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C’era più di un motivo per essere presenti ieri sera alle Nozze di Figaro andate in scena al Teatro Galli per l’inaugurazione della Sagra Musicale Malatestiana. Anzi, più di tre, contando la bellezza dell’opera mozartiana, la presenza sul podio del direttore di una leggenda vivente come Riccardo Muti e quella, in platea, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quarto era l’occasione, più unica che rara in agosto a Rimini, di vedere uomini vestiti decentemente, con pantaloni lunghi, giacca e cravatta, o addirittura papillon. Un fenomeno più raro della nidificazione del fratino sulle nostre spiagge. Giusto per il Presidente della Repubblica il maschio riminese poteva rinunciare ai bermuda d’ordinanza da maggio a ottobre, e solo perché il dress code lo richiedeva esplicitamente. Ma il Capo dello Stato al Galli aveva ben altro da fare che ispezionare l’abbigliamento degli spettatori maschi. Più che ascoltare le immortali arie di Fiordiligi e Dorabella doveva tenere d’occhio il maestro Muti per osservare sul campo, e possibilmente imparare, come si riesce a mettere d’accordo un ensemble di strumenti dai suoni diversi a farli suonare tutti nel rispetto di uno stessa carta fondamentale, lo spartito di Mozart nel caso di Muti, la Costituzione per Mattarella. Forse era il caso

Fra i tanti consigli che i media ci elargiscono per uscire vivi dall’eccezionale calura (eccezionale per modo di dire visto che, grado più grado meno, sono anni che in luglio e agosto va così), ne manca uno tanto prezioso quanto controintuitivo: tenere a portata di mano un golfino o una sciarpa uso scialle. Perché è inutile riuscire a reggersi eroicamente in piedi bevendo acqua, mangiando frutta e verdura, aumentando l’assunzione di sali minerali ed evitando di uscire di casa nelle ore più calde (cioè praticamente tutte) per poi entrare in un negozio o al cinema e venire stroncati dall’aria condizionata a palla che in pochi secondi ti fa passare dall’Equatore al Polo Nord, e non quello odierno, intiepidito dal riscaldamento globale, ma il Polo di una volta, quello con gli iceberg e gli orsi bianchi. Al pronto soccorso nei weekend le vittime del calore sono numericamente quasi pari a quelle del climatizzatore, che ti arriva sul collo tipo ghigliottina con una gelida lama aeriforme e dà lavoro ai virus che d’estate girellano disoccupati in attesa dei primi freddi. Ora, se ti piace che la tua temperatura interna faccia pendant con quella esterna, tutto bene; e in effetti una malattia da raffreddamento è

E’ la fortuna a essere cieca – anzi, ipovedente come si dice oggi – o siamo noi iper-distratti? Domanda inevitabile davanti a casi come quello del biglietto vincente non ritirato al Bar Sport di Pietracuta: 100mila euro sono giaciuti nella vana attesa del legittimo possessore del tagliando di una giocata vincente del Superenalotto, e verranno re-incamerati dallo Stato, che in questo momento ne ha tanto bisogno, con 2.365 miliardi di debito pubblico. Una goccia, anzi, una molecola d’acqua nell’oceano, ma piuttosto che niente, meglio piuttosto. E mentre la gente normale come voi e me, che nella vita al massimo ha vinto cinque euro solo al quinto tentativo con i gratta e vinci da un euro, sbatte la testa nel muro all’idea che qualcuno abbia avuto per mesi in tasca il passaporto non per la ricchezza, ma per un po’ di tranquillità economica, e l’abbia lasciato scadere, si fa strada un sospetto: che l’anonimo giocatore di Pietracuta, il suo omologo di Mercato Saraceno che ha dimenticato di riscuotere una vincita simile allo stesso concorso, e gli altri sei sconosciuti renitenti alla fortuna che in questi giorni stanno per dire addio a un gruzzolo che difficilmente si ripresenterà, volessero proprio questo: fare beneficenza

Questa settimana l’uragano del nostro scontento si è trasformato in un rinfrancante bagno di autostima per tutta la Riviera: il miracolo di Milano Marittima, dove gli ombrelloni e i lettini spazzati via dalla tromba d’aria sono tornati a posto nel giro di poche ore e nemmeno centinaia di alberi caduti sono riusciti a inceppare la macchina turistica, è stato narrato dai media con accenti epici e trionfali cui, onestamente, qui non eravamo più abituati. L’ultima impresa per cui sono state lodate le virtù dei romagnoli «seriamente», cioè senza sarcastica condiscendenza (tipo il “popolo genialoide di affittacamere” di Gianni Brera), è stata la bonifica delle paludi pontine, riscattate col sudore e la malaria di tanti braccianti ravennati e forlivesi. E a partire da molto prima del fascismo, con i primi cinquecento eroi che nel 1884 partirono dalle impoverite terre di Romagna per raggiungere gli acquitrini di Ostia e Fiumicino, posti «dove non avrebbe resistito neanche il diavolo», dicevano i locali, eppure i romagnoli tennero duro e trasformarono l’inferno in terra arabile. Ma forse quell’impresa titanica non fu esaltata dai giornali dell’epoca tanto quanto la risistemazione-lampo della spiaggia di Milano Marittima lo è stata da giornali e tiggì. Stupiti, quasi scioccati da un fenomeno

Tutta Italia ha riso del povero cinquantenne riminese che ha approfittato di una trasferta in una città del Nord per il suo battesimo del fuoco nel mondo del sadomaso, per finire in ospedale con quaranta giorni di prognosi. Il vero rituale di umiliazione non è stato il pestaggio somministratogli dalla mistress, ma quello inflittogli dai cronisti, che hanno riferito la sua disavventura con toni irridenti e sarcastici, descrivendolo, per rimanere nel boccaccesco, come un porno-Andreuccio da Perugia, anzi, da Rimini, che si fa incautamente irretire da una maliarda mercenaria forestiera e paga la sua imprudenza con botte e fratture varie. «Col senno di poi, avrà rimpianto i rapporti di routine fatti di coccole e baci», ha scritto Il sussidiario.net, e se la routine dell’estensore dell’articolo sono rapporti teneri e coccolosi, e non i frettolosi due minuti di cui parlano le statistiche sulla sessualità in Italia, è un uomo fortunato. «Voleva un’esperienza forte, ma non così forte,» sogghigna La Repubblica. E via su questo tono. Tutti a ridere del povero sfortunato slave debuttante, tutti a moraleggiare sulle velleità “eyes wide shut” del Fantozzi del sesso estremo, giustamente punite. Voleva provare dolore? Bene, è stato accontentato con un crudele contrappasso che gli toglierà per sempre certi

E siamo arrivati al punto in cui un fine intellettuale come Adriano Sofri inizia la sua rubrica sul Foglio con “senti, brutto stronzo”. E’ un gioco retorico a sfondo paradossale, sia ben chiaro: con questa apostrofe volgare a Salvini, l’ex leader di Lotta continua ha risposto agli insulti partiti dal ministro dell’Interno contro Carola Rackete, la capitana della SeaWatch3. «Ti piace insultare una giovane donna in gamba a nome del governo italiano, eh?» continua Sofri, prima di scagliare a Felpa Kid una raffica di epiteti a metà strada tra il film western e il cappa-e-spada: maramaldo, pallone gonfiato, ceffo vigliacco. Il senso delle contumelie viene chiarito dalla frase successiva: «si può fare di meglio, cioè di peggio. Tu [Salvini] puoi». Come dire: se la gara è a chi la spara più grossa e sboccata, eccomi qui, non è uno sport tanto difficile, anche se il miglior marcatore resti sempre tu, caro Salvini. Si stringe un po’ il cuore nel vedere una personalità complessa e discussa come Sofri (che peraltro ha pagato davanti alla legge i propri errori con lunghi anni di detenzione, a differenza di altri) accettare a un’età venerabile un incontro di catch nel fango mediatico con un avversario più

La nostra casa è in fiamme è il titolo del libro di Greta Thunberg, la Giovanna d’Arco della resistenza al cambiamento climatico. Per meglio dire, la nostra casa comune, il mondo, è sulla fiamma, come la famosa pentola d’acqua con dentro la rana, che sguazza ignara nell’acqua sempre più calda, finché si accorge troppo tardi di essere diventata carne da bollito. Ma la metafora della casa in fiamme, se non è calzante, è sicuramente più efficace: attiva tutti i nostri sistemi di allarme. Quando la casa va a fuoco bisogna fare subito qualcosa: chiamare soccorsi, certo, ma prima di tutto scappare, come fanno gli animali selvatici quando scoppiano gli incendi boschivi. E non di rado l’istinto di sopravvivenza ha la meglio su quello di responsabilità verso gli altri, specie i più deboli. C’è un bel film, Forza maggiore, dello svedese Ruben Ostlund, che racconta proprio questo: di fronte a una catastrofe incombente un padre abbandona la famiglia e pensa soprattutto a salvare la propria vita, la tragedia viene scongiurata e non muore nessuno ma resterà una ferita insanabile fra chi è scappato e chi è rimasto a proteggere. Proteggere i più deboli nelle emergenze è virtù antica e così sacra che duemila

Il detto “mors tua vita mea” è molto crudele, soprattutto quando si declina in un contesto che dovrebbe essere spensierato, come quello delle vacanze, dove si traduce in “attentatus tuus, turista meus”. Perdonate il cinismo, ma a quanto pare è questa la causa del calo delle prenotazioni per le mete vacanziere italiane per l’estate 2019, il primo in cinque anni. Non è colpa del governo gialloverde o della piega sovranista e nemmeno dei migranti, che siano i 500mila indicati da Salvini un anno fa o i 90mila di cui ha parlato prima delle Europee. Il problema è che una delle maggiori attrattive del nostro Paese negli ultimi tempi era di non essere la Tunisia, l’Egitto, la Francia o l’Inghilterra, teatro di stragi terroristiche firmate (o come minimo rivendicate) dall’Isis. L’Italia era considerata più sicura di altre mete – sui motivi circolano le tesi più varie, dalla presenza di papa Francesco, con cui alla fin fine i musulmani vanno d’accordo, all’efficienza della nostra intelligence, al puro e semplice culo – e continua a essere sicura. Ma la memoria degli uomini è labile, purtroppo e per fortuna. E come cantavano Dalla e Morandi, «la sofferenza tocca il limite e cancella tutto, e rinasce un fiore

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