HomeAlmanacco quotidiano5 aprile 1987 – Craxi chiude a Rimini il XLIV Congresso del Psi

Il tempio greco dell'architetto Panseca consacra il leader socialista il suo partito raccoglie il miglior risultato elettorale fino ad allora


5 aprile 1987 – Craxi chiude a Rimini il XLIV Congresso del Psi


4 Aprile 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 5 aprile 1987 Bettino Craxi chiude a Rimini il XLIV Congresso del Partito Socialista Italiano, che si era aperto il 31 marzo; Craxi viene riconfermato segretario.

Nel 1985 il PSI aveva rimosso la falce, il martello, il sole e il libro dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI. Alle elezioni politiche che si terranno in quel 1987, il Psi otterrà il 14,3%, massimo storico che sarà superato solo due anni dopo alle elezioni europee. Il PSI però è ancora lontano dal PCI, che ottiene il 26,6% dei voti.

psi-1987

Il Congresso del PSI di Rimini del 1987 è ricordato per l’allestimento sul palco del famoso “tempio greco” ad opera dell’architetto Panseca, che due anni dopo realizzerà per il congresso successivo a Milano l’altrettanto celebre “Piramide”. Il Congresso fu allestito alla vecchia fiera su di un’area di 38.000 metri quadrati.

BETTINO CRAXI CON CLAUDIO MARTELLI (Ravagli / GIACOMINOFOTO, RIMINI - 1987-04-05) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Bettino Craxi e Claudio Martelli

Quel giorno Sandra Bonsanti scrive su La Repubblica:

RIMINI – Greco? Romano? No, idealizzato dice Filippo Panseca, la chioma avvolta in una sciarpa grigia per curarsi un coccolone di provenienza demitiana. Una maledizione, cioè, di piazza del Gesù per il suo esser craxiano, per la sua forte fede, per questo suo magnifico tempio. Il tempio che marca il senso della celebrazione, del ritorno alla grande di Bettino al partito. Il monumento è già in piedi, forte e robusto col frontone di venticinque metri, alto dodici, tutto in lamiera di ferro bianco a chiudere l’ anfiteatro di dodicimila metri quadri dove si celebrerà il 44ø congresso. Il tempio, dunque, è tante cose: è un rito politico (il ritorno del capo a via del Corso), è una sfida laica all’ avversario Dc, è una cornice ideale come dice Panseca giocando con la sciarpa per una assise che deve sancire la forza tranquilla del garofano. Ed è infine, nei sogni di Renato Capacci, segretario della federazione socialista di Rimini, un segnale della dimensione umanistica, della qualità dell’ uomo.

Renato Capacci

Renato Capacci

I socialisti riminesi accolgono Craxi per ora con pochi manifesti: Buon lavoro Bettino, grande skipper sui mari in burrasca della rotta d’ Italia. Ricordati del mare Adriatico: è in cattive acque. Poi verranno Pavarotti e Renzo Arbore e, socialisti locali permettendo, anche Raoul Casadei. Il problema Casadei è serio. Roma lo voleva, per una serata di liscio post-moderno… Ma a noi non ci garba tanto dice Capacci, trentadue anni, da una decina segretario della federazione, pronto ormai ad entrare nel gioco politico nazionale. Non ci piace perché rifiutiamo quell’idea di Romagna come piadine, Sangiovese, liscio e Passator Cortese… Noi siamo quelli dei computer del congresso. Non amiamo Ghino di Tacco, non vogliamo esser chiamati rampanti, non siamo yesmen. Ma diciamo: il nuovo Psi comincia a Rimini. Abbiamo un solo padre nobile: Andrea Costa, apostolo del socialismo. Per il resto abbiamo compiuto i parricidi necessari, anche se non è stato facile. Di questo nuovo Psi, di questa idea socialista che galleggia fra alcuni valori chiari, molta enfasi (sia pur sincera) e ciò che chiamano un continuo ritorno al futuro tra Musil e Dahrendorf, ma anche tra le balere e il tempio malatestiano, la scenografia congressuale è uno specchio fedele.

Quassù, con alle spalle il pannello computerizzato con il grande nuovo garofano rosso (per ora non è un simbolo, è solo un manifesto dice Panseca che lo ha disegnato) quassù, di fronte ai millecento delegati, Craxi e Martelli insieme e insieme a loro molti socialisti lanceranno la grande riforma, l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Sotto questo tempio di metallo bianco, nella suggestione dei giochi di prestigio del grande cervellone, nascerà dunque la seconda repubblica socialista? Nel predicare il cambiamento, Craxi cerca di coprirsi le spalle rivendicando un glorioso passato: la rotativa dell’Avanti!, le medaglie commemorative di Carlo e Nello Rosselli trucidati cinquant’ anni fa dai sicari di Mussolini. Non parlerà in piazza, come dicevano a Roma. Macché piazza. Craxi parla qua, parla al congresso dice Panseca. E’ questa nuova, grande riforma che affascina anche i più giovani.

I socialisti riminesi dicono che l’elezione diretta del capo dello Stato sarà il grimaldello per costruire l’Italia dell’alternativa. Ma poi, questi rapporti col Pci non sono tanto facili. Qui si accusa Comunione e liberazione d’esser troppo vicina ai comunisti, ha la barba di Marx e il mantello di Parsifal dice Emanuele Zabaglio altro trentenne locale. E, feriti da un corsivo di Michele Serra su l’Unità, hanno risposto parole dure, che il giornale non ha pubblicato. Noi non siamo figli di un Dio minore. Al quarantaquattresimo congresso socialista parleremo anche di te, figlio di un Dio minore, che distilli tanto veleno. A Serra che aveva scritto a proposito del tempio della cultura umanista del Psi che dal basco di Nenni alle mutande di Trussardi l’apparenza socialista ha subìto una significativa e per il momento irreversibile trasformazione, rispondono: Non si può racchiudere il futuro né in un basco né nelle mutande di Trussardi, né, tantomeno, dentro a un eskimo. La verità non è un cristallo che ci possiamo infilare in tasca, ma, come diceva Musil, è un immenso liquido in cui si casca dentro.

Primo Maggio 1980. Si riconoscono Nino Barbaresi, Roberto Soldati, Emanuele Zabaglio.

Primo Maggio 1980; con l’impermeabile chiaro, Emanuele Zabaglio

Il congresso si prepara qui a Rimini, nella ferma fiducia di 1500 iscritti che sostengono di aver già cambiato, a livello locale, e che il problema adesso è esportare il cambiamento. Dicono di avere la serietà dei bambini quando giocano. Dicono che la Rimini del 1982, quella della conferenza programmatica, costruì le basi perché Craxi diventasse presidente del Consiglio. E lo diventò dice Capacci tre giorni prima che Massimo Conti fosse eletto sindaco socialista di Rimini. Conti ha quarant’anni, darà il saluto ai congressisti dicendo che Rimini, città del Duemila, sarà la capitale del confronto, della tolleranza, dello stare insieme, del divertimento, dell’ospitalità. Ma rispecchiando una voce diffusa, i socialisti di Rimini diranno anche: L’unica cosa che non ci piace, in questo partito, è che il partito non esiste, non c’è più. Bisogna ricostruirlo daccapo conclude il segretario cittadino Capacci. Come? Chissà. Fuori da queste migliaia e migliaia di metri quadrati socialisti, fuori dalla zona Fiera, un vecchio amico di Panseca, arrivato dalla Sicilia, spiega la linea del guazzabuglio. La linea craxiana, che ormai piace di più perché la gente è stufa di assistere alle messe mattutine dei politici democristiani e preferisce questi, forse un po’ figli di puttana che se ne vanno al mare, che amano la vita e che sono così vicini ai bisogni della società.

Scrive invece Vittorio Emiliani, il 29 novembre 2013 in Ricordi amari (Fondazione Nenni in cultura):

Purtroppo ad un quindicennio dal Midas poco o nulla era cambiato nel Psi, l’autoriforma non c’era stata, il radicamento nel potere locale e nazionale aveva diffuso e potenziato corruzione e arricchimenti personali. (…). E mentre Giorgio Ruffolo al Congresso di Rimini del 1987 invocava “pulizia”, eravamo insieme Giuseppe Tamburrano ed io fuori dalla sede congressuale riminese e ci passavano davanti flotte di auto blu di ministri, sottosegretari, presidenti e assessori regionali, presidenti di banche, casse di risparmio, aziende a partecipazione statale, ecc. “Noi con le nostre macchinette, caro Giuseppe“ gli dissi, “siamo proprio fuori, di un altro mondo”. Pensavano che il Paese avrebbe perdonato ai socialisti i “peccati” di sottogoverno che da decenni perdonava alla Dc. Si sbagliavano: la Dc aveva salvato il Paese dal comunismo e milioni di italiani le erano riconoscenti; dal Psi – che aveva avuto dei padri onesti e appassionati – si aspettavano dell’altro e furono delusi. Finì molto male. Col deserto attorno ai socialisti. Grazie anche ad un Pci che allora guardava ai socialismi europei come a dei nemici o a dei partiti “inferiori”.