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Uno bianca, ancora tanto da dire


8 Maggio 2017 / Paolo Zaghini

Alberto Gagliardo: La lunga strage: La “Uno Bianca” a Cesena – Il Ponte Vecchio.

45 - Gagliardo

Tra il 1987 e l’autunno del 1994 un gruppo di poliziotti infedeli (in tutto 5 agenti) commisero fra Emilia-Romagna e Marche 103 azioni delittuose,che provocarono la morte di 24 persone ed il ferimento di altre 102. Sono passati alla storia come la banda dell’Uno bianca.

Sono ormai una decina i libri usciti dal 1995 che raccontano le vicende di questi banditi. L’ultimo, il libro di Alberto Gagliardo, professore di Lettere distaccato presso gli Istituti Storici di Cesena, Forlì e Rimini per lavorare con le scuole del territorio, mette il focus su Cesena, che fu per molti versi la patria dei maggiori responsabili: i tre fratelli Savi. A Cesena colpirono 20 volte e provocarono 5 feriti e 3 morti. Ma di Cesena è anche il senatore Libero Gualtieri (1923-1999) che in quanto presidente della Commissione Stragi (negli anni fra il 1988 e il 1992) si fece paladino per anni di una lunga battaglia per la verità, “che forse non è terminata con le condanne definitive dei colpevoli”.

Criminalità comune o criminalità politica? Nell’introduzione Sergio Dini, magistrato padovano che a lungo si è occupato di organizzazioni terroristiche, afferma: “Le ricostruzioni giudiziarie hanno sostanzialmente sancito essersi trattato di fenomeno di delinquenza comune, ancorché realizzato da soggetti che vestivano una divisa e che, in quanto poliziotti, avevano ruoli e funzioni ‘istituzionali’. Quello che è certo è che i crimini della Banda ebbero un effetto ‘terroristico’ a Cesena e in tutta la Romagna, se per ‘terrorismo’ si intende quella particolare forma di tattica di violenza politica volta a generare paura o costrizione attraverso attacchi contro obiettivi civili indiscriminati”.

E prosegue in merito ai tempi lunghi occorsi per risolvere la drammatica vicenda: “Negligenza, impreparazione e gelosie sono state a mio avviso i fattori che hanno impedito di affrontare in modo pronto e adeguato la Banda dell’Uno bianca, fattori che hanno poi trovato il loro ingrediente finale, l’innesco forse decisivo per la durevole imprendibilità ed impunità dei Savi, in quel non voler vedere, non voler capire che purtroppo spesso alligna all’interno dei corpi dello Stato allorché anche solo il sospetto di ‘deliquenzialità’ di propri appartenenti si affaccia alla mente”.

Nel delineare gli scenari in cui le vicende accaddero l’Autore scrive: “quella della Uno bianca risulta parte di un fenomeno di natura complessa e stratificata, che operò in anni (1987-1994) in cui la situazione politica dell’Italia e quella internazionale erano decisamente instabili e soggette a rapide e turbinose trasformazioni”.

Ricordiamo che in quegli anni si succedettero ben otto governi e nove ministri dell’interno: governa il CAF (Craxi-Andreotti-Forlani), “muoiono” la DC e il PSI, il PCI si trasforma in PDS, nascono la Lega e Forza Italia. Le BR, con gli ultimi colpi di coda, uccidono ancora il generale dei Carabinieri Licio Giorgieri e il senatore democristiano Roberto Ruffilli. La mafia uccide, fra gli altri, il giudice Falcone e il magistrato Borsellino. E gli scenari internazionali vedono la fine dell’URSS, la guerra in Iraq, l’entrata in vigore in Europa del Trattato di Maastricht.

Ha dunque ragione Gagliardo nel sostenere che la confusione sotto il cielo era grande e che lo Stato italiano non viveva certamente il suo periodo migliore. Ed è dunque in questo scenario che cinque poliziotti (Roberto e Fabio Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti, Luca Vallicelli) più il fratello dei Savi, Alberto, iniziarono nel 1987 le loro azioni criminose sui nostri territori. E per sette anni, imprendibili, lasciarono una lunga scia di sangue, sino al novembre 1994 quando furono individuati e arrestati. Il 6 marzo 1996 i sei banditi ebbero quattro condanne all’ergastolo, 28 anni a Gugliotta e 3 anni e 8 mesi a Vallicelli.

Gagliardo, concludendo il suo lavoro, sostiene che oggi spetta, dopo giudici e politici, agli storici lavorare: “lo storico ha il potere, e forse anche il dovere, di allargare lo sguardo ai contesti e stabilire rapporti e simmetrie. Questo non vuol dire aprire spiragli e suggestioni vaghe o fantasiose” quanto invece trovare una chiave “di lettura dentro scenari maggiormente ricchi e complessi”.

Non occorre pensare che “i Savi nascondano chissà quali legami inconfessati e inconfessabili con misteriosi apparati segreti deviati o oscure forze criminali”, ma pur restando nel solco delle verità processuali raggiunte, la collocazione della loro storia criminale va messa “dentro i rivolgimenti nazionali ed internazionali che in quegli stessi anni si stavano verificando (dove comunque forze oscure agivano nell’ombra”.

“Da qualunque parte la si guardi, la storia dell’Uno bianca ha ancora tanto da dire e da insegnare – e forse dunque anche da rivelare”. Insomma, ne siamo matematicamente sicuri, su queste terribili vicende nel corso dei prossimi anni leggeremo ancora tanti altri libri che si dedicheranno a farci capire di più e meglio ciò che è successo.

Ricordo infine che Chiamamicitta.it ha dedicato a quei fatti il suo Almanacco del 30 gennaio 2017: “La Banda della Uno bianca colpisce alle Celle”.

Paolo Zaghini