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1916 atto secondo: la catastrofe di Ferragosto


27 Settembre 2016 / Oreste Delucca

“La nostra città, che ha saputo fronteggiare la grave crisi prodotta dalla guerra, che con rassegnata coscienza ha sopportato il terremoto del 17 maggio e si preparava con lena gagliarda a rifarsi dalla jattura che dal 1914 la perseguita; e già la sua spiaggia si era ripopolata di bagnanti e un soffio di vita novella aleggiava ovunque, d’un tratto è stata pressoché sepolta dalle insidie di un nemico occulto, tremendo, implacabile”.

Così il “Corriere Riminese” iniziava il suo triste resoconto del terremoto che ha colpito la città il 16 agosto 1916. Nel giorno precedente, ferragosto, effettivamente si era sentita una quindicina di scosse, non forti, interpretate come l’eco lontana di un sisma avente l’epicentro altrove. Invece:

“La mattina di mercoledì 16, quando ferveva la vita più che mai del mercato settimanale, dopo le ore 9, un nuovo rombo più prolungato e cupo dei precedenti annunciò l’imminente pericolo. La popolazione fece per riversarsi dalle case e la scossa si manifestò violenta, implacabile, tenace. Si ebbe l’impressione che l’intera città fosse rovinata poiché il crollo di molte abitazioni e di cornicioni l’aveva avvolta in una nube di polvere; subito la gente si precipitò nelle strade, sulle piazze.

Scene dolorosissime e pietose avvenivano specie dove poveri malati erano portati a braccio. Subito corsero voci di morti e di feriti. Passa una barella con sopra l’esanime corpo di una giovane donna raccolta nella via Condotti. Un bimbo in fin di vita è rinvenuto sotto i rottami del cornicione di palazzo Lettimi, ora sede delle scuole musicali. Due operai sono trasportati morenti all’ospedale: sono stati colti dal terribile flagello mentre lavoravano nella loro botteguccia da calzolai in corso d’Augusto e feriti dai rottami di un balcone ceduto.

Tutti i negozi sono chiusi. La desolazione è indescrivibile. Il ben corso d’Augusto, via Garibaldi e tutte le strade sono deserte; sarebbe pericoloso passarvi per la minaccia di muri pendenti, di cornicioni semisfasciati, di tegole sporgenti, di camini che al minimo soffio di vento potrebbero rotolare dal tetto. Perciò molte strade sono piantonate agli sbocchi da soldati che hanno la consegna di non lasciar passare.

Nella impossibilità di rientrare nelle proprie abitazioni i cittadini hanno passato la notte all’aperto. Baracche improvvisate sorsero nei giardini di piazza Ferrari, piazza Malatesta, ippodromo Flaminio e adiacenze. Si son viste persone di ogni condizione caricarsi materassi sulle spalle e prepararsi un giaciglio anche all’aperto; così gran parte della cittadinanza, alla meglio alla peggio, ha riposato fino a che le prime luci antelucane non li hanno svegliati”.

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Il “Corriere Riminese” del 27 agosto 1916, con il resoconto del terremoto

Nella sera medesima di mercoledì erano arrivate da Roma le autorità destinate e dirigere il piano di emergenza. L’indomani mattina fecero il giro della città; ordinarono le demolizioni o l’appuntellamento di numerose case pericolanti e nello stesso tempo diedero disposizioni per l’invio immediato, con treno speciale, di baracche smontabili, padiglioni e legname per la costruzione di baraccamenti.

Il tributo umano fu di quattro morti e trenta feriti. I danni materiali risultarono davvero incalcolabili, un disastro immenso: i maggiori fabbricati tutti rovinati; l’interno del palazzo comunale un mucchio di macerie; e così il teatro Vittorio Emanuele; i palazzi in gran parte inabitabili; completamente rovinate le chiese di S. Bartolomeo, S. Giovanni Battista, S. Bernardino e danneggiate tutte le altre; le case modeste un cumulo di macerie; fortunatamente integra la parte storica del Tempio Malatestiano, ma crollata la parte moderna; atterrati alcuni merli dell’arco d’Augusto. Solo i quartieri nuovi resistettero alla furia del sisma, così come risultarono indenni le numerose ville di marina.

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L’Arco d’Augusto con i merli parzialmente abbattuti (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)

Notevoli i danni anche nelle campagne; crollate o danneggiate numerose case coloniche; la parrocchia di San Salvatore fra le più colpite, compresa l’antica chiesa; semidistrutta la borgata di Riccione, con le case rese tutte inabitabili. Ovunque si allestiscono in fretta baracche per garantire riparo. Fortunatamente non si registrano feriti, perché all’ora del terremoto i contadini erano a lavorare nei campi.

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Crolli e demolizioni nell’abside della chiesa di S. Bartolomeo, che sorgeva accanto all’Arco d’Augusto

Anche nel circondario i danni sono risultati gravi: notevoli a Cattolica; a S. Giovanni in Marignano e nelle frazioni la popolazione è attendata e si stanno allestendo baracche in legno; a Morciano la gente è accampata sulla piazza; a San Savino molte case sono lesionate; a Montecolombo si stanno costruendo baracche; a Coriano assai danneggiata è la torre malatestiana del castello; a Besanigo 20 case sono completamente rase al suolo, il castello malatestiano e le case adiacenti crollate del tutto. Ovunque ferve l’opera di soccorso accompagnata dai primi interventi di recupero.

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I danni in una casa di via Giordano Bruno a Rimini (Archivio Fotografico, Bibl. Gambalunga)

Oreste Delucca