HomeCronacaMa i gabbiani non dovrebbero stare sulla palata?


Ma i gabbiani non dovrebbero stare sulla palata?


11 Giugno 2017 / Lia Celi

«Io sono un gabbiano!» grida Nina, l’eroina di Cechov, nel celebra dramma. Che alla sua prima rappresentazione a Pietroburgo, nel 1896, fu un clamoroso insuccesso perché l’attrice che impersonava Nina perse la voce e scappò dalla scena, seguita da un costernato Cechov.

Si presuppone che l’ultimo grido dell’afona interprete, dall’intimidatorio nome di Vera Kommissarzevskaja, sia stato molto simile alle rauche grida dei volatili che sorvolano Rimini e bullizzano i placidi piccioni, un tempo padroni del territorio. Ormai i gabbiani riminesi abitano tutti in centro, come gli anziani, fanno le vasche in centro, chiacchierano in piazza e vanno al mare di rado, forse gelosi del successo del quasi omonimo Gabbani.

Peccato, perché solo visti dalla spiaggia, mentre sfrecciano in cielo ad ali spiegate, mantengono il fascino che li fa amare e che li ha resi romantico simbolo di libertà e di avventura per poeti e scrittori, Cechov incluso.

Più si accorciano le distanze, più il suggestivo uccello marino perde ogni aura letteraria e si mostra per quello che è: una bestia non particolarmente intelligente, dall’andatura sgraziata e dal carattere chiassoso. Non per nulla il dialetto riminese, illetterato quanto si vuole ma ben edotto della realtà, ha fatto di cocale non certo un complimento.

Nessun uomo è grande per il suo cameriere, e nessun uccello marino è affascinante quando è sulla terraferma. Da quando i gabbiani si sono inurbati, rivelandoci le loro miserie quotidiane, non riusciamo più a farci coinvolgere come prima dallo struggimento di Nina: perché diavolo una bella ragazza sognatrice dovrebbe identificarsi in un pennuto brevilineo che vediamo razzolare intorno alle isole ecologiche?

E il famoso Gabbiano Jonathan Livingston, che negli anni Settanta è stato una specie di vangelo laico (fu il tema dello spettacolo di fine anno della mia seconda media, tanto per dire), quello che predicava «puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri», cosa c’entra con il pollo pettoruto dal becco invadente che starnazza con piglio ducesco da una balaustra di via Garibaldi?

Quanto al gatto che insegnò a volare alla gabbianella protagonista di un altro best-seller che conferma l’alta considerazione di cui hanno sempre goduto questi uccelli, ci augureremmo che la trattasse come un felino sano di mente dovrebbe trattare una preda – ma purtroppo in questo i gatti moderni condividono la sorte dei gabbiani: addio charme diabolico da piccole tigri, oggi i felini domestici, pasciuti e disincantati, vanno a caccia solo di like sui social, di cui sono i re incontrastati.

In compenso, se i gabbiani riminesi prenderanno esempio dai loro colleghi romani, potremo contare su di loro per l’eliminazione dei ratti: nella capitale lo spettacolo di un gabbiano neo-carnivoro che spilluzzica un topo sul tettuccio di una macchina ormai fa parte dell’etologia urbana. In ogni caso, dovremo conviverci: vengono in città in cerca di una vita migliore per loro e i loro figli, e soprattutto volano: prova tu a chiedergli i documenti.

Lia Celi www.liaceli.it