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Il 3 agosto 1993 il Maestro venne colpito da un ictus, a dare l'allarme un misterioso ragazzino

“…Pensare a Rimini. Rimini: una parola fatta di aste, di soldatini in fila. Non riesco a oggettivare. Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. Lì la nostalgia si fa più limpida, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta.” (Federico Fellini, tratto da La mia Rimini, Cappelli, Bologna, 1967) Esterno notte. Sera d‘estate a Rimini. Terrazza del Grand Hotel. La facciata dell’albergo è illuminata a giorno. Musica di sottofondo affidata alla magica voce di una bella ragazza mora seduta al pianoforte. Numerosi ospiti in abito da sera ai grandi tavoli rotondi. Via-vai di camerieri in giacca bianca. E’ il 13 luglio 2008. Paolo ed io siamo fra gli invitati al Gran Galà dello Ior, l’Istituto Oncologico Romagnolo, di cui siamo volontari da diversi anni. Non siamo ospiti di primaria importanza, ma ‘gregari’. Forse per questo il tavolo riservato a noi e ai nostri amici è ai bordi della terrazza, l’ultimo della fila. Per fortuna, penso ora. Da quella postazione non ho mancato di ammirare gli ospiti ‘veri’ del Grand Hotel: i clienti residenti che stavano cenando nella sala da pranzo le cui vetrate erano lì, a portata dei miei sguardi curiosi. Non

Sant’Antonio fa il dottore, fa il dottore al suo animale, chi lo prega non fa male… Antonio ha il suo posto d’onore, nel calendario, il 17 gennaio. Al suo nome sono intitolati paesi, chiese, piazze. In Italia è molto venerato, soprattutto nelle campagne. E pensare che si tratta di un extracomunitario, essendo nato in Egitto. Sant’Antonio Abate era con la sua immaginetta in ogni stalla o ricovero per animali, essendo, appunto, venerato come e’ dutor d’al bes-ci (il dottore delle bestie). L’iconografia medievale tendeva a raffigurare il Santo vestito da frate, con il campanello, il maiale (gli altri animali compariranno dopo) e il “fuoco di Sant’Antonio”, il simbolo del fastidioso herpes zoster degli uomini che i frati antoniani curavano proprio con il grasso dei suini conventuali, liberi di vagare anche per le strade urbane alla ricerca di cibo, spesso al suono di una campanella in mano a un religioso questuante. Questo (di poter allevare i porci nelle città) era un privilegio antico, secondo alcuni statuti risalente al 1095, confermato con bolla papale nel 1523. Anche negli Statuti Comunali riminesi si parla di questa eccezione: tutta la popolazione si preoccupava, indistintamente, di dar da mangiare a questi animali cittadini. Dal libro quarto, cap. 10, rubrica CXXI. De porci tenendis et quomodo (Tenuta dei