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Ci voleva Mario Sechi per indovinare e svelare il suo dramma segreto: incastrato in una relazione gay in cui, oltretutto, lui rappresentava il partner più debole

Che si stesse un po’ mascolinizzando l’avevamo già capito qualche giorno prima che Libero la proclamasse Uomo dell’anno. Non quando ha annunciato di voler essere chiamata “il presidente del Consiglio”, come se l’articolo femminile fosse una deminutio del prestigio della carica, ma quando ha annullato per ben due volte la conferenza stampa di fine anno per motivi di salute – influenza o sindrome otolitica? – che peraltro non le hanno impedito di viaggiare in aereo da Milano a Roma sotto Natale insieme alla figlia e all’ex compagno Giambruno. Indisposizioni fortunatamente non drammatiche, dunque, di quelle che di solito noi donne teniamo a bada buttando giù una tachipirina e stringendo i denti, soprattutto nel periodo delle feste, quando per mogli e madri gli impegni, anziché diminuire, raddoppiano. Sono gli uomini quelli che dànno forfait per due linee di febbre e languono come moribondi reclamando brodini e assistenza. Ecco il privilegio virile di cui Giorgia Meloni si è opportunamente appropriata per calarsi ancora meglio nei panni dell’uomo di Stato, in particolare di quello che è stato il suo vero padrino politico, Silvio Berlusconi: ricorderete come, durante i suoi vari mandati da premier, ogni tanto sparisse per non meglio identificate «ragioni di salute», e

Una raccomandazione a chi restaurerà il tempietto: andateci piano, lasciategli un po’ della patina che il tempo e la Storia gli hanno regalato

Sto cercando di capire perché la notizia dell’imminente restauro del tempietto di sant’Antonio in piazza Tre Martiri mi mette così di buon umore. Non sono particolarmente devota del santo lusitano-romagnol-padovano (spero che questo non lo offenda, aveva un certo caratterino) e nemmeno dell’architettura barocca di cui l’edificio è un pregevole esempio. E la prospettiva di vederlo impacchettato per diversi mesi in uno dei luoghi più rappresentativi e scenografici della città non mi esalta più di tanto. Però il fatto che gli saranno dedicate cure e attenzioni e che a fine 2024 lo rivedremo in forma smagliante mi scalda stranamente il cuore, come come se a un mio vecchio amico fosse capitata una bella cosa. Sono felice per lui. Si può voler bene a un monumento, al di là del suo valore storico-artistico? Evidentemente sì, e me ne rendo conto solo adesso – meglio così, perché di solito ci accorgiamo di quanto eravamo affezionati a certi aspetti del paesaggio urbano solo quando spariscono. Da quando vivo a Rimini, il tempietto presidia quell’angolo della piazza, dirimpetto all’edicola dei giornali che, a ben vedere, nell’aspetto gli fa un po’ il verso, e sembra la sua versione più umile e laica. Secondo la tradizione, la cappelletta

Il primo a lanciare una campagna pro-natalità fu un certo Augusto nel 19 a. C. e dovremmo sapere come andò a finire

«Italiani, fate più figli»: è un invito che risuona nella penisola da oltre duemila anni. Per la precisione, fin dai dai tempi di Ottaviano Augusto, il primo a lanciare una campagna pro-natalità, nel 19 a. C. Molto innovativa, a suo modo: la lex Iulia de maritandis ordinibus, che incoraggiava matrimoni e nascite, premiava le mogli prolifiche con l’esenzione della tutela maritale, dando loro la possibilità di gestire liberamente i propri beni. Non con bonus bebè, come i nostri governi, né con una medaglia e cinque lire (quindici se il bebè si chiamava Vittorio, Benito, Italia, Arnaldo o con altro nome patriottico), come fece Mussolini. La donna romana che partoriva almeno tre figli diventava padrona di se stessa, non più soggetta a un uomo, il massimo riconoscimento in una società ultra-patriarcale. Purtroppo l’imperatore accompagnò la legge pro-nascite con un’altra disposizione che vietava i matrimoni fra classi differenti e puniva duramente gli adulteri: i romani e le romane si ribellarono a questa invasione della loro vita privata e cercarono di svicolare in tutti i modi. Soprattutto le matrone, che pur di non dover sottostare alle leges Iuliae si iscrissero in massa nei registri delle prostitute, per le quali le norme non valevano. Una

Perchè Bezos non consente ai neonazisti di scambiarsi a Natale paccottiglia del Führer ma offre ai neofascisti un campionario sterminato?

Com’è tenero lo spot natalizio di Amazon, con le tre vecchiette che si vedono recapitare gli slittini e, alla faccia dell’osteoporosi, volano giù per il pendio innevato sulle note di In My Life di John Lennon! Quanto è buono e premuroso Jack Bezos, il multimiliardario che permette di collocare sotto l’albero tutto ciò che può rendere felici i nostri cari, e senza bisogno di letterine, basta un clic! Certo però che stavolta la sua benintenzionata smania di accontentare proprio qualunque capriccio è andata un po’ troppo in là, sconfinando in regioni storico-politiche da cui sia Babbo Natale che la Befana si sono sempre accuratamente tenuti alla larga. Sarebbe pericoloso infatti domandare ai due tradizionali portatori di doni di infilare nella calza un busto di Mussolini, una maglietta con scritto DUX o una spilletta col fascio littorio: basta la richiesta per fargli girare le scatole e indurli a riempire le calze dei postulanti di carbone. C’è una ragione se Babbo Natale ha la barba alla Marx veste di rosso e il look della Befana rimanda all’anziana rivoluzionaria russa protagonista de La madre di Pudovkin: possono sembrare servi del consumismo capitalista, ma in realtà sono vecchie querce di sinistra e la pensano come il

Perché i capelli vanno nell’indifferenziato quando sono eminentemente organici? E le unghie? C’è differenza se sono smaltate o no?

Ammettiamolo: tutte le volte (rare, rarissime, ci mancherebbe, e sempre dovute a gravi cause di forza maggiore) che abbiamo deposto i sacchi della spazzatura all’esterno dei cassonetti differenziati anziché aprire le feritoie con l’apposita tessera, ci siamo domandati se c’era la possibilità che qualcuno ci beccasse sul fatto. Il fatto che nell’isola ecologica ci fossero immancabilemente già altri dieci sacchi maleodoranti di vari colori e dimensioni, occultati dietro o in mezzo ai cassonetti, o sfacciatamente sopra, più più diversi cartoni sparsi e un’occasionale padella arrugginita, di solito ci fa pensare che sia facile farla franca. Del resto pochi o nessuno di noi conosce direttamente qualcuno che sia stato multato da Hera per errato o mancato conferimento dei rifiuti, al massimo è successo al solito cugino o vicino di casa di qualcun altro, nel più classico stile della leggenda metropolitana. E così se siamo usciti con tutta la spazzatura di casa ma senza l’indispensabile Carta Smeraldo, l’apriti sesamo di tutti i cassonetti, ci diamo un’occhiata intorno con aria furtiva e molliamo i sacchi nel modo più discreto possibile. Va detto, a parziale giustificazione, che in genere un cassonetto su tre – carta, indifferenziato o plastica-lattine – non funziona, o è bloccato o

Da molto tempo non mi capitava di sentire tanto parlare di un film fra le donne normali, in ufficio, al supermercato, nello spogliatoio della palestra, per strada

I dodici milioni di biglietti staccati in un mese, le lacrime in platea, gli immancabili applausi sui titoli di coda, l’aver messo d’accordo destra e sinistra: già basterebbero queste benemerenze a rendere straordinario il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani. Personalmente trovo clamoroso un altro primato: da molto tempo non mi capitava di sentire tanto parlare di un film fra le donne normali, in ufficio, al supermercato, nello spogliatoio della palestra, per strada. Le amiche di tutte le età si mettono d’accordo per andarlo a vedere o a rivedere, in gruppo o con i figli, e poi lo commentano e ne discutono nelle loro chat. C’è chi ha portato al cinema la mamma o la nonna e poi si è fatta raccontare il suo personale film in bianco e nero fra le rovine e le speranze del dopoguerra. Chi la mamma o la nonna non ce l’ha più si commuove davanti al grande schermo, immaginandola giovane, trepidante, tenace e fiera come la Delia protagonista del film. Insomma, C’è ancora domani è il film da vedere, possibilmente oggi, come corollario alla giornata contro la violenza sulle donne. Ne vale la pena anche perché è costruito con un’abilità che sfiora il miracolo: riuscire

Finché ci ostineremo a credere stupidamente in questo mito dovremo ancora versare molte lacrime di coccodrillo

«È stato il vostro bravo ragazzo». Questo ha scritto sui social Elena Cecchettin, la meravigliosa sorella maggiore della povera Giulia, riempita di botte, sequestrata e gettata in un dirupo dall’ex fidanzato Filippo Turetta, che continuava a manipolarla con il vittimismo come prima aveva fatto con la gelosia. A chi si rivolgeva Elena, di cui in questi giorni abbiamo imparato a conoscere la pacatezza e la maturità? Ai genitori di Filippo, certo, che nelle interviste dei giorni scorsi continuavano a ripetere che il loro figlio – senza amici, misantropo, ossessionato da Giulia - era un bravo ragazzo e non aveva mai dato un pensiero ai genitori. Forse Elena lo rinfacciava anche ai media, quel «bravo ragazzo» ripetuto nei telegiornali e nei talk show e che, lei lo sapeva, era una bugia, perché Filippo da tempo stalkerava e ricattava psicologicamente sua sorella. E Giulia, che era davvero una brava ragazza, troppo brava, provava pena per lui e non aveva tagliato tutti i ponti con il «poverino» che minacciava il suicidio. Ma io credo che il rimprovero fosse anche per tutti quelli che continuano a prendere sul serio il mito del «bravo ragazzo». Dove per tale si intende un maschio caucasico con la faccia pulita,

Pare che abbia anche risuscitato tre morti ma non se lo ricorda nessuno, tutti hanno in mente solo la storia del mantello tagliato

Martino, il santo che si festeggia in questo weekend, è sempre stato uno dei santi più simpatici del calendario. Non che fosse un pacioccone alla san Filippo Neri, “state buoni se potete”, eccetera, anzi: ha fatto il soldato fino ai quarant’anni, poi è stato missionario, monaco e vescovo, e ai suoi tempi – più o meno quelli del nostro san Gaudenzo, il IV secolo d. C., quando il cristianesimo doveva ancora prevalere sul paganesimo e per di più era diviso al suo interno da molteplici e litigiose eresie, peggio dell’attuale opposizione – non si faceva pregare per distruggere templi di Apollo o statue di Iside. Però l’episodio più famoso della sua vita, quello che ci raccontavano da bambini ed è stato raffigurato da tanti artisti, è suggestivo come una fiaba. Lo riassumo per i pochissimi che non lo conoscono. Martino, soldato originario della Pannonia (oggi Ungheria) è stato inviato nella Gallia del Nord, nella regione di Amiens, dove svolge compiti di polizia e di controllo del territorio, compito non facile, in un’epoca di acuta crisi economica e di rivolte quasi quotidiane. È attratto dal cristianesimo, questa religione che non è più nemmeno tanto nuova e chiede scelte di vita piuttosto drastiche,

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