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Quei ragazzi del dopoguerra fra campagna e città


26 Febbraio 2018 / Paolo Zaghini

Lidia Maggioli: “Maggiorenni nel Sessantotto” – Aletti.

Eugenia, la protagonista del nuovo romanzo di Lidia Maggioli, è nata nel 1947 e compirà 21 anni nel 1968 quando, per la legge di allora, si diventava maggiorenne. Ma la trama del racconto si sviluppa per gran parte negli anni ’50, quando Eugenia frequenta le classi della scuola elementare nel paesino di Collina in cui è nata (facile immaginare un abitato nell’alta Valmarecchia). Sino ad arrivare al momento topico della narrazione dell’esame di quinta elementare.

Lidia Maggioli, riminese, è stata insegnante di storia e filosofia e poi dirigente scolastico. Con questo testo arriva al suo quarto romanzo dopo “Vincenzo, Malick e la lunga marcia di Evelina” (Fulmino, 2009), “Il salto della rondine” (Ibiskos, 2010), “L’ albero delle arance amare” (Montedit, 2015). Con il marito, Antonio Mazzoni, ha inoltre editato alcuni volumi sugli ebrei riminesi: “Con foglio di via. Storie di internamento in Alta Valmarecchia 1940-1944” (Il Ponte Vecchio, 2009), “Spiagge di lusso. Antisemitismo e razzismo in camicia nera nel territorio riminese” (Panozzo, 2017). Ha curato anche l’autobiografia di Cesare Moisè Finzi, medico, attivamente impegnato nella vita della comunità ebraica ferrarese , “Qualcuno si e salvato ma niente è stato più come prima” (Il Ponte Vecchio, 2006).

La protagonista Eugenia frequenta la scuola che era “un palazzaccio solitario in vetta alla collina, le aule tutte uguali e con gli stessi difetti. Dai finestroni che facevano passare la luce entrava pure il vento”. E’ figlia di una maestra, nipote dell’altra, ma “a me e a Liliana [la cugina] era toccato l’unico maschio diplomato maestro di cui ci fosse memoria nella storia del paese” e che rifiuta, al contrario delle sorelle maestre, di bocciare alunni in gran parte figli di contadini illetterati.

A scuola “quando faceva tanto freddo il grembiule non si vedeva, bisognava tenersi addosso sciarpa e cappotto. D’inverno si avvertiva di più anche la fame che per la maggioranza di noi era sempre presente, fastidiosa, pungente”. Come la maestra mamma “nessuno dei colleghi era altrettanto bravo nell’ottenere disciplina e risultati a suon di scapaccioni”.

In quinta, “a fine maggio si aspettava con ansia la prova di esame. Mancavano pochi giorni. Le classi di allora erano numerose quanto le famiglie di Collina, che in genere contavano molti figli. Per molti ragazzi di Collina il tema era un vero rompicapo, e non è che potessero farsi aiutare da genitori che non sapevano tenere la penna in mano e masticavano solo il dialetto”. Eugenia prova ad aiutare quanti più compagni le riesce e ne esce fuori un gran pasticcio: con abilità l’autrice riesce ad imprimere al racconto una verve umoristica piacevole ed accattivante.

L’esame è l’ultimo atto di Eugenia nel paesino di collina, poi con la famiglia si trasferirà a Ravenna dove il padre, dipendente delle poste, è stato spostato su sua richiesta per risolvere un grave problema familiare con la moglie maestra, tentata da una scappatella con il direttore delle poste locali.

E poi c’è Arturo, il compagno fidato, l’amico di avventure, “l’eccezione che conferma la regola, il caso miracoloso di un ragazzo nato e cresciuto in una famiglia senza istruzione, ispirato direttamente dal cielo”. I ragazzi di Collina si disperderanno per effetto del processo di inurbamento e abbandono delle campagne che investe in quegli anni questi territori. Eugenia, dopo l’università, diventerà giornalista, Arturo medico e si ritroveranno a metà degli anni ‘70 quando Eugenia, per il suo giornale, ricercherà i vecchi compagni di scuola per raccontare le loro vite dopo l’esame di quinta elementare.

Così scopre che Arturo pensa di tornare a Collina e di far rinascere la fattoria in cui è nato: “Vorrei far ripartire la tenuta. Quello che mi sono lasciato alle spalle mi manca troppo”. E chiede a Eugenia di entrare anche lei in questo progetto, con le sue idee fantasiose ma anche con la speranza di un amore prossimo venturo.

Difficile dire quanto di autobiografico ci sia in questo racconto lungo, ma sicuramente l’esito finale è un libro piacevole che sa raccontare bene le avventure di un gruppo di ragazzini fra campagna e città nei decenni successivi alla fine della guerra.

Paolo Zaghini