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Evviva i nostri grandi vecchi come Amos Piccini


31 Luglio 2017 / Paolo Zaghini

Amos Piccini, Claudio Piccini: “Chiacchiere e ricordi” – La Stamperia.

57 - Piccini

I grandi protagonisti del teatro dialettale riminese hanno ormai superato i 90 anni: Guido Lucchini è del 2 aprile 1925, Amos Piccini è del 6 marzo 1926. Stanno ancora bene, ma con qualche acciacco.

Il primo, nel 1973 è tra i fondatori della compagnia dialettale “E’ teatre Rimnes” ed ha scritto nel corso degli anni 45 commedie. Ferroviere, ebbe la sua base operativa all’interno del Dopolavoro Ferroviario. Ha scritto anche quattro libri di poesie dialettali: “Remin e pu piò” (Pazzini, 1986), “Barafonda” (Capitani, 1996), “Raconta Remin, Raconta…” (Capitani, 2004, “Vécia Palèda” (Capitani, 2008), nei quali approfondisce a suon di rime i temi principali delle sue commedie: la vita, i luoghi e i personaggi della Rimini di un tempo. Nel 1993, per i tipi di Pazzini, ha pubblicato anche “E’ Teatre Rimnes : vent’anni di teatro dialettale”, che racconta l’esperienza vissuta durante la realizzazione e la regia delle sue commedie.

Il secondo inizia a scrivere, come dice lui, rimanendo sempre “in mezzo al guado”, cioè non scegliendo mai solo l’italiano o solo il dialetto, nel 1948. All’inizio con Renato Piccioni (1926-2016), un altro carissimo amico scomparso qualche mese fa. Ha scritto una ventina di commedie (in dialetto) e tantissimi sketch umoristici (sia in italiano che in dialetto). Ragioniere, dipendente della TIMO-SIP-TELECOM (sino al 1981, quando iniziò poi una attività di ragioniere commercialista sino al 2003). La sua base operativa fu all’interno del CRAL dei postelefonici.

Nel 1978 diede vita alla Compagnia “Sipario Aperto” con cui allestì i suoi testi. Ha scritto oltre venti libri, in italiano e in dialetto, fra il 1984 e il 2016 raccontando con grande humour vizi e virtù dei riminesi. Nel 1994, per i tipi di Giusti, ha pubblicato anche “Io … e Sipario Aperto”, in cui racconta le sue esperienze di autore e regista teatrale, e dando voce ai principali interpreti delle sue commedie.

Nel suo ultimo libro, Amos elenca una serie di associazioni e istituzioni in cui, nel corso degli anni, è stato ospite per illustrare il suo lavoro: mi ha fatto molto piacere vedere che fra queste c’è anche la Biblioteca “Battarra” di Coriano in cui diversi anni fa ebbi il piacere di ospitarlo (in quanto responsabile) per trascorrere con lui ed il pubblico presente un pomeriggio estremamente piacevole e divertente. La Biblioteca di Coriano, assieme alla Gambalunga di Rimini, è l’istituto culturale che possiede tutte le sue opere (grazie alla sua cortesia nel donarcele).

Dei suoi libri Piccini dice (in “L’Intervista”, articolo del suo ultimo libro) “Io sono solo un modesto affabulatore, che riesce a ridersi addosso e cerca di far sorridere anche gli altri”. Del resto, aggiunge, scrittori dialettali non si nasce, si diventa studiando. E per tradurre in dialetto romagnolo “Al stòri ad Gisò”, “Fat e mirècul dj Apòstul”, “Pinocchio riminese”, Amos ha dovuto necessariamente studiare ed impegnarsi per tradurre rispettivamente i racconti del Vangelo, gli Atti degli Apostoli e il Pinocchio di Collodi.

Ma negli ultimi libri (“Scartoffie” e “Rimini nel cuore” del 2014, “Sognando di sognare” del 2015 e quest’ultimo “Chiacchiere e ricordi”, del 2016 tutti editi da La Stamperia) Piccini è tornato all’italiano, scrivendo raccontini umoristici e ironici su fatti e personaggi tratti dalle vicende locali (ma non solo). E giocando, con grande arguzia, sulle parole.

Ad esempio nel pezzo “La lacuna” parla delle parole con i prefissi (naturalmente a modo suo). Tipo: “Pro-cesso = Il cesso, noto in Romagna anche come latreina, lucomud, (o più volgarmente, cagadur) è il posto nel quale per esigenze fisiologiche spesso si deve correre perché vari problemi a volte non ti danno tempo. Col prefisso si ha invece così tanto tempo, che prima di avere giustizia si può non solo invecchiare, ma anche morire senza conoscere l’esito della causa”.

Nel libro Piccini recupera il suo amore per il dialetto pubblicando una decina di poesie in vernacolo. Dall’alto degli anni raggiunti Amos dedica uno di questi testi agli amici defunti:

J amig ch’i n gn’è piò.

Dognitènt a guèrd i Santein / e un fióm ad pensier / i m fa turnè t la mèint / la vòsta bèla cumpagnia. /
E alora vèćć amig, / a m’arcòrd al gran riʂedi / fati in ɀir per i teatre / fra ɀeinta sèimpre alegra. / Quand ch’a servie viv / j ann i n galupèva, / parchè se divertimèint / e’ teimp u n pasa mai. /
Adès che la vciaia la m dà d’mòrs / a m mèt in znòc per div un’uraziòun; / mo a faz ènca un suris / per preparè e’ nòst incontre.”

Gli amici defunti.

Ogni tanto guardo i Santini / e un fiume di pensieri / mi fanno tornare in mente / la vostra compagnia. /
E allora vecchi amici, / mi ricordo le grandi risate / fatte in giro per i teatri / fra gente sempre allegra. /
Quando eravate vivi / gli anni non correvano, / perché con il divertimento / il tempo non passa mai. /
Adesso che la vecchiaia mi aggredisce / m’inginocchio per dirvi una preghiera, / ma faccio anche un sorriso / per preparare il nostro incontro.

In memoria di: Aluigi Dino, Fabbri Enzo, Mauri Anna Maria, Nori Sanzio, Serafini Enzo, Soldati Alceo, Tamagnini Giorgio e Tamburini Aldo, tutti ex appartenenti al Gruppo Teatrale Riminese Sipario Aperto.

In una intervista Piccini ebbe a dire del dialetto: “E’ opportuno continuare a scrivere in dialetto per testimoniare la cultura del passato, per soddisfare il piacere anche di coloro che non lo parlano. Purtroppo chi si interessa di lingua dialettale può essere considerato come appartenente ad un mondo antico, superato. Questo genere, spesso, è ridanciano ed allegro, è risaputo che il pubblico del teatro dialettale vuole ridere, ma non è detto che testi seri non possano essere veicoli di comunicazioni più riflessive. Spetterà ai vari registi o autori dare una moderna interpretazione anche a canovacci tradizionali”.

Questa è la filosofia che ha mosso per decenni la penna di Amos Piccini, nei suoi testi teatrali e nei suoi libri.
Anche questo libro si avvale dei contributi illustrativi e di scrittura del figlio di Amos, Claudio Piccini.

Paolo Zaghini

P.S. Può sembrare non vero, ed invece lo è, ma mentre finivo di scrivere questo pezzo suona il telefono, alzo la cornetta, e sento: “Sono Amos, mi hanno appena consegnato il mio nuovo libro. Vieni a prenderlo per la Biblioteca”. Evviva i grandi vecchi che non mollano mai.