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Gessi e solfi della Romagna Orientale


17 Aprile 2017 / Paolo Zaghini

Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna: “Gessi e solfi della Romagna Orientale”. A cura di Maria Luisa Garberi, Piero Lucci, Stefano Piastra, Carta Bianca Editore.

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Devo la conoscenza di questo bellissimo volume all’amico Sergio Pierini, appassionato speleologo corianese.

Un lavoro scientifico straordinario quello realizzato dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna per la conoscenza dei fenomeni carsici del gesso e quello, inusuale e pericoloso, del zolfo posti tra le vallate del Rabbi e del Conca. Dal punto di vista politico-amministrativo a cavallo delle Province di Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro-Urbino e della Repubblica di San Marino. A questo volume (quasi 750 pagine di grande formato) hanno collaborato una cinquantina di autori: studiosi di università e istituti di ricerca italiani ed europei.

Si tratta di un territorio in cui, a seguito a plurisecolari vicende estrattive ed umane, natura e cultura si intrecciano, contraddistinto da emergenze di valore assoluto specie in riferimento alle cavità artificiali: si pensi alla miniera di zolfo di Perticara (Novafeltria), chiusa nel 1964, all’epoca il massimo sito estrattivo solfifero d’Europa. Proprio nella riesplorazione, a distanza di oltre cinquant’anni dalle dismissioni, delle locali ‘solfatare’ va forse individuata l’attività maggiormente innovativa e tecnicamente complicata del progetto, portata avanti in ambienti ipogei estremi a carenza d’ossigeno”.

I gessi e i solfi della Romagna orientale raccontano la storia geologica della catastrofe ecologica che ha cancellato la maggior parte delle forme di vita del Mare Mediterraneo quasi 6 milioni di anni fa. Il mare si era trasformato in una enorme salina. Lo studio di queste aree rivela inoltre la storia di enormi frane sottomarine che hanno sconvolto la geografia dei fondali e delle coste dell’antico Mediterraneo.

A differenza delle altre aree carsiche gessose dell’Emilia-Romagna, la cui frequentazione da parte degli speleologi è stata relativamente assidua, i Gessi della Romagna orientale sono stati frequentati sporadicamente. “La presenza di limitate formazioni carsificabili, sparse e poco definite, con grotte, in genere, di scarso sviluppo, non ha certo incoraggiato né la frequentazione né tanto meno la nascita di gruppi speleologici locali”. Per breve tempo nella Romagna orientale ha operato la Società Speleologica Riccionese, che ha il merito di aver conseguito interessanti risultati esplorativi, e un effimero Gruppo Speleologico Sammarinese, che non ha lasciato traccia di sé. In sostanza, fino ad oggi, non sono mai nati, nell’area riminese, gruppi in grado di garantire, nel tempo, una seria e continuativa attività speleologica. Dopo le indagini pionieristiche di Giovanni Battista De Gasperi e Ludovico Quarina a inizio ‘900 e successivamente, negli anni ’60,  del naturalista romagnolo Antonio Veggiani, la quasi totalità delle esplorazioni speleologiche  in queste aree si devono a gruppi emiliano-romagnoli compiute negli ultimi decenni.

Piero Lucci nel suo lungo intervento racconta la storia delle esplorazioni spelelologiche nei gessi della Romagna orientale. Fra queste quelle delle realtà del nostro territorio: la Grotta del Pontaccio nella Repubblica di San Marino e la Grotta di Pasqua a Montescudo; la Grotta di Onferno a Gemmano, diventata di gran lunga la più nota cavità dell’area.

Le prime due fanno parte delle grotte nei Gessi del Rio Marano. La Grotta di Pasqua di Montescudo, con oltre un chilometro di sviluppo, è di gran lunga la cavità di maggior sviluppo di quest’area. La Grotta del Pontaccio è la cavità situata più a monte tra quelle che si aprono lungo il Rio Marano.

La Grotta di Onferno si inserisce nell’esiguo gruppo di cavità naturali il cui asse principale è facilmente accessibile attraverso due ingressi posti a monte e a valle. Questa peculiarità ha assecondato la sua fruizione turistica, che per contro ha creato non pochi problemi all’habitat originale. Nel volume poi Paolo Forti esamina il particolare tipo di mammellone di gesso presente nella Grotta di Onferno, Massimo Bertozzi la presenza dei pipistrelli, Francesco Grazioli e Alessandra Peron danno conto invece del progetto europeo sullo studio dei chirotteri a Onferno.

La seconda parte del volume è quasi interamente dedicato alla esplorazione della miniera di Perticara, la più grande miniera di zolfo d’Europa, con uno sviluppo di circa 100 chilometri di gallerie. Esplorazione che ha dovuto fare i conti con la carenza di area respirabile, con tutto ciò che questo significa: scelta delle attrezzature e degli strumenti di misurazione, i comportamenti da tenere, i presidi sanitari. Il documento più antico che parla dell’estrazione del zolfo a Perticara è la concessione del 1490 da parte della Santa Sede ai Malatesta. Dunque questa miniera fu attiva per quasi 500 anni. Straordinarie le foto che accompagnano gli studi, fatte nel corso delle oltre 40 missioni di esplorazione nelle gallerie della miniera.

Tra le centinaia e centinaia di pagine del volume si trova anche un saggio di Loris Bagli dedicato ad una realtà ormai completamente dimenticata del nostro territorio: la miniera di zolfo di Cà Morollo ubicata nella valle del Ventena, fra Gemmano e Montefiore Conca attiva fra la fine dell’800 e la cessazione delle attività avvenuta nel 1961.