpito mentre sta lavorando all’ancora; nonostante la ferita, per la quale morirà poco dopo, si getta in acqua a liberare l’elica dall’ormeggio in cui si era impigliata.

Carlo Zavagli colpito a morte

Sappiamo che in quel periodo è in corso una lotta fra il Sultano Omanita di Zanzibar e Yusuf Ali Kenadid, Sultano di Obbia; materia del contendere è proprio il controllo di Warsheik. Solo un’ipotesi, ma può darsi che l’aggressione agli Italiani sia rientrata in quel conflitto. D’altronde, quei Sultanati cercavano, fino a ottenerlo entrambi, il protettorato italiano per quell’area, ma sempre col fine di nuocersi a vicenda. A sua volta, Hamed ibn Thuwain, Sultano di Zanzibar, era controllato strettamente dagli Inglesi, che l’avevano rimesso sul trono dopo un tentativo di golpe da parte del nipote Sayyid Kahid ibn Bargash, sostenuto dai Tedeschi di Bismark.

Fatto sta che la prima cosa che il presunto capo del villaggio chiede ai tre marinai è: “Siete Tedeschi?”. E immediatamente dopo la loro risposta – “No, siamo Italiani e veniamo da Zanzibar, del cui Sultano siamo amici. Siamo anche amici vostri, abbiamo doni per voi se volete venire sulla nave a prenderli” – il capo risponde che andrà a prendere una barca. Ma invece agita il turbante e da quel momento si scatena l’inferno. Forse il villaggio in quel momento non era nelle mani di “amici” di Zanzibar, ma della fazione opposta?

Hamed ibn Thuwain, Sultano di Zanzibar

“La penetrazione italiana in Africa orientale – spiega poi Rossi – risale al 1882, quando il Regno d’Italia acquistò i diritti commerciali sulla baia di Assab (Eritrea) dalla società genovese di navigazione Rubattino, che li possedeva per accordi con i locali fino dal 1869. Seguirono le coraggiose esplorazioni verso l’interno di quei paesi, di Monsignor Guglielmo Massaia, missionario in Abissinia sin dal 1846, di Gustavo Bianchi (ucciso dai dancali nel 1884), di Antonio Cecchi (ucciso da indigeni nel 1896), del principe Eugenio Rispoli (ucciso da un elefante nel 1893) e soprattutto di Vittorio Bottego (ucciso nel 1897). Questi sacrifici, unitamente alle disfatte militari di Dogali (1887), dell’Amba Alagi (1895) e di Adua (1896) non fermarono la volontà di crearsi possedimenti africani al pari di tutte le maggiori nazioni europee”.

Truppe italiane in Somalia intorno al 1890

A proposito degli esploratori italiani ed europei, scrive lo storico Angelo Del Boca (“La nostra Africa”, Neri Pozzi): “Ci sono stati esploratori illustri, come Carlo Piaggia, Antonio Miani, David Livingstone, che portarono a termine viaggi lunghi ed estremamente pericolosi senza torcere un capello ai nativi ed anzi sforzandosi di aiutarli. Il capitano Vittorio Bottego non appartiene a questa categoria”. 

Parma, monumento a Vittorio Bottego

“Giudicato dagli uni come autentico eroe, in effetti Bottego è il capofila di quel gruppo di viaggiatori assolutamente privo di scrupoli, disposti a ogni genere di violenze pur di raggiungere il loro obiettivo e di riportare in patria i frutti delle loro ricerche”. I suoi Ascari, peraltro spremuti senza risparmio e letteralmente decimati dalla fame, erano “in gran parte ergastolani assoldati nelle galere di Massaua”. La sua ultima marcia di 37 giorni fra Brava e Lugh “è la marcia di un manipolo di violenti, incapaci di comprendere il patriottismo dei nativi, portati a disprezzare ogni loro forma di cultura, insofferenti alle loro richieste di procedere al ‘calam’, a parlamentare. Al primo segno di ostilità aprono il fuoco”. 

Albo a fumetti della metà anni Cinquanta del ‘900 dedicato a Vittorio Bottego, editore Gioggi, testi di Massimo Liorni e disegni di V. Canevari

La colonia italiana di Somalia, proclamata il 19 marzo 1905, fu fortemente sollecitata e sostenuta dagli Inglesi, in difficoltà in Sudan, al quale dovettero per il momento rinunciare. Preoccupati dei Francesi che già mettevano le mani su Gibuti, dei Tedeschi sempre in cerca di nuove opportunità, sotto pressione in Sudan in preda al movimento mahadista, non avevano in quel momento le forze sufficienti per controllare adeguatamente lo strategico Corno d’Africa. Scelsero allora di farlo “per procura”, attraverso una potenza minore, dunque più controllabile, fino ad allora sempre amica: l’Italia.

Nasce così la presenza italiana in Africa Orientale, che l’impero britannico continuò a favorire perfino durante la guerra d’Etiopia del 1935-36: a fronte delle sbandierate sanzioni, gli Inglesi continuarono a lasciar transitare tranquillamente dal canale di Suez le navi italiane che portavano i 200 mila uomini inviati alla conquista dell’Impero fascista.

La morte di Carlo Zavagli appartiene ad uno dei tanti “incidenti” che costellarono l’avventura coloniale italiana. Un episodio di cui non parla ormai nessuno, all’interno di un’epopea a sua volta dimenticata, se non rimossa, dall’Italia di oggi, che abbandona al medesimo oblio i propri eroi come i propri criminali.

Solo nomi di vie e monumenti restano a commemorare quegli uomini (a Rimini sono intitolate a Carlo Zavagli la via principale della “Barafonda” e la piazzetta in centro (già detta di San Vitale nella Castellaccia, dove sorge ancora la dimora nobiliare dei Conti Zavagli Ricciardelli delle Caminate).

La lapide che ricorda Carlo Zavagli sul palazzo di famiglia nell’omonima piazzetta di Rimini