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28 luglio 1324 – A Urbino i riminesi le prendono di santa ragione ma il papa li premia


28 Luglio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Federico era figlio primogenito del conte Guido da Montefeltro, leader dei ghibellini e nemico implacabile di Malatesta da Verucchio, il “Mastin vecchio” di Dante. Federico continuò nel solco del padre, come del resto fecero i figli del “Mastino” sulla sponda opposta. Guelfi contro Ghibellini; ma potevano esservi le debite eccezioni, come quando, nel 1305 Federico era passato al servizio del legato pontificio Napoleone Orsini pur di combattere contro Pandolfo Malatesta.

Insomma le bandiere potevano anche invertirsi, ma fra Malatesta e Montefeltro non poteva esserci pace.

Quando Federico tornò a Urbino nel 1322 dopo aver guerreggiato fra Marche, Toscana e Umbria, trovò un clima che forse non si aspettava. I Malatesta avevano sobillato la voglia di rivincita dei Guelfi urbinati e il popolo stava con loro. In città scoppiò una violenta rivolta, subito sostenuta dai rinforzi provenienti da Rimini.

I Ghibellini furono assediati nella rocca, senza via di scampo né speranza di soccorsi. A Federico non restò che arrendersi; si presentò al popolo assieme al figlio Guido e chiese misericordia, con il capestro al collo. I cittadini li fecero entrambi letteralmente a pezzi.

Ma un altro figlio di Federico era scampato al massacro: Sighinolfo dettto Nolfo, fuggito a San Marino insieme al cugino in secondo grado Speranza.

Nel luglio del 1324, Nolfo recupera la città e il contado di Urbino al dominio della sua casata, richiamato da quello stesso popolo che gli aveva trucidato padre e fratello, ma già stanco del governo del Marchese di Ancona di nomina papale e sostenuto dai Malatesta.

Il Papa, che è Giovanni XXII e sta ad Avignone, non può certo chiudere un occhio. Il 28 luglio 1324 condona al Comune di Rimini il versamento dell’ingente somma di 1.100 fiorini d’oro, che sarebbero stati dovuti alla Camera Apostolica, «lodandolo – scrive Luigi Tonini – per i servizi resi alla Chiesa contro i ribelli di Urbino».

Servizi che però dovevano per la maggior parte ancora essere resi: il condono al Comune è in realtà un acconto e insieme un ordine diretto ai Malatesta. Che lo recepiscono immediatamente. Ferrantino accorre «cogli Ariminesi della città e del Contado, e posesi al rincontro d’Urbino a Castel Cavallino e a Monte Fabbri».

Montefabbri

Montefabbri

«Ma il conte Speranza con Nolfo nipote suo, forte di 800 cavalli e 4.000 fanti ottenuti da Arezzo, fu improvviso agli accampamenti de’ Riminesi, menando strage di quanti vi trovò fuori». Al che Ferrantino e un bel gruppo di cavalieri se la svignano, «visto il numero tanto maggiore e l’impeto dell’inimico». 

E’ il 9 agosto, un giovedì. Per un giorno e due notti i due eserciti restano a guardarsi in cagnesco dai rispettivi accampamenti. Ma il sabato i Feltreschi vanno all’attacco e penetrano nel campo riminese. È la disfatta.

La pieve di San Cassiano a Castel Cavallino

La pieve di San Cassiano a Castel Cavallino

Cadono in battaglia almeno un centinaio di Guelfi. I prigionieri di riguardo sono ben 130, fra i quali «Oddo Berardini fuoruscito d’Urbino, Ser Ranuccio da Rimini, il Cesenate Franceschino da Pavirano, ed altri molti. Fra questi furono messi a fil di spada senza misericordia quanti furono trovati complici nella uccisione del Conte Federico».

I Malatesta, nonostante la batosta e la non eccelsa figura rimediata da Ferrantino, continuano comunque a godere della benevolenza del Pontefice. Evidentemente gli si riconosce che di più non poteva essere fatto. E comunque i signori riminesi sono indispensabili per poter continuare la lotta contro la parte imperiale in quell’area. Sta di fatto che il primo ottobre dello stesso anno giunge a Rimini una Bolla papale che assegna a Pandolfo, zio di Ferrantino, «il governo di molte Castella del Contado di Fano, fra cui nominatamente Montesano e Ordiano». E la guerra continua.