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1916, il primo disastro


25 Settembre 2016 / Oreste Delucca

Dopo i gravi terremoti del 1672, 1786 e 1875, a Rimini si era rafforzata la convinzione che la città fosse destinata a subire uno scisma all’incirca ogni cento anni. Ma nel 1916 arrivò purtroppo una triste smentita, doppiamente funesta perché si veniva sommando ai disastri della guerra mondiale in corso. È il pomeriggio del 17 maggio, come relaziona il Comando dei Pompieri cittadini:

“Alle ore 13,50 minuti e 31 secondi una violenta scossa di terremoto in senso vibratorio e sussultorio destò l’allarme nella nostra città. La scossa, della durata di 15 secondi, fu avvertita in tutta la regione compresa fra le Marche e la Romagna, ma più fortemente fu sentita a Rimini, dove fu giudicata dell’8° grado della scala Mercalli, direzione da scirocco a maestro, con epicentro a circa 20 chilometri dalla costa adriatica”.

Il “Corriere Riminese” riprese immediatamente la notizia: “La giornata era chiarissima e la temperatura normale; i cittadini per la maggior parte ancora trattenuti nelle case e negli uffici quando, alle 13,50 precise, accompagnata da un forte rombo quasi sibilante, si è intesa la violentissima scossa. Dapprima molti ebbero l’impressione della caduta di un proiettile, ma fu momentanea impressione poiché ben presto tutti compresero di che si trattava. Appena cessata la scossa, fu un riversarsi dei cittadini nelle vie e nelle piazze, atterriti.

Il Corpo dei vigili accorse nelle varie vie per intervenire laddove poteva esservi maggiore il pericolo. I danni, che dapprima si ritennero lievi, man mano che il giro si svolgeva, apparvero di sempre maggiore estensione ed entità. Oltremodo danneggiata fu la Residenza Municipale. Le ampie sale recano le impronte dei guasti nei muri lesionati, negli stipiti caduti, nei soffitti aperti. Nell’aula consigliare, ove alle 15 dovevasi tenere seduta, è un ammasso di polvere e di rottami e la rottura di un tubo fa sì che l’acqua si espanda sui mobili e sul pavimento. In alto, negli uffici, quasi tutte le tramezzate sono crollate.
Anche la Sottoprefettura presenta notevoli danni. Senza tema di esagerare può ben dirsi che ogni casa porti le tracce della tremenda bufera. I maggiori danni si ebbero nel palazzo Gambalunga, in un quartiere dell’ex palazzo Ghetti, nella bella chiesa della Colonnella, al teatro Vittorio Emanuele, al Tempio Malatestiano (settore moderno), nella chiesa di S. Giovanni, nella chiesa delle Celle; fu oltremodo danneggiato il soffitto della chiesa di S. Bartolomeo ed ebbero danni non indifferenti quasi tutte le chiese, le scuole e molti pubblici esercizi.

Per buona ventura non si deplorarono vittime, ma soltanto una decina di feriti. Tra essi un carabiniere che, destatosi di soprassalto, non rendendosi conto di quel che accadeva, si gettò dalla finestra spezzandosi un braccio e ferendosi alla testa. Nel civico ospedale – dove i danni sono notevoli – i malati furono presi da grande panico, tanto che quasi tutti abbandonarono i letti, tosto soccorsi dalle suore e dai sanitari.

Il Sindaco dispose perché un Tecnico, accompagnato da un capomastro, in ogni rione constatasse quei danni pei quali si fosse presentata la opportunità immediata di far sgombrare gli ambienti. L’onorevole Facchinetti telegrafò subito al Presidente del Consiglio chiedendo soccorsi per i danneggiati poveri. Intanto varie chiese restarono chiuse e non pochi quartieri si dovettero far disabitare. Parecchi durante la notte hanno vegliato all’aperto impressionati dalle piccole scosse avvertitesi alle 23 ed al tocco. Alcune famiglie rimaste sprovviste di abitazione furono sollecitamente fatte ricoverare nella Rocca Malatestiana”.

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Articolo del “Corriere Riminese in data 31 maggio 1916

A questa primissima informativa, sul “Corriere Riminese” del 31 maggio e 7 giugno seguirono circostanziate descrizioni relative agli oltre mille fabbricati danneggiati, ricalcando nella sostanza le relazioni dei pompieri. Sarebbe oltremodo lungo seguire il percorso effettuato strada per strada: un lunghissimo elenco di disastri che ha colpito palazzi e casupole, quartieri benestanti e rioni popolari, come ad esempio il Montecavallo, duramente ferito. E al censimento dei danni, il giornale faceva seguire le notizie sulle prime iniziative di salvaguardia.

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La facciata della chiesa di S. Bartolomeo (presso l’arco d’Augusto) puntellata

Fra i numerosi interventi dei pompieri si può citare a titolo di esempio quello riguardante il grande camino della fornace Fabbri, alto 38 metri, la cui parte terminale era pericolante. La procedura di abbattimento – analiticamente descritta – fu alquanto complessa perché erano disponibili solamente scale alte 20 metri e si dovettero adottare particolari accorgimenti per raggiungere lo scopo. Altri delicati interventi riguardarono i numerosi campanili danneggiati, la cui demolizione avvenne sempre senza compromettere gli edifici adiacenti.

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Il camino maggiore della Fornace Fabbri in fase di abbattimento (Archivio fotografico, Bibl. Gambalunga)

Oltre al centro storico, gravi danni hanno subìto anche la periferia ed il forese. In particolare alle Celle, a Riccione (colpiti pure i nuovissimiOspedale Ceccarini e l’Asilo Infantile), a S. Lorenzino, S. Lorenzo in Correggiano, S. Maria in Cereto, Casalecchio, S. Paolo e S. Martino in Venti.

Nei giorni successivi, con fatica, la città e il suo territorio iniziarono a rimettersi in piedi. Ma il 16 giugno, alle ore 3,27, un’altra forte scossa di intensità e durata minore destò nuovo allarme, apportando qualche ulteriore danno agli edifici già lesionati. Sperando che il pericolo fosse ormai cessato, i Riminesi si rimisero al lavoro, del tutto ignari che di lì a due mesi sarebbe sopraggiunto un disastro ancora maggiore.

Oreste Delucca


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