Il 25 marzo la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa celebrano l’Annunciazione della Beata Vergine Maria (per le Chiese ortodosse che usano il calendario giuliano, il 25 marzo corrisponde al 7 aprile del calendario gregoriano). In molte nazioni (per esempio nel Granducato di Toscana fino al XVIII secolo) il giorno dell’Annunciazione era il capodanno, per cui il sistema di calcolo degli anni era detto Stile dell’Incarnazione.
Con molta probabilità, già prima della Festa dla Nunzièda esisteva la Fira di Garzùn: “In quella data – spiega fra gli altri Gianni Quondamatteo – i garzoni di campagna rinnovavano, scioglievano o facevano il contratto annuale di lavoro”.
Con gli occhi di oggi, si trattava di un orribile mercato di bambini, orfani oppure offerti in affitto dalle famiglie più povere a quelle che ne avevano bisogno per i lavori più umili. Ma il lavoro minorile, come sappiamo, era la norma fino a non tanto tempo fa. Il più delle volte i garzoni non ricevevano compenso in denaro ma solo vitto e alloggio; quanto bastava però per sopperire a quanto le famiglie di provenienza il più delle volte non erano in grado di garantire. Non era raro che i garzoni fossero poi adottati dalla famiglia che li aveva affittati, sia per assenza di eredi sia perché le braccia per lavorare in campagna non bastavano mai, sia perché fosse nato del vero affetto. Oppure, se in casa non c’erano eredi maschi, chi era arrivato da garzone poteva diventare genero, prendendo in moglie una delle figlie del padrone di casa.
Ma non erano certo i casi più frequenti, oltre che riguardanti solo i maschi. Nella norma le condizioni di vita dei garzoni erano generalmente durissime e per le femmine non era affatto raro subire abusi sessuali. Pur assomigliandole molto, non era però una vera schiavitù, perché ad ogni 25 marzo il contratto poteva essere non rinnovato anche per iniziativa del ragazzo stesso o della sua famiglia, se ne aveva, a condizioni ben precise: “E’ rangiǒn d’merz e cantarà, chi ha un cativ patron ul mudarà, mo ben s’è vo tratè, par Nadèl l’ha da arzinziè”, la tordella di marzo canterà, chi ha un cattivo padrone lo muterà, ma se vuole comportarsi bene deve avvisare della rinuncia per Natale”.
In Romagna le più rinomate feste della Madòna di Garzùn con relative fiere e mercati di bambini erano alla Colonnella di Rimini, a Savignano e a San Zaccaria nel Ravennate. La Fiera è tutt’ora in auge nel ravennate a Conselice, dove alla Madonna dei Garzoni è dedicato anche un santuario.
Ancora Quondamatteo: “Pare che i padroni sottoponessero i candidati alla prova del salto del fosso, per misurarne l’agilità. Quel giorno era chiamato anche la Festa di fig“, ovvero la Festa dei Fichi, che erano quelli secchi, data la stagione. Erano le leccornie della Fiera, assieme a carrube e liquirizia.
“Int e’ dè dla Madona di Garzùn, dal viôl no còjan piò parchè a’l perd tot al virtò”, nel giorno della Madonna dei Garzoni di viole non ne cogliere più, perché perdono tutte le virtù: si credeva che in questo giorno le viole mammole perdessero il loro profumo.
“Par la Nunzièda, la spiga la j è neda”, per l’Annunziata la spiga è nata.
“Quand che senta Nunzièda la vein, t’po punsè e’ scaldèin”, quando viene la Santa Annunziata puoi posare lo scaldino.
Insomma è primavera e la fugaraza dla Madona la accoglieva nel modo più degno, dopo che la fogheraccia di San Giuseppe l’aveva annunciata nella notte fra il 18 e il 19 marzo.
(nell’immagine in apertura, la Chiesa della Colonnella come appariva fino agli anni Quaranta. Olio di Guido Fabbri)