HomeCulturaMiniere di zolfo tra Marche, Romagna e San Marino


Miniere di zolfo tra Marche, Romagna e San Marino


16 Aprile 2018 / Paolo Zaghini

Miniere sulfuree e carbonifere tra Sogliano al Rubicone, Repubblica di San Marino e Perticara

A cura di Cristina Ravara Montebelli

Bookstones – Società di studi storici per il Montefeltro

Un anno fa recensendo lo splendido volume dedicato dalla Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna alla conoscenza dei fenomeni carsici del gesso e quello, inusuale e pericoloso, del zolfo posti tra le vallate del Rabbi e del Conca (“Gessi e solfi della Romagna Orientale”, Carta Bianca Editore) ho conosciuto la ricchezza delle cavità naturali e artificiali presenti nelle tre province  di Forlì-Cesena, Rimini e Pesaro-Urbino e nella Repubblica di San Marino.

Oggi questo nuovo lavoro, curato da Cristina Ravara Montebelli, a conclusione di tre giornate di incontri e di studio promossi dalla Società di studi storici per il Montefeltro, ci consente di conoscere il duro lavoro legato alle varie tipologie di attività estrattiva e lavorativa mineraria nei nostri territori.

Fabio Fabbri, Davide Fagioli e Pier Paolo Magalotti ci raccontano delle miniere di Sogliano e della Valle del Savio. “In Romagna l’attività industriale mineraria più importante è indiscutibilmente quella legata all’estrazione e lavorazione dello zolfo” dice Fabbri, ma poi si sofferma a lungo sulla lignite (carbone fossile con modesto potere calorifero) presente a Sogliano: “L’introduzione del sistema autarchico in Italia durante il periodo fascista” imposto dopo le sanzioni per la guerra in Etiopia nel 1935, “ha stimolato le ricerche di combustibili fossili di grande rilevanza strategica fra i quali rientrava anche la lignite”. Anche se era dalla fine del Settecento che questa presenza fossile era nota e di cui più volte si era tentata la lavorazione. Magalotti invece si sofferma sulla chiusura nel 1962 della miniera di zolfo di Formignano di proprietà della Società Montecatini spa e sulla voglia di conoscere ciò che era stata l’industria mineraria in Romagna. Così racconta della nascita il 9 marzo 1987 della “Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria” con sede a Borello di Cesena, il centro del bacino minerario che sin dall’Alto Medioevo aveva fornito zolfo ad ogni parte del mondo. “L’attività delle miniere di zolfo romagnole conobbe una grave recessione a partire dalla fine del 1800. Le cause principali furono la concorrenza dello zolfo siciliano” e l’arrivo sul mercato dello zolfo statunitense.

Conrad Mularoni e Cristiano Guerra, Cristina Ravara Montebelli, Claudia Malpeli e Vanna Tabarrini invece ci raccontano dei tentativi di estrazione dello zolfo e della lignite nella Repubblica di San Marino. Splendido è il racconto della Malpeli e della Tabarrini sulla esplorazione delle carte sammarinesi su questo tema nella Biblioteca di Stato, da inizio Ottocento ai primi anni ’60 del Novecento.

Infine Luca Gorgolini e Silvia Crociati ci raccontano della comunità mineraria di Perticara e Cabernardi attorno alle miniere di zolfo, “vere e proprie isole industriali immerse in un mare di ruralità”. “Costituiscono due delle maggiori concentrazioni di operai presenti nell’intero territorio regionale [marchigiano]: nel 1901 la miniera di Cabernardi dà lavoro a poco più di 300 operai, saliti a 800 nel 1921 e a 1.600 nel 1939; passando alla miniera di Perticara, vi lavorano 340 dipendenti nel 1912, 800 circa nel 1921, poco meno di 1.500 nel 1939. Nel secondo dopoguerra, negli anni 1946-1952, immediatamente precedenti l’avvio della loro crisi, le due miniere occupano rispettivamente una media annua di circa 1.500 e 1.400 operai”. Importante la considerazione sociologica di Gorgolini: “Una ‘aristocrazia operaia’, costretta ad un lavoro tra i più pericolosi in assoluto, nelle ‘viscere’ della terra, in grado però di sviluppare atteggiamenti mentali e modelli culturali estranei al mondo contadino in cui questa si trova inserita e con cui condivide, almeno sul piano temporale, gli ultimi moti di un’orgogliosa protesta che precede l’inevitabile resa”.

I dati che Gorgolini rende noti sulle morti in queste due miniere sono drammatici: 130 a Cabernardi, 200-250 in quella di Perticara. La conferma che il lavoro nelle miniere avviene in “uno dei luoghi più duri e pericolosi in assoluto”. Cabernardi cessa l’attività nel 1954 e chiude definitivamente nel 1959, Perticara chiude nel 1964, “anno in cui cessa ogni attività mineraria solfifera nelle Marche”.

Silvia Crociati invece racconta il lungo percorso resosi necessario per la sistemazione dell’archivio della miniera di zolfo di Perticara. La miniera di Perticara negli anni Trenta “divenne la più grande d’Europa e tra le più grandi del mondo per estensione sotterranea, con una superficie di ca. 500 ettari, 100 km. di gallerie e rimonte, 8 livelli interni, 4 discenderie, 7 pozzi per raggiungere una profondità massima di 400 m.”.

Il recupero del patrimonio documentario della miniera di zolfo è soltanto l’ultimo, in ordine di tempo, degli interventi finalizzati alla salvaguardia della memoria del lavoro dei minatori a Perticara dopo la chiusura dello stabilimento. Nel 1970 è stato istituito il Museo storico minerario “Sulphur” (dal 2002 nell’attuale collocazione presso l’ex cantiere Certino), uno dei primi esempi di archeologia industriale in Italia per la ricchezza della strumentazione scientifica conservata. Nel 2005 la Soprintendenza archivistica per le Marche ha dichiarato l’archivio della miniera di interesse storico particolarmente importante. Nel 2011 è stato poi avviato un progetto di riordino e inventariazione della documentazione, conclusosi nel 2013, finanziato dal Parco dello zolfo delle Marche. Con questo intervento si è ‘salvata’ la documentazione rimasta all’interno degli uffici dopo l’abbandono degli stabilimenti e la chiusura delle attività. A questo materiale si sono uniti poi, nel corso degli anni, documenti recuperati sul mercato antiquario, da privati o acquisiti da altri stabilimenti Montecatini. Il risultato finale  di questo lavoro di riordino delle carte è la realizzazione di una banca dati informatizzata messa a disposizione dall’Istituto per i Beni Culturali dell’Emilia-Romagna, consultabile sul portale IBC Archivi.

Può essere certamente soddisfatto il Presidente della Società di studi storici per il Montefeltro, prof. Roberto Monacchi, per il lavoro fatto dalla sua Società per rendere noto questo importante patrimonio storico e culturale.