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7 luglio 1262 – Nasce la parrocchia di S. Maria “in torre muro”, Rimini dimentica l’Anfiteatro


7 Luglio 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 7 luglio 1262, Giacomo, Vescovo di Rimini, istituisce una nuova parrocchia. Il nome e la sede sono quelli di una chiesa che esiste già da secoli, Santa Maria in turris muro. Il presule, per motivi che ignoriamo, l’ha requisita agli Ospitalieri di S. Spirito e fa parte di un monastero.

La prima notizia di quel monastero appare in una pergamena datata 12 marzo 1027, vista nell’Abbazia di Scolca dal Battaglini nel ‘700 e citata il secolo dopo da Luigi Tonini. Nel documento l’Abate del monastero afferma di esserne in possesso, come scrive il Tonini, «per concessione di una donna, della quale in quella scritta era perduto il nome, ma restava il titolo Comitissa, come restava il nome del figlio suo Ugone Conte, et ad jure Ugo Comes filio suo, cui vedi succeduto a Rodolfo o perché figlio o perché prossimo attinente». Si tratta dei Conti di nomina papale, o piuttosto imperiale, che reggevano la città di Rimini dopo la scomparsa dei Duchi nella seconda metà del X secolo. Come i predecessori, vevano innanzi tutto potere militare in quando a capo delle milizie, ma anche alcune funzioni civili. Di solito restavano in carica a vita e talvolta riuscivano a passare al figlio un titolo che tuttavia non divenne mai ereditario.

Così pare fu il caso di Rodolfo, il primo “Conte dei Riminesi” di cui si abbia traccia scritta – anche grazie ai violenti contrasti con S. Pier Daniani che lo condanna riperatutamente dei sui sermoni – che nonostante dopo tanti abusi ai danni dei beni della Chiesa finisse accecato per ordine dell’imperatore Ottone III, ebbe per successore il figlio e omonimo Rodolfo II; sua madre era la Comitissa Ingelrada. Non è certo se fossero davvero riminesi un Conte Adalberto con la sua Comitissa Anna che appaiono in una carta del 958. Più sicuro il governo del già citato Ugo, cui successero un altro Rodolfo (III), nominato nel 1040, ed Everardo, di cui si hanno notizie fino al 1062. Rainerio fu poi Conte nel 1113; Domenico dal 1161 al 1168 almeno;  Peppo di Pietro Traversari nel 1174: Pietro sempre dei nobilissimi ravennati Traversari dal 1176 al 1186 almeno. Gli ultimi due, Corrado e Marcovaldo, erano fedelissini degli imperatori Hohenstaufen e anche Marchesi di Ancona. Dopo di loro il libero Comune di Rimini elesse un Podestà e Albrigitto è il primo che si conosca.

Non sappiamo dunque da quanto tempo S. Maria “in torre muro” esistesse già. Sappiamo però che quella era, e resterà per molto tempo, la parte più isolata e selvaggia entro la cerchia delle mura di Rimini.

In epoca romana questo quartiere doveva essere non solo fittamente edificato, ma animato dalla presenza di residenze importanti (come dimostrano mosaici ritrovati sotto il mercato Coperto, in via Brighenti e altrove), attività economiche (alimentate dalla fossa Patara) e, diremo oggi, di due infrastrutture di primaria importanza: il porto e l’Anfiteatro.

Una pedina valida per l’ingresso all’Anfiteatro di Rimini (Museo della Città)

Infatti, in corrispondenza dell’attuale piazza Martiri d’Ungheria (già Clementini), sorgeva quello che molti ritengono il molo romano (rimasto allo stato di rudere fino all’800), forse proprio quello rappresentato nel celebre mosaico ritrovato sotto palazzo Diotallevi. Avrebbe protetto la foce del Marecchia, che all’epoca si trovava più a sud di oggi. Se così fosse, anche la fascia di arenile fino alla foce dell’Ausa avrebbe potuto servire da approdo, sul quale le imbarcazioni potevano venir tirate a secco. Questo “porto dell’Ausa”, citato in alcuni documenti, ha dato adito a infinite discussioni fra gli studiosi locali, con alcuni che ne negano recisamente l’esistenza.

Il cosiddetto “mosaico delle navi” (II sec. d.C.) ritrovato sotto Palazzo Diotallevi, in via Tempio Malatestiano

Oggi pare incredibile, ma una querelle perfino più lunga divise i dotti riminesi sul fatto che la città avesse mai posseduto un Anfiteatro.

Durante l’alto Medio evo la regressione della florida Ariminum è inequivocabile. Anche nell’area della Domus del Chirurgo si possono osservare le tombe scavate in quell’epoca, senza badare a cosa ci fosse sotto: i pavimenti a mosaico delle sontuose domus romane e bizantine, ormai sostituite da capanne o poco più.

Ma dalla parte opposta della città le cose andavano anche peggio: tutto lascia pensare quasi la metà dell’abitato, dal foro (piazza Tre Martiri) all’Arco d’Augusto, fosse divenuta semi-deserta o del tutto abbandonata. E’ la retractio urbis, fenomeno osservato in molte altre città italiane, che “si restringono” fra VII e VIII secolo. A Rimini il polo attrattivo è il Ponte di Tiberio con il suo strategico attraversamento del fiume a cavallo dell’approdo per le navi maggiori. Attorno ad esso si arroccano i poteri: militare e civile nela cittadella “ducale” e religioso nella cattedrale.

Nell’immagine pubblicata in “Città d’Italia- Rimini” di Grazia Gobbi e Paolo Sica, il tratteggio continuo indica l’area di abbandono del periodo alto-medievale; con tratteggio a pallini, la Corte dei Duchi popolarmente divenuta “La Castellaccia”. I pallini neri sono i luoghi di culto documentati prima del Mille: 1. Abbazia di SS. Pietro e Paolo 2. S. Maria in Corte 3. Cattedrale S. Colomba 4. SS. Martino e Savino 5. S. Silvestro 6. Monastero S. Tomaso 7. S. Michele in Foro 8. S. Maria in Trivio 9. S. Innocenza 10. S. Agnese 11. SS. Andrea Donato e Giustina 12. S. Giovanni Battista 13. S. Abbazia S. Gaudenzio 14. S. Gregorio

Una moneta ritrovata nella muratura suggerisce che l’Anfiteatro di Rimini fu costruito nel II secolo, in epoca adrianea. Realizzato in laterizio e ornato in pietra, era lungo 117 metri e destinato a più di 10.000 spettatori.

Forse non conobbe una lunga carriera. Già nel secolo successivo era stato in parte inglobato nelle mura costruite in fretta e furia sul lato a mare della città subito dopo la distruzione della Domus del Chirurgo nel III secolo avvenuta, si ritiene, durante una scorreria di Alemanni. Lo stesso accade in quei giorni a Roma con l’anfiteatro Castrense inghiottito dalle Mura Aureliane.  Gli spettacoli dei gladiatori furono vietati dagli imperatori cristiani a cavallo di IV e V secolo, ma erano già in declino per i costi esorbitanti che ormai ben pochi potevano sostenere.

Epigrafe dell’Anfiteatro di Rimini (Museo della Città)

Non sappiamo quando cessarono anche a Rimini, ma a un certo punto quanto restava della grande costruzione venne probabilmente usato come cava di materiali e deposito di detriti. Finchè a un certo punto se nei perde la memoria. Coperta di vegetazione, resta solo una lieve altura punteggiata di misteriose cavità, che domina gli orti e i terreni incolti attraversati dalla fossa Patara. Vivere lì doveva assomigliare molto a una penitenza: perfetto per un cenobio di eremiti, nonostante ci si trovasse ben dentro le mura. Tant’è vero che il popolo battezzerà quell’altura “Le Tane” e gli attribuirà sempre una pessima reputazione.

Il convento dei Cappuccini (n.62) nella carta di Rimini della Biblioteca Apostolica Vaticana (1660 ca.)

Nel medio evo la chiesa di S. Maria era quella che officiava per il Lazzaretto per gli appestati che vi era sorto intorno, il primo di Rimini, poi sostituito nel ‘600 da quello di San Lazzaro al Terzo, oggi Miramare.

Arrivarono quindi i frati Cappuccini per edificarvi il loro convento, ma non dovevano trovarsi molto bene perché se ne andarono anche loro. E nonostante la terra continuasse a restituire reperti romani, fu solo nel 1843 che Luigi Tonini, con scavi scientifici descritti poi in un’operetta apposita, dimostrò contro l’opinione di molti che sì, anche Rimini aveva avuto il suo piccolo Colosseo, un anfiteatro costruito probabilmente all’epoca dell’imperatore Adriano, che doveva essere assai simile a quello nato contemporaneamente sull’altra sponda dell’Adriatico, a Pola. Dove si può ammirare in tutto il suo splendore.

L’Anfiteatro di Pola