Qualcuno di voi se lo starà già chiedendo: quest’estate cosa sarà più trendy, andare a bere il frappuccino al nuovo Starbucks delle Befane, oppure dichiararsi totalmente contro perché è una multinazionale fighetta made in Usa pompata da Internet che svilisce la tradizione dell’espresso all’Italiana, e oltretutto è carissima? La catena di caffetterie più iconica del millennio è una di quelle cose che dividono il pubblico anche prima della vera e propria apertura del locale. C’è chi la aspettava da anni e chi si straccia le vesti, chi si tiene libera l’agenda per il giorno dell’inaugurazione e chi si farà un dovere di trovarsi nel baretto più pulcioso di Rimini nord a sorseggiare un ristretto non più alto di un ditale. Ma c’è una categoria trasversale che potrebbe trovare da Starbucks la soluzione per un fastidioso problema spesso cronico, che di solito si affronta a suon di mele cotte, prugne disidratate e granulato di psillio. Una delle ultime linee di bevande lanciate dalla caffetteria nata a Seattle infatti si chiama Oleato, e prevede come ingrediente base il caffè Starbuck emulsionato con olio extravergine d’oliva di alta qualità. Sembra che l’idea sia venuta all’ad di Starbucks, Howard Schultz, nel 2022 durante un viaggio in
La millenaria parentela fra Rimini e Roma ci viene ricordata ogni giorno dai più iconici monumenti della città, il ponte di Tiberio e l’Arco d’Augusto, per non parlare della pianta del centro storico, costruito sui tracciati del decumano e del cardo. In questi giorni un altro dettaglio sottolinea l’affinità con l’Urbe: i cinghiali a spasso. Una coppia di ungulati è stata avvistata di primo mattino nella zona sud, fra via Melucci e via Chiabrera, vicino alla fermata Toscanini della Metromare. I due animali si sono limitati a zampettare tranquillamente nel parcheggio della Sgr e dintorni, senza infastidire i residenti a passeggio con il cane o impegnati nella corsetta mattutina. Non siamo ancora a livelli romani, con intere famiglie di cinghiali che sfilano indisturbati sul ciglio della strada, svuotano i cassonetti, caricano i malcapitati nei parchi o provocano incidenti stradali. I due cinghiali riminesi si facevano i fatti loro, o forse erano venuti in avanscoperta sulla costa, perché sì, bella bella la campagna, ma le cose più interessanti succedono in città, dove oltretutto la dieta è più ricca, varia e praticamente inesauribile, grazie ai cassonetti sempre scassati e traboccanti. Gli incontri ravvicinati con i cinghiali potrebbero aumentare, poiché il picco dell’immigrazione urbana
L’argomento cannabis non è strettamente pasquale, a meno che non vogliamo intendere in senso lato le «erbe» che oggi vengono servite tradizionalmente come contorno dell’agnello. Ma in questo santo giorno vorrei spendere un pensiero solidale per la 53enne riminese che ieri mattina, sabato santo, è stata processata per direttissima perché nel garage teneva una piccola piantagione di marijuana. A inchiodare ulteriormente l’«insospettabile» signora (l’aggettivo è dei cronisti locali, per i quali chi ha a che fare con le droghe leggere dev’essere per forza un fricchettone con i rasta che canticchia Legalize it o un nordafricano dall’aria patibolare), un manuale sulla coltivazione della cannabis, rinvenuto nel suo appartamento. Mi spiace per i parrucconi, ma mi tocca snocciolare tutto il repertorio degli argomenti antiproibizionisti: molti paesi civili hanno già legalizzato l’uso ricreativo della cannabis ma come consumo restano indietro rispetto all’Italia, terzo paese più cannaiolo d’Europa malgrado i divieti e gli anatemi, che non servono e non sono mai serviti a nulla se non a riempire le carceri e intasare la già farraginosa macchina della nostra giustizia. Oltretutto è arcinoto che la marijuana, oltre a essere meno nociva e a fare meno morti di alcool e tabacco, è indicata nella terapia del dolore in
Ho sempre avuto un debole per la musica per banda, e quando per strada sento un parapaponzi-ponzi-pà le orecchie mi si drizzano e gli occhi cercano in lontananza uno scintillare di ottoni. Mi è successo anche giovedì scorso, quando da via Gambalunga ho intercettato la Marcia militare di Schubert eseguita in piazza Cavour. Niente ottoni scintillanti, era una registrazione, ma accompagnava una cerimonia solenne davanti al teatro Galli, con una fila di uomini e donne in divisa: agenti della Polizia penitenziaria, di cui si celebrava il 207esimo anniversario. Confesso di aver provato lì per lì un piccolo brivido. Le guardie carcerarie non godono di particolare favore nell’immaginario collettivo, se non quando adottano il corrispettivo francese Geolier e arrivano secondi (anzi, secondini) a Sanremo. Eppure fanno un lavoro tanto duro quanto necessario. La vita di chi lavora negli istituti di pena – e soprattutto in quelli italiani – non è molto meno difficile di quella dei reclusi, e se è dubbio che la detenzione così come viene somministrata nella maggior parte dei penitenziari italiani, afflitti da sovraffollamento, carenza di servizi, inadeguatezza o assenza di efficaci percorsi di recupero, serva a qualcos’altro che a inasprire il detenuto e a renderlo ancora più criminale
A quanto pare il Grande Vecchio, il burattinaio senza nome che manovrava i fili di tutte le trame della notte della Repubblica, era una leggenda metropolitana, nata quasi per caso e diffusa, in buona o cattiva fede, da politici e stampa. La Grande Vecchia invece non è una leggenda. Esiste eccome, ha una faccia, un nome e due mani che però non reggono fili, tengono saldamente il volante di un’utilitaria. O meglio, lo tenevano fino a pochi giorni fa, quando Giuseppina, vispa anziana di Bondeno, si è vista sequestrare l’auto dai carabinieri. Fermata per un controllo mentre gironzolava per il centro del paese all’una di notte, ha mostrato agli agenti una patente di guida risultata scaduta nel 2022. La Giuse ha spiegato che stava tornando da una bisboccia con gli amici della Casa Operaia e non trovava più la strada di casa. Ma l’anno che ha sbigottito di più i poliziotti non è stato quello della scadenza della patente, bensì quello di nascita della signora: 1920. Coetanea di Fellini e di Wojtyla, Giuseppina non ha nessuna intenzione di raggiungerli e a 103 anni ha una salute e una grinta invidiabili, e un’ancora più invidiabile vita sociale, favorita dalla sua passione per il
Mi sa che non è la prima volta che scrivo di uova di Pasqua su Chiamamicittà.it, ma mi ripeto volentieri. La stagionalità fa sì che si parli troppo poco di uno dei più entusiasmanti manufatti dell’ingegno umano: l’uovo pasquale infatti unice la sacralità di una forma da millenni ricollegata alla perfezione del cosmo e al miracolo della vita, a quel miracolo organolettico che è il cioccolato. Che sia al latte o fondente, le lisce pareti curvilinee ne esaltano il colore, la lucentezza e il profumo molto più dei tradizionali formati a tavoletta o a cubetto. Un matrimonio perfetto in cui i partner si esaltano l’un l’altro, e la sorpresa è quasi un intruso, un terzo incomodo. Il vero ingresso nella maturità non lo decide l’anagrafe o un esame di Stato. Sei veramente maturo quando non ti importa più di cosa c’è dentro l’uovo di Pasqua, ma della qualità del cioccolato di cui è fatto, anche perché molte dolorose esperienze del passato ti hanno insegnato che è più facile beccare il superpremio al gratta-e-vinci che trovare nell’uovo qualcosa che non sia brutto, rotto, difettoso, inutile o tutte queste cose insieme. Se devo fare una statistica in base alle uova che sono passate
Siamo a pochi giorni dall’Otto marzo, festa della donna, e come donna già mi viene la depressione, perché sembra che da festeggiare ci sia veramente poco. Dico ”sembra” perché non bisogna mai smettere di celebrare le conquiste che abbiamo raggiunto, vittorie che rendono l’ultimo secolo il più paritario della storia umana (sulla preistoria non abbiamo notizie certe, anche se pare che l’immagine del cavernicolo che trascina per i capelli la compagna sia un’invenzione moderna e che il patriarcato sia nato "solo” intorno al Mesolitico). I diritti civili e politici raggiunti dalle donne non vanno mai dati per scontati: la triste situazione di Paesi come l’Iran e l’Afghanistan ci dimostra che non bastano un paio di generazioni di donne in pantaloni e capo scoperto, libere di frequentare l’università e di esercitare professioni importanti, per scongiurare per sempre il rischio di rotolare verso regimi sessisti e oppressori che impongono veli, divieti e isolamento in casa. C’è ancora domani, il fortunatissimo film di Paola Cortellesi (dall’8 all’11 marzo verrà riproposto al cinema Tiberio, dove le poche e i pochi che non l’hanno ancora visto possono recuperarlo) ci ha raccontato le difficoltà delle nostre nonne in un’Italia che aveva ritrovato la libertà ma non garantiva
Sono sempre più dell’idea che chi ci offre una via di fuga dalle angosciose notizie d’attualità e ci distrae da eventi che ci convincono che il mondo sta andando a rotoli vada ringraziato. Grazie, quindi, a Fedez e a Chiara Ferragni, che con le loro beghe coniugali eclissano per qualche minuto nella pubblica attenzione le guerre, i massacri, le manganellate della polizia e gli squalificanti battibecchi della politica alla vigilia delle elezioni in Sardegna, per trasformarci tutti in comari con il fazzoletto legato sotto il collo e la borsa della spesa al braccio, ognuna pronta a dire la sua sulla separazione più social del secolo. È colpa di lui, no, è colpa di lei, lui è debole di testa, lei è una furbacchiona, lui è il classico maschio vigliacco che abbandona la nave che affonda, no, è lei che lo ha messo fuori di casa perché non l’ha difesa abbastanza nelle sue traversie giudiziarie, e ora che ne sarà di quei due poveri bambini innocenti? A discuterne non sono solo le donne, tradizionalmente più attente e curiose verso la vita privata delle celebrità, ma anche i maschi: se l’ex Twitter è un termometro, si direbbe che la notizia ha scaldato più