HomeCulturaLa Rimini che non c’è più e quella che non c’è mai stata


La Rimini che non c’è più e quella che non c’è mai stata


22 Luglio 2019 / Paolo Zaghini

Daniela Ricci Principato: “Botteghe storiche a Rimini” – Panozzo.

La signora Daniela Ricci Principato ha scritto questa ventina di articoli per il Corriere di Rimini fra dicembre 2015 e inizio 2018. Che l’editore Panozzo ha raccolto in questo libro. Articoli che raccontano le vicende di negozi storici in attività nel Centro Storico di Rimini. E i travagli attuali della rete commerciale (tanto è vero che diverse di queste attività narrate negli articoli, a distanza di poco più di un anno, hanno chiuso).

L’Autrice, signora di una certa età che ha vissuto sempre nel Centro Città, racconta le storie di questi negozi e dei loro gestori con un occhio nostalgico, pensando spesso “ai bei tempi che fu”. I mitici anni ’60 e ’70, quelli del boom economico e dell’espansione della capacità di spesa degli italiani.

In una fantasiosa intervista alla Città di Rimini, le fa dire: “Da capitale del turismo mi sono ritrovata a città del divertimentificio, quindi non più l’eleganza del primo Novecento, non più il turismo familiare e popolare degli anni Sessanta, ma l’inizio di una decadenza da signora un po’ acciaccata. Allora mi sono creata delle alternative: eventi, fiere, percorsi culturali, ma poi, ad un tratto, è come se avessi perso la mia identità con l’arrivo di tante persone lontane dalla mia cultura. Oggi vivo in questo spazio, sospesa tra passato e presente, ho faticato tanto a coltivare il bello, ma ora non riesco più a far capire che se una cosa è bella lo è per tutti e che solo il bello ci può cambiare in meglio”.

E lancia il proprio manifesto per una Città bella: “non voglio più interventi speculativi nella gestione del mio territorio, vorrei essere bella con strade ben tenute, marciapiedi praticabili, giardini fioriti, parcheggi sopra e sotto terra, servizi di trasporto leggeri ed efficienti giorno e notte. Insomma vorrei rassomigliare ad una città di media grandezza della nostra Europa di cui faccio parte, soprattutto il mio vecchio centro non deve diventare un museo”.

E’ in questo quadro di riferimento che tutte le interviste realizzate dall’Autrice giocano. Sulla crisi delle attività commerciali del centro storico riminese dice: “Bisogna tornare indietro nel tempo e ricordare come già negli anni Novanta la pedonalizzazione del centro storico, vista come traguardo di un vivere più umano, ma non accompagnata da strutture adeguate (parcheggi, mezzi pubblici capillari, servizi vari) abbia di fatto prodotto la chiusura di varie attività. Nello stesso tempo l’apertura dei centri commerciali, adatti su territori di metropoli molto popolate, ma assolutamente impropri nelle città più piccole ha ulteriormente peggiorato la situazione”.

Le difficoltà della nostra rete commerciale è sotto gli occhi di tutti, ma non è sufficiente dire che la colpa è della pedonalizzazione dei centri e dell’apertura degli iper (e nulla dice l’Autrice sulla terza causa che i commercianti indicano fra le motivazioni delle loro difficoltà: l’e-commerce informatico).

L’insieme dei negozi riminesi è fra quanto di più arretrato ci possa essere in confronto ad altre città della nostra grandezza, in regione e fuori. Per non parlare poi di alcuni comuni a noi limitrofi. Che a Rimini centro non ci sia oggi un negozio di un grande marchio di moda la dice lunga su quanto sia difficile affrontare per tutti questa piazza.

E allora, perché questo l’Autrice vuole fare, lasciamo spazio ai ricordi e ai rimpianti: piazza Tre Martiri “da sempre ha rappresentato il luogo del commercio e degli affari e le botteghe dei portici avevano fin dai secoli scorsi una tale varietà da destare l’interesse anche degli abitanti del circondario”. La piazzetta delle Poveracce: “Fino a quasi cinquant’anni fa l’attività principale della piazzetta era quella dei banchi delle vedove dei pescatori cui veniva data una licenza di commercio, quindi un sussidio pubblico, per la vendita di vongole e crostacei”. Sul mercato dei fiori in Piazza Tre Martiri: “Nel dopoguerra i fiorai erano più di venti, ora purtroppo sono rimasti soltanto in tre (nell’aprile 2016, ma nel 2019 soltanto uno)”.

La parola ai commercianti: per il responsabile del Caffè Turismo (all’angolo di Piazza Tre Martiri) “la formula vincente di questa attività è data da tre fattori: la posizione, intesa come luogo, impegno personale e prodotto offerto”. Probo Burnazzi, orefice di quarta generazione, con il negozio in Corso d’Augusto: “Non si può rimanere nel commercio in una città per più di 150 anni se non si gode di fiducia e stima. Non si può commerciare per tanto tempo se manca correttezza nei rapporti di lavoro sia con i clienti che con i propri fornitori”. Fabio Paolucci, commerciante di articoli casalinghi e da regalo in Via Cairoli: “La città non può diventare né un museo, né solo un luogo di svago. Il tessuto sociale necessita di servizi e strutture idonee”.

La parola anche a Marinella Falcioni, in rappresentanza degli associati in franchising o dei dipendenti gestori: “Nei centri commerciali il self-service sostituisce l’essere serviti e i commessi sono degli osservatori. A me piace interagire con la persona che ho davanti e in questo mi aiutano anni di esperienza lavorativa nel settore e la conoscenza di alcune lingue straniere. Il sapersi relazionare con il pubblico è di fondamentale importanza”.

Infine l’articolo sul Bar Dovesi: “Questo bar è sicuramente uno dei più conosciuti e rinomati del nostro centro storico (…). Negli anni ’60 la piazza [Tre Martiri] era il fulcro della vita sociale cittadina e questo era il luogo d’incontro dei ‘giovani leoni’, ragazzi riminesi che nei momenti di svago stazionavano dentro o fuori dal bar per conversare, guardare le coetanee di passaggio ed essere a loro volta oggetto di sguardi in un intreccio di saluti che facevano presagire nuove amicizie”.

Mia cara signora i ricordi della mia generazione, soprattutto per quanto riguarda gli anni ’70, sono molto diversi da questi suoi ricordi sdolcinati (che nulla centrano con il cambiare dei gestori): il Bar Dovesi era il luogo di ritrovo dei neofascisti e luogo di partenza dei loro raid e di rifugio poi, dei figli di papà con grosse moto e grandi macchine da esibire (prima della pedonalizzazione, quando piazza Tre Martiri era un parcheggio), della negazione di ogni impegno sociale e culturale, se non l’esercizio dello snobismo di una classe media cittadina arricchita e sborrona. Poi ci andavano i tramvieri dell’Atam, che lì faceva capolinea.

Come vede i ricordi possono essere molto diversi, così come le opinioni sulla crisi della rete commerciale cittadina. Tante le valutazioni sulle cause, ma qualcuna bisognerà pur farla anche sulle capacità (non dei singoli) ma della categoria di saper affrontare il nuovo che è venuto avanti.

Paolo Zaghini