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"Paga Palloni!". Ogni riminese sa che il modo di dire tutto riminese si riferisce al ricchissimo podestà Pietro Palloni che nel 1932 anticipò di tasca sua le spese per la costruzione del lungomare. Lo si usa per significare quello che in Veneto (e non solo) è "paga Pantalone", cioè un fantomatico benefattore in grado di saldare ogni debito. Ma almeno fino ai primi anni '90 del 900 a Rimini, Santarcangelo e loro frazioni, non era infrequente sentire anche un altro detto dall'analogo significato: “Paga Zucchi!”. Nessuno però sapeva ormai cosa volesse dire. Qualcuno si immaginava un qualche episodio, avvenuto in qualche mercato o fiera della zona, che aveva visto una persona benestante pagare per tutti, volente o nolente. Non è così. L'espressione verbale “Paga Zucchi” si riferisce al generale Carlo Zucchi (1777-1863) di Reggio Emilia. Zucchi aveva fatto carriera sotto l'impero napoleonico fino a diventare generale di brigata. Quando nel 1831 il duca di Modena fece arrestare Ciro Menotti, la città si sollevava e a Reggio Emilia si organizzò un corpo militare al comando del generale Carlo Zucchi. Contro ogni aspettativa, gli 800 e più volontari delle Province Unite Italiane al comando di Zucchi seppero tener testa a 5 mila Austriaci in vari scontri. Il più importante

Carlo Brighi (1853 - 1915) era nato nella frazione Fiumicino  di Savignano sul Rubicone. Andò a scuola di violino da diversi maestri, a Savignano sul R. ed a Cesena. Brighi suonò tra i violini dell'orchestra del teatro comunale di Cesena,  quindi suonò musica classica nelle opere. Dopo il 1890 si dedicò invece alla musica popolare delle sale da ballo.  Fondò una sua orchestra con la quale si mise a girare la Romagna. Suonavano polke, mazurche e valzer nei circoli cittadini, nei caffè-concerto,  nelle sale grandi dei palazzi signorili. Gli strumenti erano tre violini, il clarinetto ed il contrabbasso. AI primi del 900 Brighi inserì la chitarra al posto del terzo violino. Il saxsofono, la fisarmonica e la chitarra basso in sostituzione del contrabbasso erano ancora là da venire. Non si conoscono i nomi dei componenti delle prime formazioni di Carlo Brighi.  È probabile che l'orchestra all'inizio non avesse una formazione stabile, ma che si mettesse assieme a seconda del locale, includendo musicisti del posto  in cui di volta in volta Brighi si esibiva. [caption id="attachment_112293" align="aligncenter" width="1149"] Carlo Brighi[/caption] Brighi, dopo aver organizzato un capannone itinerante, chiamato all'origine  "E Festival" ("Il Festival") poi successivamente "Capannone Brighi",  nel 1910 decide di fermarsi a Bellaria, paese natale della moglie. Qui

Anni '60. A Rimini, a 200 metri dalla riva tra piazza Tripoli e piazza Pascoli, c’era il trampolino di ferro, alla pedana altro tre metri.  I ragazzini ci arrivavano a nuoto o su dei mosconi zeppi di gente, al limite del galleggiamento. Si saliva la scaletta, si raggiungeva la pedana del trampolino dove c'era già molta gente, soprattutto ragazzini ma anche qualche diciottenne. Allora giù tuffi. Ne ho fatti tanti anch'io. I diciottenni, più coordinati nei movimenti si tuffavano “di testa”, i ragazzini quasi sempre  “di piedi”, con il gusto delle “scaranate”. Nella calca generale, ogni tanto tuffandosi si rimediava anche qualche scorticatura. A Rimini i trampolini, espressione di un'epoca balneare ruspante e passata, sono stati smantellati tutti nei primi anni '70. Gaetano Dini

Nel rione di Rimini che dava sul porto, Borgo Marina, che era di gran lunga il più popoloso dei quattro, i marinai parlavano da sempre un dialetto chiamato “Purtlòt” (Portolotto), che era un linguaggio veneto, quasi incomprensibile per la gente romagnola di terra. Era invece capito benissimo in tutti i porti dell'Adriatico e su entrambe le sponde, perché si trattava della "lingua franca" della marineria in quello che venne detto per secoli il "Golfo di Venezia". Nel Portolotto, come nelle altre lingue franche dei marinai, la parlata dominante (in questo caso il veneziano, con il suoi affini come il giuliano, l'istriano, il dalmata) pescava parole in ogni approdo, creando un proprio gergo: qua e là vi affioravano termini greci, arabi, turchi, slavi, albanesi, ma anche spagnoli ed ebraici. [caption id="attachment_102358" align="aligncenter" width="844"] *Il Golfo di Venezia" in una carta francese del 1730[/caption] A loro volta, i dialetti locali se ne servirono e se ne servono abbondantemente quando si tratta di cose di mare. Per esempio, tutti i nomi dei pesci e i termini marinareschi del dialetti romagnoli, riminese compreso, vengono direttamente dal Portolotto: per questo in Adriatico, per esempio, non si dice cozze ma "pidocchi" (bdocc, peòci in veneziano) non vongole ma "poveracce" (purazi,