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Capisco che non tutti possono avere un sindaco come il nostro, che il 25 aprile in piazza Tre Martiri ha fatto un discorso perfetto, emozionante ed emozionato. Credo altresì che nessuno meriti un sindaco come Enrico Valentini, leghista, primo cittadino di Gualdo Cattaneo (Perugia), che confonde “antisemita” con “antirazzista” e si caccia in un pasticcio che, nell’era dei social, ha il potenziale di una bomba all’idrogeno. Nel rifiutare la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, in quanto “non ha legami con il territorio” - tipico pretesto usato dai sindaci di destra per non concedere la cittadinanza a celebrità che non la pensano come loro, specie riguardo all’immigrazione e ai diritti - Valentini ha pubblicamente affermato e ribadito davanti alle telecamere di essere antisemita, anzi, “convintamente antisemita”. Nota bene: pochi anni fa il sindaco di Gualdo, per dare lustro al suo Comune, aveva invitato Jennifer Lopez, che col territorio umbro ha uguali o minori legami che con la Papuasia, ma che evidentemente sta molto simpatica al sindaco Valentini. Altra nota: la senatrice Liliana Segre, che Dio ce la conservi, non solo è una sopravvissuta alla Shoah, ma attualmente è la più nobile icona italiana della lotta contro ogni discriminazione. Con queste premesse, l’“io sono antisemita”,

Probabilmente ora, nel paradiso degli artisti, sta provando un nuovo allestimento di un’opera appena scritta da Bertolt Brecht con la regia di Strehler, che aspettava solo lei per metterla in scena. Ma anche se la malattia l’aveva da tempo allontanata dai palcoscenici e la sua chioma fiammante non incendiava più il piccolo schermo, Milva ci manca ancora di più, ora che se n’è andata per davvero. Proprio mentre le sue compagne della Great Generation della canzone italiana al femminile, Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Orietta Berti, e mettiamoci pure Loredana Berté anche se è di alcuni anni più giovane, stanno facendo scintille, scalano le classifiche, giocano con i social, provocano, insegnano e conquistano l’ammirazione e la stima anche di chi è nato quando loro erano già nonne. Che peccato avere perso proprio lei, la Pantera dalla mascella volitiva e dall’occhio fermo e felino, che ha ruggito a Berlino e a Parigi e ha ispirato geni della musica, senza mai dimenticare le sue radici, con l’eleganza severa dei popolani con la schiena dritta che abitavano la terra di Matteotti e di don Minzoni. Che peccato avere perso Milva proprio a ridosso del 25 aprile, una festa in cui sicuramente lei credeva, senza

Nell’anno della pandemia mi sono ammalata di Covid ma - non so se le due cose sono collegate - sono guarita da un disturbo che mi affliggeva fin dalla fanciullezza: il pollice nero. Una sindrome letale - non per me, ma per qualunque forma di vita vegetale affidata alle mie cure, pianta grassa o da fiore, stagionale o perenne, rampicante o aromatica, amante del sole o dell’ombra. Appena la povera creatura si rendeva conto di coabitare con me, si ammosciava e si lasciava morire. Non importava se e quanto la innaffiavo, come la esponevo o la rinvasavo, se le parlavo o la ignoravo, aveva un solo obiettivo, tornare all’humus da cui veniva, il prima possibile. Me ne ero fatta una ragione e mi ero rassegnata alle piante di plastica, all’Ikea ne hanno di bellissime e molto realistiche. Poi, durante il lockdown dell’anno scorso, i figli mi hanno fatto notare che le piante erano gli unici esseri viventi che si potevano ricevere in casa propria senza incorrere nelle sanzioni della legge. Nessun dpcm vietava assembramenti di gerani né imponeva distanziamento sociale fra le begonie, e il confinamento apriva larghi e inusitati spazi di tempo libero perfetti per il giardinaggio, che avrebbe portato in

“Tornare in zona arancione” per noi donne non significa uscire solo dalla zona rossa. Vuol dire anche uscire dalla zona grigia o zona nera - con riferimento alle nostre capigliature, beninteso. Perché finalmente riaprono i parrucchieri e su WhatsApp è tutto un fioccare di suppliche per fissare al più presto un appuntamento, anche a ore impossibili, pur di far cessare al più presto la tortura e il ludibrio di circolare con ricrescite a vista e tagli ormai privi di qualunque forma umana. Se l’anno scorso i capelli in disordine erano prova di virtù e di rispetto delle regole del lockdown, tanto che perfino autorevoli anchorwoman esibivano con fierezza due dita di capelli pepesale, ora la non-acconciatura da pandemia ha perso ogni fascino e, anzi, dà l’ultimo tocco di tristezza a un look che risente di mesi di palestre chiuse, di centri estetici blindati e di demotivazione allo shopping. Chi non ha fra le sue conoscenze un’amica che sa cavarsela con forbici, tubetti e pennelli ha rimediato alla buona con i mascara per capelli, i prodotti per il ritocco casalingo o con le tinture da supermercato. E così per i parrucchieri il sollievo per poter finalmente riaprire si associa all’ansia di dover rimediare

Sulla virulenza delle suocere c’è una letteratura immensa e plurimillenaria: il primo testo conosciuto a vederla protagonista è una commedia di Apollodoro di Caristo, autore greco del III secolo, poi ripresa dal latino Terenzio. Sui suoceri invece si è sempre scritto poco, anche se probabilmente di rompiscatole nel corso dei secoli ce n’è stati e ce ne sono in abbondanza. Peggio ancora quando diventano ex suoceri, riunendo le degenerazioni tipici dell’ex malmostoso (lo spirito persecutorio e la tendenza allo stalking) all’ostilità preconcetta caratteristica dei peggiori suoceri. Un tipico esempio è il signore di cui parlano le cronache di ieri, che per “punire” la non più moglie del figlio non ha trovato di meglio che denunciarla alla giustizia per violazione delle norme anti-Covid sugli assembramenti in occasione di una festa in casa sua. Infrazioni che si verificano nelle migliori famiglie, compresa quella dell’onorevole di Italia Viva Luigi Marattin, tirato in ballo nei giorni scorsi a causa di un rumoroso e affollato party organizzato dalla sua compagna. In quel caso a chiamare le forze dell’ordine sono stati i vicini di casa, insospettiti e soprattutto infastiditi dal chiasso. L’ex suocero delatore invece lo ha fatto proprio per malanimo. Evidentemente non ha accettato la rottura, forse perché

Non so voi, ma io in questo weekend speravo di tornare al cinema. O meglio: un mese fa pensavo che il weekend del 27 marzo sarebbe stato quello in cui sarei tornata al cinema. L’aveva detto il presidente del Consiglio, quello di prima, e io ci avevo creduto, anche se pure allora mi sembrava una promessa un tantino ottimistica, visto che i contagi e i decessi continuavano a crescere e la campagna vaccinale era già in alto mare. Però vuoi non fidarti di un premier più noto per la facilità a chiudere che per quella di riaprire? “In verità, in verità vi dico, il 27 marzo sarete tutti seduti davanti a un grande schermo con il popcorn in mano a guardarvi Justice League Snyder’s Cut.” Ma la speranza è durata solo qualche giorno, e ieri, incrociando in piazza Cavour la manifestazione “Noi non siamo invisibili”, promossa dai lavoratori della cultura e dello spettacolo, mi resa conto che la data fatidica era diventata una beffa crudele. Tanto più che si sta facendo concretamente strada l’ipotesi di restare zona rossa almeno fino alla fine di aprile. E quindi non si potrà non solo tornare al cinema e a teatro, ma nemmeno in palestra, in

«Cos’avranno pensato le capre di Bikini?» si domandava Italo Calvino in un celebre articolo apparso sull’Unità nel 1946. Bikini, all’epoca, non evocava un costume da bagno, ma l’atollo dove gli americani dal 1946 al '58 sperimentarono le loro bombe atomiche fino a quella all'idrogeno, uccidendo centinaia di capre selvatiche dopo le decine di migliaia di giapponesi dell'esordio. E cos’avranno pensato i gatti nelle case bombardate, e i cani in zona di guerra, e i pesci allo scoppio dei siluri? All’infinita lista di animali, innocenti testimoni e vittime totalmente estranee e inconsapevoli della cieca crudeltà delle guerre umane, potremmo aggiungere le migliaia di bovini arsi vivi nelle stalle durante la ritirata di Caporetto e i leoni e gli elefanti straziati dalle bombe e ululanti di dolore negli zoo della Berlino del 1945. Forse le cinquanta galline sterminate tre giorni fa a Vivaro, nei dintorni di Pordenone, dal cannone che ha sbagliato mira, centrando il loro allevamento, non hanno avuto nemmeno il tempo di pensare. Non per la presunta limitatezza del loro cervello, smentita dalla scienza (polli e galline sono capaci di pensiero aritmetico, oltre che di memoria e capacità di comunicazione), ma perché il proiettile di un blindato le ha sorprese nel

La piada ha meno sapore, il Sangiovese è meno rosso, lo squacquerone è acido, il nostro mare è in lutto. Piangi Romagna, Raoul se n’è andato, il maledetto Covid ci ha portato via anche lui, la nostra bandiera, rappresentativo come il Passatore, il gallo e la caveja dei anèl. E sempre per colpa del virus non potremo nemmeno salutarlo come meriterebbe, né onorarlo con funerali degni del re del liscio - e questa è forse la cosa che ora fa più male. E non solo a noi romagnoli. Grazie a lui la nostra musica è diventata patrimonio comune. Per chi oggi ha più di cinquant’anni, i figli del boom e anni limitrofi, Casadei era la colonna sonora dell’estate, quello che per i giovani d’oggi sono reggaeton, lambada e salsa. Ciao mare, Simpatia e La mazurka di periferia erano indissolubilmente legate alle vacanze sulla nostra riviera, il lusso annuale alla portata di tutti, e non c’è bambino degli anni Settanta che non abbia piroettato al ritmo di tre quarti sulla pista di una festa di piazza o di una sagra. Avevo un’amichetta che vestiva la sua Barbie come “la Rita di Casadei”, predecessora di Luana Babini e voce dei super classici di Raoul, e

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