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23 agosto 1962 – Muore Walter Anderson, portò le favole di San Marino in tutto il mondo


23 Agosto 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 23 agosto 1962 a Kiel, nell’allora Germania dell’Est, Walter Anderson muore in un incidente stradale. Era nato a Minsk il 10 ottobre 1885. E’ considerato uno dei maggiori studiosi di folklore del XX secolo.

Nato da famiglia di origine tedesca (suoi fratelli erano il noto statistico Oskar Anderson e l’astrofisico Wilhelm Anderson), visse a Kazan’, dove frequentò la scuola ed iniziò studi di indirizzo storico-filologico. Ottenuta una borsa di studio per la storia della letteratura dell’Europa occidentale, viene inviato all’università di San Pietroburgo, dove nel 1911 conseguì la laurea. Nel 1912 Anderson ebbe il suo primo incarico accademico come docente privato di storia della letteratura dell’Europa occidentale e lettore di italiano all’università di Kazan’, dove, per la sua tesi di laurea, gli venne conferito nel 1916 il titolo di dottore. Nel 1918 Anderson fu chiamato all’università di Kazan’ come professore straordinario per la cattedra di storia della letteratura dell’Europa occidentale, ma a causa dei disordini rivoluzionari non poté accedere alla carica.

Come professore per gli studi folkloristici (1920 – 1939) all’Università di Tartu (l’ex Dorpat, Estonia), dove diede lezioni prima in tedesco e poi, a partire dal 1922 in estone, fu corresponsabile per lo sviluppo degli studi di folklore nei paesi baltici e in Estonia, prima che questa venisse annessa all’Unione Sovietica.

Fu in quegli anni, fra il 1927 e il ’29, che Anderson si recò a San Marino, dove raccolse il materiale per una delle sue opere più originali: un’antologia di fiabe fatte scrivere direttamente dagli alunni delle scuole locali. Sono le “Novelline popolari sammarinesi”, pubblicate nel 1933 a Tartu.

Dal 1940 agli inizi del 1945 Anderson lavorò all’università di Königsberg (Prussia Orientale). Dopo la fine della Seconda guerra mondiale insegnò all’università “Christian Albrecht” di Kiel.

Le scuole elementari di San Marino dove Anderson raccolse le fiabe

Le “Novelline popolari sammarinesi” sono l’unica opera di Anderson tradotta in italiano. Un testo fondamentale per gli studiosi delle culture popolari, oltre che preziosissima testimonianza sui dialetti dei Castelli sammarinesi, spesso differenti fra loro e tutti oggi irrimediabilmente avviati alla scomparsa. Anche Italo Calvino nello suo celebre volune “Fiabe italiane” (1956) riprende le fiabe sammarinesi e cita Anderson fra le sue fonti.

Nel “proemio” alla sua opera, Anderson ringrazia “le gentili maestre” che lo aiutarono: furono Serena Porcellini Pancotti (Chiesanuova), Tilde Saglione (S. Marino), Ida Bollini Dominici (Borgo), Maria Campanelli Casali (Borgo), Linda Francesconi (Borgo), Aldina Maggiori (Montegiardino), Dora Capicchioni in Mularoni (Corianino), Giannina Beccari (Domagnano), e  “gli amabili maestri” Attilio Ceccoli (Borgo), Renato Martelli (Borgo).

“Sento di compiere un dovere – prosegue l’autore – perchè senza il loro compiacente aiuto, non avrei potuto fare quello che ho fatto per la scienza del folklore. Ringrazio poi, particolarmente, i signori Manlio Gozi e Renato Martelli per avermi dato l’ autorizzazione a spiegare la mia inchiesta nelle scuole, il primo nella sua qualità di deputato agli studi della Repubblica, e il secondo nella sua funzione di direttore delle scuole elementari sammarinesi”.

La raccolta è costituita da 118 testi in dialetto con relativa traduzione o in lingua italiana locale. La sezione più rappresentata è quella delle fiabe di magia, seguita da favole di animali e da altre novelle.

Tutte le fiabe sono scrupolosamente classificate, in base ai motivi che ricorrono in altre tradizioni, secondo il metodo Aarne-Thompson.

Sono una lettura tutta da godere; ne riportiamo qui solo quattro:

Il gallo e la volpe (Chiesanuova)

La voipa la disc m’ e su cumpèr gal: «Andemma a magnè agli anusgi?» – «Sè, andemma!» Quand i fu ma l’anusc, e gal ch’ l’ èva agli eli la gli à fat a muntè; ma la voipa ch’ la ‘n li eva, la disc m’ su cumpèr: «Botmi giù un’anusgia!» E su cumpèr u i disc: «Ciud i oc e presc la boca!» La voipa la ‘l fec; e gal u i bota, giù una coc’la e u i disc: «E la bona?» -“L’è un po ‘mera; u ‘n m’ anporta: quand t’ ven giù, a t’ ciap t’ e cupet!» E gal e cuminciò a cantè: «Chicchirirì!» – «Chenta, chenta, ch’ a t’ dagh ia!». Quand e gal l’ è sted giù, la voipa- la ‘l ciapa t’ e cupet. E du caciador ch’ i era poch d’ long i disc: «Guerda, guerda, cla voipa la i à un gal at boca!» E gal u i disc: «Dì i s’u i anporta!» La voipa la lascia e gal e la i disc: «E t’ anporta?» E gal via, in cima un ciarisc; e ma la voipa, la resta s’un pelm ad nes.

La volpe dice al suo compare gallo: “Andiamo a mangiare le noci?„ — “Sì, andiamo!„ Quando furono al noce, il gallo che aveva le ali, ce la fece a salire; ma la volpe, che non le aveva, dice al suo compare: “Buttami giù una noce!„ Il suo compare le dice: “Chiudi gli occhi e apri la bocca!“ La volpe lo fece; il gallo le butta giù un gusciolo e le dice: “È buona?“ — “È un poco amara; non m’ importa: quando vieni giù, ti acchiappo alla gola!” Il gallo cominciò a cantare: “Chicchiriri!,, — “Canta, canta, chè ti do io! “Quando il gallo è stato giù, la volpe l’acchiappa alla gola. E due cacciatori che erano poco lontani dicono: “Guarda, guarda, quella volpe ha un gallo in bocca!“ Il gallo le dice: “Di’, se loro importa!” La volpe lascia il gallo e dice: ”E t’ importa?“ Il gallo va via, in cima a un ciliegio; e la volpe resta con un palmo di naso.

Torquato Macina, di anni 13, III° classe; domicilio e luogo di nascita: Poggio (San Marino)

Il lupo e la volpe (San Marino)

U i era una volta una volpa e un lup. I è andèd at un fond a magnè al galeni; e e lup e magna, e u n’ magna una masa che mai è; inveci la volpa ch’ la era piò birba la magneva, mo la andeva a veda s’la i paseva ma la finestra. E alora u s’ n’ incorg e padron, e e ven giò, e la volpa la i paseva, e la i à fugìd senza avè avùd al boti; inveci e lup, che u ‘n’ era andèd a veda s’ u i paseva, lu l’ à ‘vùd piò fadiga a pasèi, e e padron a sa che baston u i à rot tut’ agli osi. E dop i è andèd giò per una pianura; e la volpa la i à det m’ e lup: «0 dì, cmarèn, purtèm una muliga, che a i ò tut’ agli osi roti!» E e lup u i à det: «Muntèd pu, cmarena!» E dop la volpa, quand la era monta, la canteva sta bela canzuncena: «Giò giò per e pien, E rot e porta e sen!» E dop finalment i è arivèd a m’ un poz, e la volpa la i à det m’ e lup: «Cmarèn, ia a i ò seda: tu m’ ten t’ la coda, chè a vagh a bè at che poz?» – «Sè, ades a t’ la tengh ia, dop tu m’ la è da tnì te!» La volpa la i à det: «Sè, va là, cmarèn, nu dobita, chè a la tengh!» E li la i è andeda giò, e e lup u i tniva la coda. «Cmarèn, nu lascèm!» E lu u ‘n la à lascia, e u la à tireda so. «Ades a voi audè giò ia, cmarena!» L’ è andèd giò. «Cmarena, nu lascèm!» E la volpa la i à rispost: «O Dio, cmarèn lup, la coda la m’ scapa!» E e lup u s’è afughèd, e la volpa la i è andeda vi da per lia.

C’erano un volta una volpe e un lupo. Andarono in un fondo [pollaio] a mangiare le galline; e il lupo mangia e ne mangia un bel po’; invece la volpe, che era più birba, mangiava ma andava a vedere se passasse dalla finestra. E allora se ne accorge il padrone e viene giù, e la volpe vi passava e fuggì senza aver avuto una legnata; invece il lupo, che non era andato a vedere se vi passasse, ebbe più fatica a passarvi e il padrone gli ruppe con quel bastone tutte le ossa. E dopo andarono giù per una pianura; e la volpe disse al lupo: ”O di’, compare, portatemi giù che ho tutte le ossa rotte!” E il lupo le disse: ”Montate pure comare” E la volpe quando era montata cantava questa bela canzoncina: “Giù giù per il piano, il rotto porta il sano!” E dopo finalmente arrivarono a un pozzo, e la volpe disse al lupo: ”Compare, io ho sete, mi tieni alla coda, chè vo a bere in questo pozzo?”, “Sì adesso te la tengo io, dopo me la devi tenere tu!”. La volpe gli disse ”Sì va là compare non dubitare, che te la tengo!”, lei andò giù e il lupo le teneva la coda. “Compare non mi lasciare!” E lui non la lasciò e la tirò su. “Adesso voglio andare giù io comare!” Andò giù. “Comare, non mi lasciare!” E la volpe gli rispose “O Dio, compare lupo, la coda mi scappa!” E il lupo affogò e la volpe andò via sola.

Vincenzo De Biagi, anni 11, IV° classe. Domicilio: Piaggie. (Serravalle)

Le tre ochine (Serravalle)

U i èra una vòlta tré uchini ch’ el girèva e mand. Camina e camina; agli a ‘ncòuntri u lóp, e u ia dét: «Masèv stanòta, si na, a v’ magn!» Te camina, camina la prima; la a ‘ncòuntri un ch’ e falcèva la paia, e la i a dét: «Bòn òm, am farés t’ una casina? Che si na, e lóp u m’ magna stanòta!» – «Sè!» Camina, camina la sganda; la a tróv un ch’ e taièva e fèr, e la i a dét: «Bòn òm, am farés t’ una casina? si na, e lóp u m’ magna stanòta!» – «Sè!» La tèrza te camina camina; la ‘n a ‘ncòuntri nisun, e la giva tra sé; «Ormai u lóp u m’ magna!», e la avòiva una paura che mai. E dap avòi càmnè un pò, la a tróv un ch’ e taièva e vidri, e la i a dét: «Bòn òm, am farés t’ una Casina id vidri? si na, stanòta e lóp u m’ magna!» – «Sè!» Dap pòch e lóp l’ è pas ma la prima: u i a dè un chèlci e u l’a amazè, e pó u s’ la è magnè. Ma la sganda l’istès. Ma la tèrza l’istès, ma u ‘n a putù ramp e vidri. E la i a det: «Vlì v un caldir id lasagni?» – «Sè!» Invici da butèi gió el lasagni, la i a bót gió un caldir d’ acqua, e acsé l’ è mòrt. La è andè gió s’un curtèl, la i a taiè la pènza e la a trat fura ancòura el da uchini vivi.

C’erano una volta tre ochine che giravano il mondo. Camminano e camminano; incontrarono il lupo ed esso disse loro: “Nascondetevi stanotte, se no vi mangio!”. Cammina cammina la prima incontrò uno che falciava la paglia e gli disse: ”Buon uomo, mi faresti una casina? Se no il lupo mi mangia stanotte!”-“Sì!” Cammina cammina la seconda trovò uno che tagliava il ferro e gli disse: ”Buon uomo, mi faresti una casina? Che se no, il lupo mi mangia stanotte!” –“Sì!”. La terza, cammina cammina non incontrò nessuno e diceva tra sé: ”Ormai il lupo mi mangia!”, e aveva una paura che mai. E dopo aver camminato un poco trovò un uomo che tagliava il vetro e gli disse: ”Buon uomo, mi faresti una casina di vetro? Se no stanotte il lupo mi mangia!” –“Sì!”. Dopo poco il lupo passò dalla prima: diede un calcio e l’uccise, e poi se la mangiò. Alla seconda lo stesso. Alla terza lo stesso ma non potè rompere il vetro. Ed ella gli disse: ”Volete una caldaia di lasagne?” – “Sì!”. Invece di buttargli giù le lasagne gli buttò giù una caldaia d’acqua bollente e così egli morì. Ella andò giù con un coltello, gli tagliò la pancia e trasse fuori le due ochine ancora vive.

Teresa Arzilli di anni 12, V classe. Domicilio: Serravalle

La Bambola (Borgo Maggiore)

U i era una volta tre sureli; la piò c’neina la s’ ciameva Catarneina. Un dè el su sureli li la manda a cumprè e pen; mo mentre eh’ la l’ andeva a cumprè, l’ incontra un om sa d’ li bugati. La s’ innamora d’ una, e cicom ch’ u la à vesta ch’ la aveva voia d’ una bugata: «Vo t’ una pupina, Catarneina?» u i disc. – «A ‘n ò i suldein!» – «E at cla maneina cus’ è t’?» – «A i ò i sald, mo ò da tò e pen!» – «Va là, comprela, chè te cumprarè dmen e pen!» U i dà la pupa e l to i sald da la mena ed Catarneina, e e va via. Mo pora Catarneina la ‘n s’ azardeva d’ andè a chesa, perchè la era sicura che el su sureli li la bastuneva e li la mandeva a let senza cena. La va a chesa pianein pianein e la entra sa ‘l legrimi at i acc. El su sureli li la ved acsè afleta, el va ulta e li i disc: «Tu ‘n è cumprèd e pen, Catarneina?» – «Na!» – «E perchè?» – «Perchè ed sè!» – «Mo cum, cus’ i’ è a lè alora?» – «Gnint!» – «Mo sè, che t’ è quel cosa!» Li i tira via e zinel, e li i ved la pupa. «O bruta, cativa! Da già t’ andarè a let senza magnè.» Li to la pupa e li gli à buteda drenta e buse d’ e furnel, e li l’ à mandeda a durmì. Quand l’ è la nota che i dorma tot, Catarneina la s’elza e la va a tò la pupa, e la la porta a durmì sa lia. Quand l’ è un po’, la pupa la selta so e la disc: «Dada, u m’ scapa la caca!» – «Fala a lè, careina!» La mateina la s’ elza prest per andè a puli la caca d’ la su pupa; la va a veda: la trova tot maranghin d’ or. Alora la cerca el su sureli, e el ved tot sti maranghin. El dventa del sgnori, e li si sposa a s’ un bel princip; e Catarneina la è dvinteda una sgnurouna.

C’ erano una volta tre sorelle; la più piccola si chiamava Caterina. Un giorno le sue sorelle la mandano a comprare il pane; mentre andava a comprarlo, incontra un uomo con delle bambole. Ella s’innamora d’ una, e quell’uomo che aveva visto che ella aveva voglia d’una bambola, le dice: “Vuoi una bambolina, Caterina?,” — “Non ho i soldi!”, — “E in quella manina cos’ hai?” — “Ho i soldi, ma ho da prendere il pane!” — “Va’ là, comprala, chè comprerai il pane domani!” Le dà la bambola e toglie i soldi dalla mano di Caterina e va via. La povera Caterina non si azzardava
d andare a casa, perché era sicura che le sue sorelle l’avrebbero bastonata e l’avrebbero mandata a letto senza cena. Ella va a casa pianino pianino ed entra con le lacrime agli occhi. Le sue sorelle la vedono così afflitta, le vanno incontro e le dicono: “Non hai comprato il pane Caterina?” –“No” –“E perché?” –“Perché così!” – “Ma come, cos’hai lì allora?” – “Niente!” – “Ma sì che hai qualche cosa”. Le tirano via il grembiule e vedono la bambola. “O brutta cattiva! Ora andrai a letto senza mangiare”. Prendono la bambola e la buttano dentro il buco del camino e mandano Caterina a dormire. Quando è notte e tutti dormono Caterina s’alza e va a prendere la bambola e la porta a dormire con sé. Dopo un po’ la bambola salta su e dice “Bimba, mi scappa la cacca!” “Falla lì, bambolina !”. La mattina si alza presto per andare a pulire la cacca della sua bambola, va a vedere e trova tanti marenghi d’oro. Allora cerca le sue sorelle e loro vedono tutti quei marenghi.

Elisa Sparnacci di anni 11, II°classe. Domicilio e luogo di nascita: Borgo.