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La terza Repubblica inizia dal peggio della prima


31 Marzo 2018 / Nando Piccari

Se il buongiorno si vede dal mattino, altroché l’avvento della “terza repubblica” preconizzato dal bamboccino 5 stelle che ultimamente gira vestito da lezioso manichino per sembrare uomo di governo. Al contrario, le mosse iniziali del dopo voto fanno tornare in mente il peggior mercimonio della prima Repubblica, quando le sorti delle Istituzioni democratiche venivano quasi sempre decise nelle “notti dei lunghi coltelli”, fra imboscate e trabocchetti che la Dc e gli aspiranti suoi alleati si tendevano a vicenda.

Il riferimento non è solo al gioco delle tre carte con cui leghisti e grillini hanno buggerato Berlusconi sulla presidenza del Senato, ma anche alla successiva manfrina, tuttora in corso, per decidere chi, fra Di Maio e Salvini, riesca a fare il premier.

Qualunque cosa succeda di qui in avanti, i grillini s’intestano però il merito di avere sventato un grave pericolo per il Paese: il temuto “inciucio” fra PD e Berlusconi. Aveva voglia Renzi, in campagna elettorale, a sgolarsi ripetendo “mai e poi mai”: quella del “patto del Nazzareno” era diventata la principale delle turbe psico-politiche che, per statuto, debbono affliggere il “grillino doc”; turbe che, come nel caso specifico, sono talvolta condivise anche dai non pochi “semi-grillini” che albergano in LeU (“più semi che grillini”, direbbe qualcuno…). “Per non saper né leggere né scrivere”, Grillo e il clan dei casaleggesi hanno allora ordinato a Di Maio la sola mossa che desse la matematica certezza di impedire “l’inciucio del Nazzareno”: farlo loro, i 5 stelle, l’accordo con Berlusconi!

Cosicché tutto il livore grillino sbandierato fino al giorno prima contro di lui, s’è ridotto alla piccola ipocrisia di non volerlo incontrare di persona e di bocciare la sua “prima scelta” per il Senato: il Sen. Paolo Romani, in quanto condannato per aver consentito alla figlia di usare impropriamente un suo telefono di servizio; e per questo sostituito nelle grazie dei grillini da una berlusconiana che invece – cuore di mamma! – la propria figliola l’aveva soltanto assunta a capo della sua segreteria al Ministero della Sanità.

In virtù del “lodo Grillusconi”, l’Italia acquisisce dunque, quale Vice-Presidente della Repubblica – tale è di fatto il/la Presidente del Senato – un’attiva fautrice delle “leggi ad personam” pro Berlusconi, che lei ha ferocemente difeso da avvocatessa in tribunale, da senatrice a Palazzo Madama, da “pasionaria” nelle manifestazioni di piazza contro i magistrati, da finta ingenua in televisione, dove ha sfidato il ridicolo dando ad intendere di credere alla storiella di Ruby nipote di Mubarak.

Una signora di ampie vedute, al punto di avere firmato una proposta per abolire la legge 194 sull’aborto; di essere favorevole alla riapertura dei casini (che lei chiama educatamente “case chiuse”); di essere fieramente contraria alle unioni civili; di avere nella sua sbrodolata d’investitura recitato un lacrimoso omaggio alle donne, escludendo però, c’è da presumere, quelle di loro che per diventare madri hanno fatto o faranno ricorso alla fecondazione eterologa, alle quali dedicò a suo tempo questo delicato pensiero: «L’Italia è piena di figli dell’eterologa perché frutto del rapporto di una donna col lattaio di turno».

Qualcuno dirà che, in fondo, queste stesse cose le pensa la stragrande maggioranza degli elettori forzisti, legaioli e seguaci della “Sora Lella” Meloni. Certo, e non solo. Le pensa pure la parte più troglodita e forse più numerosa degli elettori “cinque stelle”; con un’altra parte – quella dei coglioncioni una volta di sinistra – che finge di non accorgersene.

Alla Camera i grillini, dopo aver ripetutamente tentato di assaltarlo in passato a colpi di “squadrismo parlamentare”, hanno oggi finalmente occupato il banco della presidenza con uno dei loro più sanguigni pasdaran, in virtù del “do ut des” fra ex nemici divenuti alleati.

È però bastato che nel suo primo intervento presidenziale costui abbandonasse per una volta i consueti sproloqui da ultras grillino su «il Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno», sostituendoli con un discorsino di circostanza preparatogli dalla Casaleggio Associati, perché si levassero gridolini di apprezzamento da taluni sempre-imbronciati intellettuali della “sinistra chicchettosa”, fra cui non poteva mancare la “maestrina so tutto io” Nadia Urbinati. Con inconsapevole comicità, qualcuno di loro ha addirittura intravvisto nel neo-presidente di Montecitorio uno che, in fondo in fondo, sarebbe di sinistra; quasi che “un grillino di sinistra” non fosse un po’ come dire “un alcolista astemio”.

Naturalmente, molti di costoro fanno parte di quella composita congrega che tenta di spingere – finora, per fortuna, senza risultato – il PD a farsi stuoino dei 5 stelle: una sorta di “compagnia del soccorso a perdere” che ha al suo interno più variabili.

Ne fa parte quel mondo dell’economia e della finanza da sempre abituato a “legare l’asino dove vuole il padrone”, o ha imparato a farlo da poco, come a Bologna la Legacoop e il presidente della Fiera, che alla recente Cosmoprof s’è visto scondinzolare per ore dietro a Di Maio, riempiendolo di profumi e balocchi, oltre che di salamelecchi.

Ci sono poi i “martiri del senso di responsabilità a prescindere”, quelli che: “sì, va be’, Grillo sarà quel che è, ma come si fa? Prima di tutto il Paese…”.

Non mancano neppure, dentro il Pd, i “ponzi pilati” che all’idea di doversi riabituare a stare all’opposizione si sentono salire il groppo in gola, ma non hanno il coraggio di dirlo e così “la buttano” sul Presidente della Repubblica, ripetendo a getto continuo: “Benissimo l’opposizione, ci mancherebbe altro! Ma siamo sicuri che Mattarella ne sia contento?”; con ciò ricordandomi non tanto le prerogative e i limiti costituzionali del Capo dello Stato, quanto invece un quasi quotidiano tormentone della mia prima infanzia: “Guarda che così fai piangere Gesù”.

Ma fra gli spanditori di minchiate sull’ineluttabilità del gioioso incontro fra grillini e PD ce n’è uno che ha addirittura superato Cacciari: è Paolo Flores D’Arcais.

Secondo lui la cosa sarebbe semplicissima: Di Maio fa al PD il grande regalo di rinunciare alla Presidenza del Consiglio e insieme chi mandano a Palazzo Chigi? Nientepopodimenoché Pier Camillo Davigo, ossia la virtuale “risultante politica” di Ingroia e La Russa mescolati assieme!

Vista la cosa dalla parte del PD, sarebbe come se ad un individuo che stia vivendo una profonda crisi esistenziale qualcuno dicesse: “Non ti resta che il suicidio, lo capisco. Ma non buttarti dal terrazzo di casa tua, che forse non è abbastanza in alto; per andare a botta sicura gettati da un ponte dell’autostrada”.

Sarebbe comunque divertente un bel governo presieduto da Davigo, magari con ministri a sua immagine e somiglianza, tipo De Magistris, Emiliano, Di Pietro, Nordio, Woodcock e naturalmente Ingroia.

A quel punto occorrerebbe però cambiare in questo modo l’incipit della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica inquirente, fondata sul sospetto”.

Nando Piccari