HomeCulturaPerché la Romagna è terra di castelli


Perché la Romagna è terra di castelli


15 Gennaio 2018 / Paolo Zaghini

Angelo Turchini, Mirko Orioli, Marco Viroli, Paola Novara, Cristina Castellari: “La Romagna dei castelli e delle rocche” – Il Ponte Vecchio.

Agli Autori del libro l’Editore ha chiesto: assumere le rocche e i castelli non solo e non tanto per la loro struttura architettonica e per il loro possibile valore turistico, ma soprattutto per quel che significarono nella storia, anche personale, dei protagonisti che li abitarono, per le vicende che determinarono e per il peso che vi ebbero: dunque una storia di cuori, di menti, di caratteri e di destini prima che di pietre e di forme, così da costruire un libro unico, sia per la vastità della ricerca, sia e in particolare perché storia di donne, di uomini, di città dentro la loro rocca”. Così Eraldo Baldini nella presentazione del volume.

La diversità degli Autori, le loro storie culturali personali, il diverso modo di scrivere di ognuno hanno in realtà determinato un insieme eterogeneo e non sono convinto che la mission affidata dall’Editore sia stata pienamente raggiunta. C’era comunque la necessità di una nuova opera generale sui castelli di Romagna: l’ultima pubblicazione generale era quella di Carlo Perogalli “Castelli e rocche di Emilia e Romagna” (edita da Gorlich e De Agostini nel 1972, e ristampata nel 1981). E poi tante opere, decine e decine, sui singoli castelli.

Pensate che solo nel Riminese sono stati contati 103 castelli e “tombe”. L’incastellamento avvenne in Romagna tra Medioevo e Evo Moderno, e durò quasi cinque secoli fra Mille e Millecinquecento: la causa principale fu l’indebolimento dell’autorità imperiale, ormai non più in grado di proteggere i territori dalle incursioni dei popoli che venivano dal nord o dal mare. In Romagna inoltre questo fenomeno fu accentuato dagli scontri fra potenti famiglie, a capo delle principali città.

“La funzione principale dei castelli fu quella di controllare il territorio” e “Le fortificazioni medievali in Romagna presentano una grande varietà di tipologie” (Paola Novara). Ci sono quelli dentro le città e quelli piazzati sulle cime delle colline. Ma “sta di fatto che oggi in Romagna, in vario stato di conservazione, restano meno del 40% dei tanti fortilizi che furono eretti, quasi nessuno di questi è visitabile, mentre il 60% è completamente scomparso. E’ perciò di fondamentale importanza cercare di preservare dall’oblio e dalle ingiurie del tempo e dall’incuria le costruzioni superstiti, testimoni di un’epoca passata da cui tutti noi discendiamo, preziose vestigia della nostra storia, della nostra cultura, dell’evoluzione della nostra civiltà” (Marco Viroli).

Angelo Turchini ha raccontato le vicende dei castelli del Riminese; Mirko Orioli quelle dei castelli del Cesenate; Marco Viroli quelle dei castelli del Forlivese; Paola Novara quelle dei castelli del Ravennate e del Faentino; Cristina Castellari quelle dei castelli di Imola. Ne è venuto fuori un volume di oltre 600 pagine.

Turchini, che già in passato si è occupato più volte dei castelli malatestiani, ha ricostruito le vicende di Castel Sismondo a Rimini, della Rocca di Santarcangelo di Romagna, dei castelli di Torriana, Montebello e Poggio Berni, del castello e delle rocche di Verucchio, del castello di San Leo, del castello di Coriano, delle rocche di Montescudo e Monte Colombo, del castello di San Giovanni in Marignano, della rocca di Montefiore Conca, della rocca di Mondaino e del castello di Montegridolfo, della rocca di Sant’Agata Feltria e del castello di Gradara.

“Non v’è dubbio che per mole, imponenza, soluzioni costruttive si rimane colpiti dai resti di questi monumenti: ognuno di essi porta l’impronta di varie fasi, di rimaneggiamenti, ricostruzioni, frutto di un prolungato uso, di continui adattamenti alle mutate situazioni, talora sino ad una perdita d’identità della struttura difensiva. Insomma, il territorio riminese possedeva un ricco apparato di torri, castelli, ‘tumbae’. Ogni signore, grande e piccolo, curava attentamente questi strumenti di dominio, oltre che di residenza. La signoria malatestiana gradualmente assorbe ed espande questo sistema territoriale”.(Angelo Turchini).

L’area della Valmarecchia, come quella della Valconca, ha costituito una zona di confine a lungo contesa fra più presenze tra loro contrapposte: dai poteri vescovili – ravennate, riminese e feretrano – ai quelli imperiale e papale, mediati dalla feudalità imperiale dei conti di Carpegna e dai vicariati pontifici concessi ai Malatesta e ai Montefeltro; pressoché unificato sotto la signoria malatestiana fino alla metà del ‘400.

La città di Rimini estende il suo dominio su tutto il suo contado. Baldini, citando Machiavelli che parlava della Romagna come terra fuorviata, scrive di una realtà “profondamente baronale e feudale da non essere nemmeno sfiorata dalla civiltà comunale, e cioè dal senso di una comunità solidale che si dà reggimenti propri, che si fa repubblica: da noi hanno spazio signorotti di campagna stretti alle loro rendite fondiarie, chiusi nei loro castelli: contado, non città. Così si spiega, in parte, il fiorire dei castelli e delle rocche nei secoli finali del Medioevo, almeno fino a quando si apre la fase dell’inurbamento e del lento nascere dei Comuni, delle lotte intestine tra gli antichi briganti ora arricchiti e ferocemente impegnati nel gioco dell’egemonia cittadina e, a danno dei vicini, nella lotta per il dominio del territorio circostante e delle località vicine”.

Secoli terribili, di miseria e di sangue, da cui emerge la figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468) di cui abbiamo appena festeggiato i 600 anni della nascita.

La bibliografia finale del libro è assai ricca, elencando per ogni castello trattato nel libro il repertorio delle pubblicazioni edite. Da questa bibliografia vorrei trarre, per indicarli ai lettori, alcuni volumi: per Rimini “Castel Sismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta” a cura di Carla Tomasini Pietramellara e Angelo Turchini (Ghigi, 1985) e “Castel Sismondo, Sigismondo Pandolfo Malatesta e l’arte militare del primo Rinascimento” a cura di Angelo Turchini (Il Ponte Vecchio, 2003); per Verucchio, M. Giovanna Giuggioli “Guida al Castello malatestiano di Verucchio” (Pazzini, 1996); per San Leo, Nevio Matteini “San Leo. Guida storica e artistica” (ultima edizione, la 18.a, aggiornata da Annio Maria Matteini Città di San Leo, 2010); per Coriano “Il castello di Coriano: ricerche archeologiche e architettoniche” a cura di Marcello Cartoceti (Comune di Coriano, 2004); per Montefiore Conca, “Montefiore Conca: passato e futuro della Rocca Malatestiana” a cura di Carlo Giunchi (Maggioli, 2003); per Mondaino, Giovanni Rimondini e Dino Paolloni “Il castello e la rocca di Mondaino” (Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e Comune di Mondaino, 1998); per Gradara, Maria Rosaria Valazzi “La rocca di Gradara” (Novamusa del Montefeltro, 2003).

Paolo Zaghini