HomeCronacaSto anch’io con quel Publiphono che un giorno disse: “E’ stato smarrito un bimbo di nome Nando”


Sto anch’io con quel Publiphono che un giorno disse: “E’ stato smarrito un bimbo di nome Nando”


11 Giugno 2018 / Nando Piccari

Meno male che la domenica, dopo aver aperto il computer, vado subito a leggermi l’articolo settimanale di Lia Celi. Altrimenti ieri mattina, quando intendevo iniziare a scrivere a mia volta sulle “fisime di protesta contro il publiphono”, mi sarei inconsapevolmente trovato a “duplicare” molte delle sue argomentazioni che condivido pienamente, senza però l’invidiabile verve a cui lei ci ha abituato, con la quale riesce a “smazzolare” il bersaglio di turno a colpi di “terribile leggiadria”.

Lì per lì ho creduto naturale cambiare tema, ma ripensandoci mi sono poi convinto di poter aggiungere anch’io qualcosa sull’argomento.
Ha ragione Lia a chiamare snob i cinquanta postulanti la chiusura del publiphono. La loro è una di quelle paturnie che definirei “saputel-gabbiette…di scuola casaleggese”; tipiche, cioè, di chi ha l’aria di dire: “Fosse pro domo mea, transeat. Ma lo fo per asserire un diritto della collettività, ohibò!”.

È uno snobismo ben diverso da quello che ho conosciuto in spiaggia negli anni delle mie vacanze estive trascorse lavorando presso l’allora Bagno 5 (oggi 11), nel cuore di Marina Centro; la cui “prima fila”, insieme a quelle dei Bagni 4 e 6, costituiva una sorta di “rassemblement de la crème de la crème” della Rimini del tempo: signore che “non pendevano di un filo”, con mariti annoiati che sotto l’ombrellone li vedevi solo la domenica.

Era evidente che quella “meglio riminesità” non nutrisse alcuna particolare simpatia per il bigiornaliero vociare dell’altoparlante sopra le sue teste. Tanto più che esibiva pargoli compostini ed assennati, del tutto immuni dal rischio di smarrirsi; che usava soltanto creme solari acquistate “da Renato”; che praticava da sempre, senza bisogno di consigli, la regola delle tre ore prima di bagnarsi; che alle pubblicizzate sagre serali nell’entroterra, preferiva il settimanale ritrovarsi in qualche villa di Viale Principe Amedeo o di Covignano.

Nonostante ciò, la manifestazione di fastidio di quei “riminesoni” verso il publiphono non andava al di là di alcune battute, magari non raffinatissime (“Alè, ricomincia la rumba”; “Oh, mai che si perdesse una bonona di vent’anni…”), con un intento canzonatorio non dissimile da quello riservato a me, quando nelle pause mi vedevano leggere “l’Unità” (“Ehi compagno, che ordini ti arrivano oggi da Mosca?”).

Un po’ meno “benevole” erano le ironie rivolte alla mia folta barba nera e – oggi mi sembra incredibile – all’abbondante chioma che esibivo all’epoca. Il caso più eclatante fu quello di una signora che, dopo aver tentato a lungo e inutilmente di regalarmi diecimila lire (metà del mio stipendio) affinché mi tagliassi barba e zazzera, prese poi a usarle come deterrente verso i capricci della figlioletta (oggi pure lei signora della “Rimini bene”): la sollevava davanti a me e con fare molto poco montesorriano le scandiva «Vedi quant’è brutto? Ti faccio mangiare da lui!»

Tornando al publiphono, il perché della “indulgenza” che gli veniva riservata dalle “prime file” di Marina Centro aveva una motivazione ben precisa, a suo modo nobile. Quella riminesità, infatti, sapeva e non poteva dimenticare che il publiphono – come ha ben ricordato Lia – era (e ancor oggi continua ad essere) la “derivazione balneare”, consolidatasi nel tempo, di una splendida avventura di vent’anni prima, chiamata “Voci della città” e nata dalla precoce maestria giornalistica del giovane Sergio Zavoli e dall’estro tecnico-imprenditoriale di Renato De Donato. I quali, con quel loro “giornale parlato a cielo aperto”, seppero offrire alla frastornata Rimini dell’immediato dopoguerra una prima ventata di fiducia e di speranza nella rinascita.

A tutto questo debbo infine aggiungere una personalissima ragione di gratitudine verso il publiphono, per essere stato anch’io uno delle migliaia di bambini persisi in spiaggia e ritrovati grazie a lui.

Ne ho ancora oggi un ricordo indelebile. Ho cinque anni, mio fratello Dede tre e nostra madre ci porta in spiaggia davanti a Piazza Tripoli. Sto giocando vicino all’acqua quando scorgo, distante alcune decine di metri, un aquilone che una bambina tenta con poco successo di far volare. Accortomi che la mamma in quel momento non mi guarda da sotto la tenda, decido di avventurarmi. È la prima volta che vedo un aquilone tanto bello, chiaramente comprato e non di quelli che alla Grotta Rossa ci fabbrichiamo da soli, con fogli di giornale e colla di farina e aceto. La bambina che lo conduce, molto carina, mostra di non averne particolare dimestichezza, così le do qualche suggerimento e lei, per ricompensa, me lo fa ripetutamente “guidare”, fino a che non arriva sua mamma a portarla via.

Decido a quel punto di tornare sui miei passi, ma mi confondo e m’incammino nella direzione opposta, allontanadomi ancora di più. Inevitabilmente inizio a piangere, suscitando l’attenzione di alcune persone che si danno subito da fare per consolarmi, cercando di capire da dove io provenga. Per fortuna dal publiphono arriva però ben presto il liberatorio «è stato smarrito un bambino di nome Fernando ecc, ecc.», così due signore possono accompagnarmi al mio bagno, dove io e la mamma ci abbracciamo in lacrime, circondati dai vicini di tenda, anch’essi emozionati. A sdrammatizzare la situazione arriva però una corale risata, allorchè alla domanda della mamma «ma perchè ti sei allontanato così tanto?» rispondo fra i singhiozzi «c’era una bambina che mi piaceva».

Post Scripum

A GEMMAMO HANNO LA TESTA
Riziero Santi ha rivinto, stracciando quel suo vicesindaco che nel “santino elettorale” sembrava un indossatore dalla “puppola” impomatata. Costui, dopo essere stato per cinque anni il docile e “pecoresco” numero due di Santi, in “zona Cesarini” ha deciso gli fosse più consono arretrare fino allo zero, buttandosi fra le amorevoli braccia di un pittoresco signorotto locale che ad ogni elezione ci riprova, senza tuttavia essere mai riuscito a vincere neppure una briscola.
E sì che a perorare la causa del vicesindaco “iscariota” era addirittura arrivato il bullesco appello del neo-Ministro attaccabrighe dell’Interno Salvini, che ha così ricevuto un corale pernacchione dagli elettori di Gemmano.

Nando Piccari