HomeCulturaE la Pasquèla svela le radici più profonde della tradizione romagnola


E la Pasquèla svela le radici più profonde della tradizione romagnola


12 Febbraio 2018 / Paolo Zaghini

Gualtiero Gori: “Riveriti lor signori – Pasquelle e altri canti e balli tradizionali raccolti in Romagna” –  Editrice Mandragora.

Con questo nuovo libro Gualtiero Gori arricchisce la sua bibliografia legata all’esperienza vissuta con il gruppo musicale dell’Uva Grisa. Dopo i due volumi “La Barcàza” (vol. 1) e “La Sucità di Marinér” (vol. 2). Canti popolari dei pescatori di Bellaria-Igea Marina e balli di tradizione della Romagna (2008), “Se dormi svegliati. Serenate, canti d’amore, di nozze e ball tradizionali raccolti in Romagna” (2011), ora questo dedicato alla Pasquèla, canto rituale del solstizio d’inverno che appartiene al repertorio dei canti tradizionali di questua del ciclo Natale-Epifania, presenti in gran parte delle regioni italiane ed europee.

Gori ha fondato nel maggio 1981, assieme a Mario Arlotti, Mirco Malferrari, Vittorio della Torre il gruppo dell’Uva Grisa, di cui è tuttora direttore artistico. Dal 1991 dirige il Laboratorio di documentazione e ricerca sociale del Comune di Bellaria Igea Marina; presso lo stesso ente è responsabile del Servizio Beni e Attività Culturali – Politiche Giovanili.

Questo il manifesto programmatico del gruppo: “Per L’Uva Grisa al suo esordio, nel 1981, una delle maggiori spinte verso la riscoperta del mondo della tradizione è stato il bisogno di ricucire uno strappo generazionale, che i movimenti culturali e politici della contestazione, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, e ancor prima gli effetti del boom economico e della nascente società dei consumi, avevano accelerato ed esasperato. In molte circostanze l’urgenza del cambiamento dei costumi sociali e gli atteggiamenti fortemente ideologizzati dell’arte e della cultura di quegli anni, tendevano genericamente a far assimilare, nel mondo giovanile, la parola ‘tradizione’ a quella di ‘conservazione’ e di ‘reazione’. Si trattava quindi di avviare un processo di riavvicinamento alle generazioni più anziane e alla vecchia cultura popolare, attraverso il contatto vivo con le persone del proprio paese, mediante la produzione di esperienze pratiche: da un lato la ricerca sui vissuti e il patrimonio della memoria orale, dall’altro la sua ‘restituzione’ attraverso forme artistiche-spettacolari; un processo partecipativo, ancorato a nuovi valori e visioni identitarie della comunità e del territorio locale, concepito come crescita personale e di gruppo”.

Il gruppo de L’Uva Grisa in questi anni ha svolto, su questa linea, diverse indagini sui vissuti e le forme dell’espressione popolare. La sua azione si è poi sviluppata attraverso spettacoli di strada, concerti, feste da ballo, corsi didattici. Ha proposto un repertorio che si riallaccia a quello dei suonatori d’osteria, con canti contadini (canti rituali e narrativi), canzonette popolari, balli etnici (saltarelli, manfrine, vanderine) e balli di sala (valzer, polke e mazurche) composti tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento da autori romagnoli, spesso sconosciuti.

Il tempo della Pasquèla è la sera di vigilia, il 5 gennaio. Ritrovare la Pasquèla fu per L’Uva Grisa, ai suoi esordi, un fatto di fondamentale importanza: “assieme all’incontro con gli anziani cantori pescatori di Bellaria, ci fece comprendere meglio che l’eredità della cultura popolare, i suoi codici espressivi, i suoi spazi di socialità, non erano solo qualcosa di affascinante ormai irrimediabilmente perduto o relegato a studi specialistici presso biblioteche o archivi, ma erano qualcosa di vivo, vitale, contemporaneo, suscettibile di nuovi percorsi di vita, di relazione, di conoscenza e di creatività”.

La Pasquèla per L’Uva Grisa ha rappresentato, fin dall’esordio, un momento fondativo, una pratica “scaramantica” che il gruppo ha condiviso ininterrottamente, dal 1983 ad oggi: “non la si può saltare: neve o pioggia, in pochi o in molti, ogni anno la si deve fare”, e così è stato come testimoniano le numerose immagini delle varie edizioni riprodotte nel volume.

I gruppi dei Pasquarùl o Pasqualót, fino agli anni ’50, erano composti da soli uomini in numero variabile da 3 a 12 cantori, accompagnati da uno o più suonatori. In alcune zone nei gruppi erano presenti figure mascherate che rappresentavano i Re Magi e la Befana. Le Pasquelle erano a contenuto esclusivamente religioso; raramente solo profano. “Le strofe religiose sono espresse in italiano aulico e popolare, quelle profane nei dialetti locali”. Gli strumenti usati sono violino e chitarra, organetto, fisarmonica, mandolino e clarino. L’itinerario si svolgeva all’interno di uno spazio comunitario; fino agli anni ’50 ci si spostava a piedi, portando un cesto per la raccolta di doni, in rari casi si utilizzava un biroccio addobbato trainato da un asino. I doni alimentari e in denaro raccolti attraverso la questua venivano consumati da tutto il gruppo in un pasto collettivo con intrattenimento di musiche e balli.

“La Pasqua Epifania chiude il ciclo liturgico della Natività ed apre quello profano del Carnevale, che nell’Italia e nell’Europa preindustriale, arcaiche e contadine, rappresentava un periodo di straordinaria vitalità, di trasgressione, e restituiva alla comunità il diritto di star bene, di godere della propria esistenza, della propria allegria e dell’incontro con gli altri. A partire dall’Epifania, per tutto il tempo del Carnevale, avveniva l’annuncio pubblico dei fidanzamenti, si consentiva ai giovani di incontrarsi nei festini e comunicare attraverso il ballo, ci si poteva mascherare e, più che in altri periodi dell’anno, si mangiava, si beveva e ci si divertiva”.

Il volume, tra i tanti contributi presenti, contiene anche i risultati di una ampia ricerca che si è avvalsa di documenti storico-letterari e socio-antropologici, osservazioni dirette, trascrizioni di incontri con anziani testimoni di memorie individuali e collettive, raccolti in Romagna, dai primi anni Ottanta del Novecento ad oggi. Il cd allegato, accanto ai canti e alle danze tradizionali interpretati dall’Uva Grisa, presenta registrazioni sonore originali eseguite direttamente da anziani suonatori e cantori.

Infine vorrei ringraziare Gori per la dedica iniziale fatta al comune amico Nino Montanari (1941-2016). Una persona straordinaria che è giusto non dimenticare. Ricordo ancora oggi la festa in piazza don Minzoni a Coriano il 13 settembre 2003 per il suo pensionamento da direttore didattico allietata dalla musica de L’Uva Grisa e il ballo di gruppo con tutte le maestre di Coriano.

Paolo Zaghini