Le ultime piogge? «La diga di Ridracoli non se n’è nemmeno accorta». Quanta acqua ci resta allora? «Se non pioverà in modo significativo ne abbiamo ancora per otto, dieci settimane». Allora dobbiamo preoccuparci? «No, perché il nostro è un sistema integrato che non dipende solo dalla diga e perché in passato ci sono state situazioni anche peggiori. Certo, manteniamo alto il livello di attenzione».
E’ Tonino Berrnabè, presidente di Romagna Acque, a fare il punto di un situazione che dunque risulta seria, ma sotto controllo: «Abbiamo visto nei mesi scorsi interruzioni del servizio idrico in parecchie zone d’Italia a causa di una siccità persistente, mentre in Romagna i cittadini hanno ricevuto l’acqua tutti i giorni regolarmente, nonostante un flusso turistico che quest’anno è anche aumentato».
Ma oggi come sta l’invaso di Ridracoli? Attualmente ci sono circa 8 milioni di metri cubi d’acqua, sui 33 milioni che potrebbe contenerne; tenuto conto che le acque più vicine al fondale non sono utilizzabili, restano effettivamente a disposizione solo circa 4 milioni di metri cubi. Non siamo ancora ai livelli del 1994, quando la diga conteneva appena 4,8 milioni di metri cubi, o del 2011, quando erano 5,2 milioni. Ma per non arrivarci avremmo bisogno di pioggia costante per diversi giorni e non di temporali che, fra l’altro, con la loro violenza rappresentano anche un danno dal punto di vista idrogeologico. «Se cadessero 50 millimetri di pioggia – calcola Bernabè – a Ridracoli avremmo mezzo milione di metri cubi in più; se fossero 100 millimetri, sarebbero due milioni e mezzo; con 150 millimetri ne arriverebbero 4 milioni».
E allora come mai possiamo stare tranquilli? «Grazie, appunto, al nostro sistema che integra l’acquedotto di Ridracoli con il CER, il Canale Emiliano-Romagnolo che ci serve dal 2015 e che proprio di recente è giunto a Torre Pedrera: sono 20 milioni di metri cubi d’acqua in più che fanno la differenza. Poi ci sarebbero anche le conoidi del Marecchia e del Conca, ma attualmente i fiumi sono in secca». Tanto che nella diga del Conca ormai c’è poco più che del fango e viene lasciata aperta per mantenere almeno il fiume.
Dunque emergenze a breve termine non sono all’orizzonte. Ma è sul lungo periodo che le preoccupazioni devono esserci, eccome. Se si esamina l’andamento di Ridracoli negli ultimi anni, si nota che si sono verificate crisi nel 2003, 2007, 2011, 2012, 2017: sempre più frequenti. I cambiamenti climatici si vedono eccome e c’è un altro fatto che li conferma: in passato Ridracoli si riempiva fino all’orlo due volte all’anno, in autunno e in primavera, mentre ora non succede più, il “colmo” arriva una sola volta verso la fine dell’anno e di conseguenza l’acqua a disposizione è sempre di meno. D’altra parte, Romagna Acque nel 2017 arriverà probabilmente a fornire 114 milioni di metri cubi, 8 milioni in più rispetto a tre anni fa. Eppure grazie al sistema flessibile della rete idrica romagnola non si è mai arrivati a interruzioni del servizio o a razionamenti.
Ma certamente per il futuro nemmeno questo basterà. «Dobbiamo agire per tempo – sottolinea il presidente di Romagna Acque – per esempio iniziando a considerare il risparmio idrico un elemento da incentivare nell’edilizia, quella nuova e nelle ristrutturazioni, come già avviene per il risparmio energetico e la sicurezza anti-sismica. Esistono molti sistemi per economizzare sull’uso dell’acqua, come prevedere cisterne per la raccolta delle acque piovane, reti “duali” che riciclano l’acqua dei lavandini e delle docce per gli scarichi dei wc, dove noi oggi continuiamo a buttare acqua potabile. Oltre naturalmente agli investimenti sulle reti idriche, che però noi in Romagna abbiamo fatto. Spendiamo come in Germania e in Gran Bretagna, dove però l’acqua al cittadino costa il doppio. E il risultato è che la percentuale di acqua che va persa da noi arriva sì e no al 20%, la metà della media italiana. Perdite che si verificano solo nelle reti urbane e in parte sono fisiologiche, perché le condotte che passano sotto le strade trafficate ovviamente si deteriorano più velocemente e si rompono più spesso; nella condotta principale le perdite sono invece pressoché pari a zero».
Ma servirebbero altre dighe? Oppure nuovi pozzi per attingere e falde? «Senza dubbio opterei per la prima soluzione – risponde Bernabè – ma non grandi impianti, bensì mini invasi di vallata. Che fra l’altro sarebbero un freno anche allo spopolamento e in definitiva alla conservazione di un ambiente sano, che è poi quello che ci dà l’acqua buona. I pozzi, oltre ai problemi di subsidenza, vanno a prendere acque spesso già compromesse dall’antropizzazione».
«Di certo – conclude Bernabè – l’acqua è un bene troppo prezioso perché vada sprecato, anche in zone fortunate come la nostra. teniamo anche conto che il 50% del consumo è destinato all’agricoltura, un altro 25% alle attività industriali: quella che arriva nelle nostre case è la percentuale minore. Eppure ciascuno di noi può fare qualcosa».