Chi ha inventato la pasta alla carbonara? Sono in parecchi, e in diverse zone d'Italia, ad attribuirsene il merito. L'unica cosa certa è che nacque durante la seconda guerra mondiale in quei territori appena liberati dagli Alleati dove (finalmente) si potevano trovare gli ingredienti principali: a iniziare dal bacon, in dotazione a tutte le truppe anglo-americane. I più ritengono che la carbonara abbia avuto origine fra Lazio e Abruzzo, se non altro per lo straordinario successo che il piatto ha riscosso in Italia centrale. Ma lo chef bolognese Renato Gualandi ha sempre contestato queste tesi. Fu lui, sostiene, ad aver per primo preparato la ricetta e per un'occasione molto speciale: un pranzo con i comandanti supremi dell'Ottava Armata, che si tenne a Riccione il 22 settembre 1944. Gualandi ci ha lasciati nel giugno 2016, dopo una carriera che portò il gastronomo Luigi Carnacina a definirlo “uno dei più valenti chef europei". Aveva servito personaggi come Charles De Gaulle, la regina d’Olanda, Palmiro Togliatti, Enrico Mattei ed Enzo Ferrari. «Non è una ricetta romana», aveva ripetuto Gualandi fino alla fine, anche in occasione della festa per i suoi 95 anni tenutasi a Brescia in marzo. Gualandi era un giovane aiuto cuoco, quello che doveva pulire pentole e tegami. Arruolato allo scoppio della guerra, l’armistizio
Scrive Nevio Matteini: «Alle ore 11 di un giovedì, con la pioggia e il vento sferzante, la prima pattuglia dell'esercito alleato, quella greca del 2° battaglione della III brigata di montagna, entra a Rimini e avanza verso le Celle, mentre i tedeschi approfittando della pioggia si ritirano oltre il Marecchia in piena. A guidarli è il segretario del Cn riminese Gomberto Bordoni. Alle 19,15 sventolano sul Comune le bandiere greche e canadese. Attraverso un'altra parte della città infatti erano entrati i neozelandesi, e più tardi i canadesi. A mezzogiorno la fanteria canadese era già al di là dl Marecchia». [caption id="attachment_58048" align="aligncenter" width="1238"] La chiesa della Colonnella[/caption] E il capo partigiano Decio Mercanti: «La città appariva completamente abbandonata dai propri abitanti. Dalla parte di Santarcangelo arrivavano ancora su Rimini frequenti le cannonate dei tedeschi. Nella città circolavano soltanto gli inglesi e i greci». [caption id="attachment_58046" align="aligncenter" width="1247"] Porta Montanara[/caption] Così invece gli stessi fatti sono riportati dai tedeschi nel bollettino interno della Wehrmacht (dai documenti raccolti da Amedeo Montemaggi): «In seguito al ripiegamento dell'ala sinistra del LXXVI Corpo Carristi dietro il Marecchia, la 10° Armata ha interrotto la battaglia intorno a Rimini, prima che venissero distrutte anche le ultime forze. Le truppe hanno avuto qualche ora di riposo perché il
Fu detto "riminese" o perfino "di Ravenna". Divenne uno degli "eroi di Porta Pia", ovvero uno dei caduti dell'esercito italiano nella "battaglia" del 20 settembre 1870 che pose fine al millenario potere temporale dei Papi e fece di Roma la capitale d'Italia. In realtà Andrea Alarico Ripa era nato a Verucchio il 5 settembre 1841. Quasi un destino nel nome impostogli dal padre Luigi Ripa: Alarico come il re dei Goti che più di 1400 anni prima (il 24 agosto 410 per l'esattezza) aveva conquistato e saccheggiato la Città Eterna; a sua volta otto secoli dopo (18 luglio 390, o 388 a.C) il sacco di Roma dei Galli di Brenno, anche loro partiti da queste parti. [caption id="attachment_226328" align="aligncenter" width="795"] Andrea Alarico Ripa[/caption] La madre di Andrea Alarico era Virginia Ugolini e i padrini erano stati Enrico Serpieri e Luigi Carlo Farini, entrambi fieri liberali. Serpieri, che aveva combattuto alla battaglia delle Celle del 25 marzo 1831, più volte incarcerato anche nella fortezza di San Leo, era stato deputato della Repubblica Romana nel 1849 e poi eletto dai riminesi nel parlamento del Regno d'Italia nel 1865, schierato con la Sinistra. Farini, che era di Lugo, era stato medico condotto a Montescudo e sempre
Il 19 settembre 1971 si apre la prima edizione degli "Incontri internazionali" organizzati dal Centro "Pio Manzù" diretto dal ferrarese Gerardo Filiberto Dasi. Tra i coordinatori ci sono Sergio Zavoli e Silvio Ceccato, filosofo e linguista. La prima edizione degli "Incontri" si chiude il 26 settembre. Il Centro "Pio Manzù", con sede a Verucchio era stato fondato nel 1969 e intitolato al giovane designer scomparso a soli 30 anni, figlio dello scultore Giacomo, che aveva fra l'altro creato la linea della Fiat 127. Il Centro era riconosciuto quale "organismo in status consultivo generale con le Nazioni Unite". Negli anni Sessanta e Settanta, Dasi intrattenne un’intensa attività di promozione culturale e artistica. Entrò in contatto con critici e artisti, fra cui Lionello Venturi, Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Leo Castelli e Ileana Sonnabend. Con questi personaggi fondò Biennali d’arte a San Marino e altre rassegne citate in seguito nei saggi di storia dell’arte. Per 44 anni, il Centro "Pio Manzù" portò a Rimini un incredibile parterre di potenti del mondo e vip, tra cui Lady Diana, Mikhail Gorbaciov, George Bush sr, Rania regina di Giordania, Henry Kissinger, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, Javier Perez de Cuellar segretario generale dell'ONU, Graça Machel Mandela moglie di Nelson Mandela, Giorgio Napolitano,
E' ormai morto il gran nemico di Dante, ovvero dei Ghibellini e della Parte Bianca. A Bonifacio VIII posto dal Sommo Poeta anzitempo nell'Inferno già quando ivi lo sognò l'8 aprile 1300 ed effettivamente giuntovi, sempre secondo Lui, l'11 ottobre 1303, era succeduto per breve tempo il mite Benedetto XI. Forse passato a miglior vita per un'indigestione di fichi, gli succede il ben più incisivo Clemente V, che porta il papato ad Avignone e fa finta di subire la soppressione dei Templari da parte del re, francese come lui, Filippo IV "il bello". [caption id="attachment_284152" align="alignleft" width="873"] Busto di Filippo IV re di Francia in Saint Denis di Parigi[/caption] Tipi opposti, ma obiettivi identici: basta con le guerre fra fazioni. E non solo fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, ma perfino con gli aborriti Ghibellini. Quindi, come riferisce Luigi Tonini ("Rimini nella signoria de' Malatesti - parte prima" 1880) "a comporre le cose d'Italia Papa Clemente fin dal 1306 vi avea mandato in qualità di Legato il Card. Napoleone Orsini, di profession ghibellino, il quale era giudicato capace a riconciliar questi popoli". [caption id="attachment_284153" align="aligncenter" width="400"] Cavalleria fiorentina di Parte Guelfa[/caption] Purtroppo "niuna cosa gli avvenne di condurre a fine, nè in Bologna, da
Scrive Carlo Tonini che i Riminesi ebbero grande «letizia per sì fatta cosa». Papa Paolo V, purtroppo, non aveva loro concesso l'esenzione dall'ennesima tassa "straordinaria", questa volta denominata «degli Utensili pei soldati Corsi», che però tanto straordinaria non era, se perdurava fin dal predecessore Clemente VIII, morto ormai da 12 anni. In compenso dal nuovo pontefice, eletto nella primavera del 1605 «ottennero per altro in quella vece la restituzione della terra di Coriano; e ciò per breve del 17 settembre 1605». [caption id="attachment_57481" align="aligncenter" width="665"] Il castello di Coriano[/caption] A questa gioia «se ne aggiunse altra ben maggiore in occasione che fu eletto Arcivescovo di Nazaret, e insieme insignito della sacra Porpora, il concittadino Michelangelo Tonti». Un cardinale riminese valeva ben più che il recupero di un castello e certamente nell'erigere la magnifica statua a Paolo V nella piazza della Fontana i cittadini ringraziavano più per questo che per Coriano. Fra l'altro, il prelato riminese da allora venne detto il Cardinal Nazareno. E il Collegio Nazareno sarà il suo lascito a Roma, il palazzo che nell'omonima via della capitale ospita la sede nazionale del Partito Democratico. Tornando a Coriano, per Rimini era da sempre il giardino di casa. E un gran bel giardino. Mentre i Corianesi ormai da troppo tempo erano separati dalla città
Il 15 settembre 1944 si conclude la cosiddetta "battaglia di Gemmano", da Amedeo Montemaggi definita "la Cassino dell'Adriatico", una delle più sanguinose e distruttive fra quelle combattute sulla Linea Gotica. Gli Alleati dell'Ottava Armata per sloggiare i Tedeschi che si erano annidati sulla strategica altura di Gemmano dovettero sferrare ben quattro assalti. Finalmente, i reparti indiani riuscirono a entrare fra le macerie del paese al sorgere dell'alba del 15 settembre, ma i Tedeschi avevano già evacuato le loro posizioni al calar della notte precedente e da quel momento i combattimenti erano praticamente cessati. Ecco come sette anni fa il sindaco di Gemmano, Riziero Santi, aveva rievocato quei giorni: Tutto ebbe inizio nel Gennaio di un anno prima, quando il Primo Ministro britannico, Winston Churchill, e il Presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt, si incontrarono a Casablanca(Marocco) e decisero che la guerra, nella quale Benito Mussolini, dopo una iniziale neutralità, decise di trascinare l’Italia, sarebbe terminata solo con la resa incondizionata delle nazioni nemiche:Germania, Italia e Giappone, e che terminata la battaglia in corso in Africa settentrionale gli alleati si sarebbero trasferiti in Italia. La guerra in Tunisia terminò i primi di Maggio, con la resa delle armate italo-tedesche, ed il 10 luglio 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia. In quei giorni il Consiglio
Il 14 settembre 1881 Carlo Tonini, bibliotecario della Gambalunghiana di Rimini, annota un «curioso uso nuziale romagnolo»: «Verso la fine del banchetto è costume che alcuno de' parenti, e spesso il cuoco, rechi allo sposo in un piatto ben coperto una quantità di ortica, che dicono essere l'insalata. Se lo sposo se ne accorge per tempo, getta dietro a colui il piatto, ed è fragorosamente applaudito dai convitati; ma, se non se n'avvede, e il piatto rimane un tratto a lui davanti, allora gli applausi risuonano a colui che lo portò. Ma raro è che non se ne avveda, e che gli applausi non siano per lui». [caption id="attachment_56999" align="aligncenter" width="653"] "Banchetto nuziale" di Pieter Brueghel il Vecchio (1568 ca.)[/caption] Questo strano rituale è citato anche da altri autori. Eraldo Baldini ("La sacra tavola: il cibo e il convivio nella cultura popolare romagnola: simbolismi, riti e tradizioni", 2003) li ha raccolti, tentando anche di spiegare il significato. Giuseppe Gaspare Bagli in "Nuovo saggio di studi su i proverbi, i pregiudizî e la poesia popolare in Romagna" nel 1885 scriveva: «Al pranzo di nozze, uno dei convitati porta cipolla, rosmarino e altre simili cose alla sposa, e questa deve prendere tutta quella roba e scagliarla nella schiena