Le Mille bolle blu di Mina non era una canzone. Era una profezia. Sessant’anni fa la Sibilla di Cremona vedeva il nostro presente, un turbinio di bolle grandi e piccole che volano, danzano e ci illudono di essere nel mondo senza esserci veramente. Bolle speculative, bolle informative, bolle sanitarie, ognuno ha la sua o ne ha più di una, da cui si sente protetto e rassicurato: vedi solo certi amici con le tue stesse abitudini, ascolti solo certe opinioni, condivise dai tuoi amici, vai solo in certi posti su misura per chi ha le tue abitudini, i tuoi amici, le tue opinioni. Difficile fare a meno delle bolle metaforiche, ma quelle nessuno intende togliercele, almeno per il momento. Quelle in pericolo sono altre bolle, sempre trasparenti ma più piccole e reali: le bollicine di anidride carbonica che rendono frizzanti acqua minerale e bibite. Grandi aziende di acque minerali sono state costrette a fermare le linee dell’acqua gassata, non solo in Italia ma in tutta Europa: produrre anidride carbonica richiede energia sempre più costosa, quindi se ne produce di meno e la si destina a settori essenziali come la sanità o l’industria alimentare. Ora, l’acqua frizzante è sempre stata divisiva: c’è chi la ama
Uno Stato che scaccia il latinorum dalle scuole ma diventa Don Abbondio davanti ad ogni Ius
Via gli innaffiatoi, fuori i contagocce, prati all’inglese irrigati con il favore delle tenebre, boom negli acquisti di piante grasse. I pollici verdi riminesi si preparano a fare i conti con la siccità e l’inevitabile razionamento idrico che limiterà l’impiego dell’acqua per usi non domestici, in primis il giardinaggio. La restrizione più sopportabile sarebbe il coprifuoco, o meglio, copriacqua, tra le otto del mattino e le ventuno, orario nel sarà proibito innaffiare. In estate lo facciamo praticamente tutti la sera, perché il sole non dissecchi subito il terreno, e del resto non è detto che un po’ di sete faccia male alle piante: anzi, come ci dicono tutti i tutorial su YouTube, rischiano più spesso di morire per annegamento piuttosto che di sete, perché il giardiniere inesperto (uno a caso: io) tende ad abbeverarle manco fossero mucche da latte, magari con acqua bella fresca, sommando l’eccesso idrico allo shock termico. L’ideale, consigliano gli esperti, sarebbe infilare un dito non guantato nel terreno per sentire se è secco o umido, e regolarsi di conseguenza. Insomma, con la maggior parte dei nostri coinquilini vegetali si può venire a patti su orari ed entità dell’innaffiatura quotidiana. Ma c’è sempre qualche ingordo che non si adegua
Quello che si chiude è il weekend più atteso dell’anno dai ragazzi che leggono: è «Mare di libri», la rassegna che inonda la città di eventi legati alla lettura under-18 e nel settore ormai sovrappopolato dei festival di questo e di quello lungo penisola rappresenta un’eccellenza di cui Rimini può andare fiera. Non solo perché ogni edizione porta in città alcuni fra i nomi più illustri e ammirati della letteratura e del fumetto, ma anche per l’impegno e l’entusiasmo dei giovanissimi volontari e volontarie coordinati dalla libreria Viale dei Ciliegi, che «Mare di libri» l’ha inventato nel 2008. Poco più che bambini loro stessi, spesso poliglotti, fanno da baby-sitter e interpreti agli ospiti stranieri, vanno a prenderli in stazione, li guidano verso i rispettivi hotel e location degli eventi; e poi assistono l’organizzazione in tutti i momenti della rassegna, dal check in degli spettatori all’ingresso di ogni incontro al riempimento dei buchi nelle platee più sguarnite affinché lo scrittore invitato non si senta un cenerentolo, dal trasporto dei libri per i firmacopie alla soluzione di emergenze impreviste o imprevedibili. Molti volontari e volontarie sono riminesi, ma ce ne sono che vengono qui da tante parti d’Italia, accompagnati dai genitori o dagli
La pizza che fa meglio alla salute? Non la marinara né la margherita, e nemmeno quella con le verdure grigliate. La pizza più salutare è quella ordinata al telefono da una riminese lo scorso mercoledì sera. Perché il numero che aveva composto non era quello di una pizzeria, ma quello della polizia. Che ha capito subito che non si trattava di un errore, ma di un’urgente richiesta d’aiuto. E infatti la volante arrivata all’indirizzo indicato ha trovato quel che si aspettava: una donna disperata e suo figlio in balia di un uomo ubriaco e violento, che è stato prelevato e portato in carcere. Non si sa se i due poveretti poi si siano ordinati davvero una pizza o siano andati a letto senza cena, ma sicuramente hanno passato una notte tranquilla, senza urla né botte, forse la prima da mesi. Quante notti così saranno concesse a quella donna e a quel ragazzo, prima che il loro carnefice venga rilasciato e l’incubo ricominci? Viene da chiederselo, alla luce delle due tragedie avvenute questa settimana, due duplici femminicidi, rispettivamente a Vicenza e a Sarzana, commessi da uomini di accertata pericolosità, uno dei quali doveva essere già in carcere da febbraio per rapina, e ricordando le
Abito qui da abbastanza tempo da sapere che di tutto quello che riempie Rimini di gente pagante non si può parlare male, anche se procura qualche disagio alla cittadinanza, dagli ingorghi stradali agli approcci avvinazzati. Chi capitale del turismo vuol comparire, qualche cosa deve soffrire – e va bene. E oggi “bene” è la parola chiave, perché “bene”, in inglese si dice “well”, che però si usa anche come particella introduttiva in una frase, tipo “bè, insomma”. E questo è il weekend di Rimini Wellness, la grande fiera del
Xavier, Nevaeh, Amerie, Uziyah, Eva, Irma… Avevano bellissimi nomi e bellissimi volti le 22 vittime della strage di Uvalde, Texas. Diciannove bambini fra gli otto e i dieci anni, due maestre eroiche che hanno tentato di proteggerli dai colpi sparati da un ex alunno della loro scuola, penetrato nell’edificio brandendo un fucile d’assalto e lasciato libero di agire dalla polizia, inerte dietro una porta chiusa. Il ventiduesimo caduto è il marito di una delle insegnanti, stroncato da un infarto sulla bara di sua moglie. Il killer aveva diciotto anni e si chiamava Salvador Ramos. Anche Salvador è un bel nome. È uno degli appellativi di Gesù, che secondo i cristiani ha salvato l’umanità morendo sulla croce – e Gesù amava i bambini. Anzi, fra tutti i profeti, filosofi e fondatori di religioni, è quello che li amava di più. Ramos invece i bambini li odiava e non ha salvato nessuno, nemmeno se stesso. La beffa contenuta nel suo nome è amarissima, ma non atroce quanto le reazioni della politica e dell’opinione pubblica americana, sempre uguali ogni volta che un individuo armato, più o meno psicolabile, fanatico o incompreso, entra in un luogo pubblico e ammazza persone a caso. Ci sono i familiari delle
Sarebbe bello che Lando Buzzanca, protagonista nel 1971 del film Il vichingo venuto dal Sud, facesse causa a David Fabbri, il “Vikingo” venuto dallo spogliarello. Forse dovrebbero citarlo per diffamazione anche gli autori della serie The Vikings e pure qualche vichingo sopravvissuto ai nostri giorni (pare che sulla costa meridionale della Svezia, nel villaggio di Foteviken, esista ancora una piccola comunità tornata allo stile di vita dei progenitori, eccettuata la pessima abitudine di razziare e massacrare i paesi vicini). Il Fabbri, maturo ex-stripper forlivese che si fa chiamare Vikingo perché «mix fra Beppe Maniglia e la buonanima di Zanza» sarebbe troppo lungo, non solca audacemente i mari in cerca di bottino, si limita a scorrazzare in Romagna a caccia di notorietà con sparate violente a sfondo fascista, razzista e omofobo, tipo lanci di banane contro il ministro Kyenge e affissione abusiva a Rimini di manifestini pro-zio Benito (oltre alle presunte ascendenze scandinave, Fabbri vanta parentele mussoliniane). Probabilmente l’unica razzia il Vikingo l’ha fatta in un magazzino di abiti religiosi usati, visto che da qualche anno sfoggia una tonaca bianca tipo Zenone dell’armata Brancaleone e si fa chiamare diacono-esorcista. Ma l’abito, nel suo caso, fa il monaco, perché se ne va in giro