Radio Maria dice che l’Apocalisse è cominciata. E il trailer, o il teaser, come si dice oggi, è il coronavirus, un flagello veramente beffardo, che ti dà un sacco di complicazioni anche se non ti colpisce. Anzi, forse te ne dà di più, perché se ti ammali, ammesso che tu riesca a distinguerla da un’influenza normale e non te ne vada in giro a contagiare gente a destra e a manca, come pare abbia fatto l’ignaro «untore» di Codogno, ti mettono in isolamento e non devi più pensare a niente finché guarisci, come fortunatamente succede nel 97,5 per cento dei casi (dato, va precisato, ancora incerto, e comunque superiore alla mortalità dell’influenza stagionale). Se non ti ammali, ti restano le complicazioni: ansia, specie per i tuoi familiari a rischio; paranoia igienista; fobia ingiustificata per le persone con tratti asiatici o, peggio ancora, irritazione causata dalla fobia altrui per le persone con tratti asiatici; cancellazione fino a nuovo ordine di eventi sociali e sportivi e gite scolastiche che prevedono contatti con zone di contagio, cioè, come sembra, praticamente tutta l’Italia settentrionale; rischio di ritrovarsi su un treno bloccato causa presunto coronavirus a bordo, com’è successo ieri sera ai malcapitati passeggeri di un Roma-Lecce
Alzi la mano chi alle 0.01 del 15 febbraio non ha sospirato di sollievo “e anche quest’anno ci siamo tolti dalle palle lo stramaledetto San Valentino”. Anche se escludiamo le tante persone che venerdì avevano altro da pensare (una malattia, un familiare in difficoltà, problemi di lavoro, tutte cose che ti fanno rivedere le priorità), i pochi che sono usciti soddisfatti dal loro San Valentino, i pochissimi che manco sanno cos’è e i religiosi, che in quanto santo non possono parlarne male, le mani alzate resteranno parecchie. Può averla inventata solo il diavolo, la festa degli innamorati. Non solo per la sproporzione fra i quattro gatti che rende genuinamente felici e le moltitudini cui procura ansia, frustrazione, delusione, ma anche perché induce a commettere tutti e sette i peccati capitali. Il meno gettonato è la lussuria: a San Valentino, quando va bene, è tutto un baci, coccole, preliminari romantici, solo pochi intenditori lo buttano sul sesso&karnazza. Però c’è la superbia, quella di chi sbandiera senza ritegno, magari sui social, inviti o dichiarazioni d’amore o regalini lussuosi ricevuti, suscitando invidia nei single o nei trascurati dal proprio partner, che vanno a lamentarsi con lui, spingendolo all’ira. Lui comunque si è già macchiato di avarizia,
Non conosco personalmente i tre saludecesi (due pensionati e un ex tipografo) che nascondevano in casa una collezione di reperti archeologici di ogni tipo, dalle monete romane ai residuati bellici, ma non posso che ringraziarli e augurare loro di uscire puliti dalla denuncia per impossessamento illecito di beni culturali. Perché mi offrono su un piatto d’argento, anche se non d’epoca, il pretesto per uno spudorato auto-spot. Insieme allo storico Andrea Santangelo ho scritto un romanzo, Ninnananna per gli aguzzini, edito da Solferino e in vendita in tutte le librerie, ambientato in un paesino romagnolo in cui il passatempo preferito è proprio la caccia alle anticaglie sepolte nelle colline circostanti. E i tre cacciatori di reperti di Saludecio sembrano presi di peso dalle pagine del libro, anche se i nostri personaggi sono specializzati in oggetti risalenti alla Seconda guerra mondiale, elmetti, mostrine, gamelle. Quando ho letto che il pensionato saludecese ha dichiarato agli archeologi inviati dai Carabinieri (per inciso: archeologi e Benemerita ci sono anche nel nostro libro) che tutto il materiale era frutto delle sue pazienti ricerche con il metal detector mi sono quasi commossa. Ovviamente non posso provare che dice la verità, tanto più che nella sua collezione non c’erano solo
Ci provo tutti gli anni, a sanremare contro. Ma poi mi ritrovo insieme a milioni di connazionali davanti allo schermo, per tutte e cinque le serate. Vabbè, diciamo per tre o quattro. Tendo a risparmiarmi la serata finale perché ormai le canzoni in gara mi escono dal naso, e in genere le mie preferite sono state già falciate dal televoto nelle prime due serate. E chi ha voglia di aspettare fino all’una di notte per vedere quale canzone insignificante guadagnerà al suo interprete il trofeo-fermaporta consegnato dalle mani del sindaco di Sanremo? Il meglio è già passato dal martedì al venerdì, i giovani più originali, gli ospiti più interessanti, le gaffe più clamorose, le polemiche più roventi. Gaffe e polemiche sono il sale di Sanremo, fin dalla sua prima edizione, e se il buon giorno si vede dal mattino, quella che si inaugura martedì prossimo potrebbe offrirne a carrettate. E’ un mese che scoppia un caso al giorno, a partire dall’affaire Rula Jebreal, la giornalista prima invitata a intervenire, poi invitata (larvatamente) a ritirarsi e infine ri-invitata con mille cautele e censure: sul palco dell’Ariston Jebreal non dovrà parlare di immigrazione ma solo di violenza di genere, argomento che, a differenza dei
Devo fare uno sforzo per rendermi conto che il Coronavirus non c’entra niente con il tatuato ex re dei paparazzi, anche se vista la psicosi dilagante, il suo nome dev’essere stato già inserito negli elenchi delle persone non grate dei maggiori talk show, tanto per andare sul sicuro. Ma se volevamo iniziare il 2020 con una botta di emozione, l’influenza che viene dalla Cina ci ha accontentato. E’ il primo virus dell’età di Netflix, e infatti l’epidemia segue un copione da serie televisiva, in un climax crescente a base di bilanci di contagiati e di morti aggiornati ora per ora, di bufale e controbufale, di dichiarazioni e smentite. L’ultimo scoop è la teoria di un esperto israeliano secondo cui il virus sarebbe stato creato in un segretissimo laboratorio militare in cui si lavora a un progetto di arma batteriologica, e situato proprio a Wuhan, il maggior focolaio dell’epidemia. E in effetti, se si poteva capire come la famigerata «spagnola» del 1917 fosse potuta trasmettere dai polli agli operai impiegati negli allevamenti del Kansas (perché era da lì che veniva, ma non si poteva dire perché gli americani stavano salvando le sorti della Triplice intesa nella Grande Guerra), è più difficile spiegarsi come il
Nel cast del Sigep di quest’anno Gwyneth Paltrow non c’è. Pertanto gli estimatori del gelato dai gusti inusitati non potranno sperare di ritrovarsi in cono o coppetta l’equivalente commestibile della famosa candela che la scorsa settimana ha fatto chiacchierare tutto il mondo, ovvero “This Smells Like My Vagina”. Strano che la poliedrica diva americana non abbia pensato a convertire in gelato l’afrore personale brevettato che, sotto forma di candela, ha avuto un successo strepitoso, con migliaia e migliaia di pezzi venduti malgrado il prezzo non abbordabilissimo: 75 dollari. O forse Gwyneth sapeva che il palco del Sigep sarebbe stato già abbastanza affollato di gusti bizzarri, e il suo gelato al gusto vagina vip avrebbe rischiato di venire eclissato dalle proposte ancora più eccentriche del gelatiere cesenate Roberto Leoni. Che non sarà stato fidanzato con Brad Pitt o con Chris Martin dei Coldplay, come Gwyneth, ma condivide con lei la fantasia sinestetica imprevedibile. La stampa ci ha infatti informato che Leoni domani pomeriggio proporrà un gelato al gusto di mare Adriatico. Altro non si sa. E questo autorizza una selva di dubbi giustificati. Tutti noi abbiamo sognato di tuffarci in un mare di gelato, non in un gelato di mare. Specialmente non di
Ormai stiamo tutti a Rota. No, tranquilli, non nel senso peggiore, qui non si parla della tossicodipendenza che appena svanito l’effetto di una dose ti spinge subito a procurartene un’altra. Ma forse sempre di dipendenza si tratta, anche se di un altro tipo, e le sostanze psicotrope sono le musiche di Nino Rota diffuse in piazza Cavour per celebrare il centenario felliniano. La strada, I vitelloni, La dolce vita, Otto e ½, fino all’inevitabile Amarcord sono diventate la colonna sonora della nostra vita quotidiana, dello struscio del sabato pomeriggio, del giro di shopping in tempo di saldi. E migliorano tutto. A cominciare dalla camminata delle signore, che diventa istintivamente più femminile, più ancheggiante, più da Gradisca, insomma. E anche l’umore si rilassa, diventa sorridente e affabile. Ti guardi intorno e ti senti dentro un film, anzi, in un film del più grande maestro del cinema – che sarà banale, e insostenibile anche come fantasia, visto che la Rimini dei Vitelloni e di Amarcord è stata ricostruita in studio e, com’è noto, i rapporti tra Federico e la sua città natale non sono stati sempre esattamente idilliaci. Ma è ugualmente una sensazione piacevole che ti sospende fra realtà e immaginario. Il potere
I più pessimisti l’avevano previsto: sarebbe arrivato il momento in cui avremmo avuto nostalgia di quando i nostri figli volevano fare gli youtuber o gli influencer. Ma forse nemmeno loro avrebbero immaginato che sarebbe giunto così presto. E che il nuovo mestiere più ambito dai teenager desiderosi di fare soldi in fretta e senza troppa fatica sarebbe stato il rivenditore di scarpe, o meglio, il reseller. Nessuna concessione all’ego o all’esibizionismo, nemmeno il pur minimo sforzo di creatività richiesto per ballonzolare o a descrivere un videogioco davanti a una webcam. Basta essere in rete nell’orario giusto (o, per chi abita in una grande città, stazionare davanti agli store di moda) e aggiudicarsi una scarpa da ginnastica in edizione limitata a un prezzo basso (si fa per dire: può essere cento o duecento euro), per poi rivenderla agli appassionati per una somma maggiorata. Il rapporto fra spesa, ricavo e guadagno si impara già alle elementari e forse è una delle poche cose che tutti i ragazzi tengono in mente. E i genitori non sanno se compiacersi dello spirito commerciale dei loro figli o se mettersi le mani nei capelli perché anche questa speculazione costa e comporta dei rischi – che ricadono sul borsellino