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25 aprile senza Milva


24 Aprile 2021 / Lia Celi

Probabilmente ora, nel paradiso degli artisti, sta provando un nuovo allestimento di un’opera appena scritta da Bertolt Brecht con la regia di Strehler, che aspettava solo lei per metterla in scena. Ma anche se la malattia l’aveva da tempo allontanata dai palcoscenici e la sua chioma fiammante non incendiava più il piccolo schermo, Milva ci manca ancora di più, ora che se n’è andata per davvero. Proprio mentre le sue compagne della Great Generation della canzone italiana al femminile, Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Orietta Berti, e mettiamoci pure Loredana Berté anche se è di alcuni anni più giovane, stanno facendo scintille, scalano le classifiche, giocano con i social, provocano, insegnano e conquistano l’ammirazione e la stima anche di chi è nato quando loro erano già nonne.

Che peccato avere perso proprio lei, la Pantera dalla mascella volitiva e dall’occhio fermo e felino, che ha ruggito a Berlino e a Parigi e ha ispirato geni della musica, senza mai dimenticare le sue radici, con l’eleganza severa dei popolani con la schiena dritta che abitavano la terra di Matteotti e di don Minzoni. Che peccato avere perso Milva proprio a ridosso del 25 aprile, una festa in cui sicuramente lei credeva, senza tentennamenti, quando tanti giovani artisti, richiesti giorni fa da un quotidiano di esprimere un pensiero a proposito della Liberazione, hanno declinato l’invito non perché “ignoranti”, ma in quanto agenti e contratti proibiscono loro di parlare di politica – e se ricordare la fine della dittatura e la cacciata dei nazisti è divisivo nell’Italia del 2021 siamo davvero messi male.

Per fortuna ci restano Orietta, Ornella e le altre, che non hanno paura, perché la dittatura, la guerra e la miseria del dopoguerra hanno fatto in tempo a vederle e a conoscerle, e pur non essendo delle intellettuali, e nemmeno delle perseguitate come l’immensa Liliana Segre, sanno benissimo da quale parte bisogna stare. Sarebbe bello che oltre alla loro voce potessero trasmetterci un po’ del loro spirito, del loro anticonformismo.

Che potessero darne un po’ a tante giovani cantanti, belle faccine, belle vocine, ma personalità diafane, inchiodate al cliché della “ragazza fragile e complicata” e incapaci di incarnare la grandezza della femminilità matura e potente nella gioia e nel dolore, come hanno fatto le grandi dive della canzone italiana – l’equivalente, nel mondo della musica leggera, delle primedonne carismatiche della lirica, anche nelle vere o presunte rivalità: negli anni Sessanta-Settanta Mina-Milva era un po’ come Callas-Tebaldi. 

L’Italia di allora era ben più arretrata e sessista di quella di oggi, eppure queste donne dalla forte personalità riuscivano a ritagliarsi uno spazio e un seguito assolutamente imparagonabili a quelli delle star di oggi, spesso carinissime, vestite e acconciate da stilisti di grido, circondate da staff tentacolari, eppure più simili a purosangue da corsa che ad artiste a tutto tondo. Poi arriva una Loredana Berté, fisico appesantito, capelli blu, faccia da nonna sbruffona, e con uno dei suoi urli rauchi fa letteralmente scomparire tutte le brave bambine che vincono i talent. Arriva un’Ornella Vanoni, soavemente svampita, e con la sua voce antica ti ricorda che la sensualità è fatta di voglia, pazzia, incoscienza e allegria, altro che le canzoncine delle sciacquette ventenni – e i primi a rendersene conto sono proprio i ventenni. Speriamo che grazie alle inevitabili rievocazioni possano riscoprire anche Milva, e imparare ad amarla. Imitarla no, non è  possibile.

Lia Celi

https://www.youtube.com/watch?v=JhnBB7w2bRw