21 luglio 359 – Si chiude il Concilio di Rimini ma gli Ariani vanno alla riscossa
21 Luglio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
L’arianesimo, la dottrina cristiana che metteva in dubbio la natura divina di Gesù, ebbe fortuna in particolare sotto gli imperatori Costanzo II (figlio di Costantino I, 337-361) e Valente (364-378). Costanzo, al contrario dei fratelli Costante e Costantino II, era di tendenze ariane anche perché erano queste che stavano prevalendo nella capitale Costantinopoli.
Costanzo convocò molti concili provinciali (o sinodi) deputati a definire il Credo cristiano: Sirmio (351), Arles (353), Milano (355), Sirmio II (357), Rimini e Seleucia (359) e infine Costantinopoli (360). Il più importante, per gli effetti che provocò in Occidente, fu quello di Sirmio II del 357, al quale parteciparono solamente vescovi d’oriente (in prevalenza ariani) e che mise al bando i termini quali ousìa (“sostanza”) e consustanzialità (“identità di sostanza e di natura nelle tre persone della SS. Trinità”).
I vescovi d’Occidente (più vicini alla chiesa di Roma e fedeli al Credo niceno, cioè la formula di fede fissata nel concilio di Nicea voluto da Costantino I “il grande” nel 326), manifestarono il loro dissenso: al che Papa Liberio e Ossio vescovo di Cordova furono imprigionati e costretti a sottoscrivere alle decisioni di Sirmio (l’attuale Sremska Mitrovica in Serbia, a cavallo fra l’impero d’Oriente e quello d’Occidente).
Interviene a quel punto il Concilio di Rimini. Qui prevalgono i vescovi occidentali. I quali ottengono di riunirsi nella cattedrale di Santa Colomba, mentre agli Ariani viene lasciata una cappella, se non era appena una casa privata. Come annota Luigi Tonini in “Storia civile e sacra riminese”, «è tradizione che questa fosse nel luogo, che noi appeliam la Gajana», cioè la piazzetta che porta ancora quel nome, nei pressi dell’Arco d’Augusto; non solo al capo opposto della città, ma da tempo immemorabile luogo malfamato e ricettacolo di prostitute. Scrive infatti Gianni Quondamatteo (in “Tremila modi di dire dialettali in Romagna”): «Le “gajane”, le donnine allegre che, un tempo, avevano il loro recapito t la piazeta dla Gajena»
Se non che, a lavori iniziati, arriva un dispaccio imperiale con cui Costanzo impone ai vescovi occidentali di non occuparsi delle faccende in cui sono già impegnati i colleghi d’oriente, pure loro convocati in Concilio a Seleucia di Isauria (oggi Silifke, nella Turchia sud-occidentale). Non solo: qualunque sentenza fosse stata pronunciata contro di essi, non avrebbe avuto alcun valore. Prendessero pure le loro deliberazioni, ma poi avrebbero dovuto inviare dieci di loro a Costantinopoli per discuterle e confrontarle con quelle degli Ariani al cospetto dell’imperatore.
Di fronte a questo diktat, scrive sempre Tonini, «Cadde il cuore dei Cattolici». Ma «i Padri, deliberati di sortir dal Concilio almeno con la gloria di forti se conseguir non potevano quella di conciliatori, d’unanime consentimento adì 21 luglio definirono: doversi tenere e professare l’intera Formola Nicena, alla quale non potersi togliere ne aggiungere cosa che fosse. Condannarono quali eretici e segregarono dalla Chiesa gli opponenti Ursacio, Valente, Germinio, Auxenzio, Cajio, e Demofilo, pronunciando contro di loro solenne sentenza. Con particolari anatenatismi poi confermarono le condanne contro Ario e le bestemmie sue». Designati i dieci che dovevano, non certo volentieri, recarsi a Costantinopoli, chiesero infine all’imperatore di potersene tornare alle loro sedi, poiché per quanto li riguardava il Concilio di Rimini era finito. Diverse fonti confermano che furono almeno in 200 a sottoscrivere questo documento.
Non andrà come speravano i Cattolici. Anzi, il Concilio di Rimini si trascina fino al termine dell’anno. E le cose si complicheranno a tal punto che il 14 ottobre dell’anno successivo il vescovo di Rimini, San Gaudenzo, sarà massacrato dagli Ariani dopo che, forti dell’appoggio imperiale, erano riusciti perfino a scacciarlo dalla città e forse a confinarlo ai margini della diocesi nell’attuale Cattolica, che proprio da ciò – secondo una tradizione priva di fondamento – avrebbe tratto il suo nome.
Fatti del tutto in sintonia con quanto avviene a Costantinopoli, dove nel 360 un ulteriore Concilio abbraccia le tesi di quello di Seleucia, dominato dagli Ariani, vanificando quello di Rimini. Disordini e violenze abbondano, come in occasione della successione al vescovo Alessandro; l’ariano Macedonio ottenne la sede episcopale della metropoli solo con la forza e con l’intervento militare, dopo che il rivale Paolo, vicino alla Chiesa di Roma, viene rapito, esiliato e assassinato. Le sommosse popolari che seguono all’insediamento di Macedonio sono soffocate nel sangue; lo stesso vescovo si sente autorizzato dall’appoggio di Costanzo a imporre il suo ministero anche con la tortura e la forza delle armi. Anche nell’Occidente niceno, a Milano, come vescovo successore di Dionigi, viene imposto proprio quell’ariano Auxenzio che a Rimini era stato condannato.
Ma l’Oriente non si impone solo con la forza delle armi. E’ di gran lunga la parte più ricca e tecnologicamente avanzata dell’impero, quella che non ha subito secessioni e diaspore di territori in mano a usurpatori, com’è accaduto in Gallia. Ma soprattutto la superiorità culturale è assoluta: in Occidente si trovano a malapena teologi cattolici in grado di sostenere dispute con gli Ariani, ben più dotti di loro. Infine va sempre ricordato che all’epoca, e ancora per molto tempo, l’incontestato capo della Chiesa è l’imperatore, mentre l’autorità del papa di Roma è praticamente alla pari con quella del patriarca di Costantinopoli.
Sembrano vicende lontanissime, diatribe per noi astruse e incomprensibili. E invece, la linea di frattura che si produsse allora nell’impero romano nel dibattere sulla natura del Cristo (ma che già era nella spartizione del paganissimo Diocleziano), era destinata a durare fino a oggi e sempre provocando tragedie. Il confine fra l’impero fra Occidente e Oriente fu infatti anche quello che separava il Papa di Roma dal Patriarca di Costantinopoli, finché sei secoli dopo divenne un vero scisma fra Cattolici e Ortodossi, che tante volte si cercò di ricucire, sempre invano.
Fu quella linea, che, immutata, attraversa ancora oggi i Balcani, a trasformare la regione nella “polveriera d’Europa”. Sempre su quella linea, dopo infiniti conflitti regionali, si sarebbero ferocemente combattute le due guerre mondiali e anche quelle della ex Jugoslavia nel decennio 1991-2001 e oggi in Ucraina.
(nell’immagine di apertura, mosaico di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna)