"Santarcangelo 50 Festival" Testo di Roberta Ferraresi - Corraini Edizioni. Cinquanta, sono cinquanta le edizioni del Festival del Teatro in Piazza con quella chiusasi quest’anno a luglio. Mezzo secolo, dove il mondo, l’Italia, Santarcangelo sono cambiati, così come il Festival è stato capace di cambiare, innovarsi, trasformarsi per coniugare nei propri programmi tutte le novità possibili che i tempi portavano nel teatro non classico, non istituzionale. La Sindaca Alice Parma ha scritto nella presentazione di apertura del volume: “Questa sua profonda volontà di costruire la propria storia ‘continuando a cominciare’ è una caratteristica che contraddistingue questo progetto nel panorama nazionale ed internazionale e che ha trovato, nel tempo, la formula del rinnovamento triennale delle direzioni artistiche”. E questo bel volume di oltre 300 pagine con centinaia di fotografie scritto da Roberta Ferraresi (ma frutto di un numeroso gruppo di lavoro), classe 1983, docente di Alfabetizzazione teatrale in Discipline della Musica e del Teatro dell'Università di Bologna, è suddiviso temporalmente con i periodi delle varie direzioni: Piero Patino (1971-1977), Roberto Bacci (1978-1980), Antonio Attisani (1981), Ferruccio Merisi (1982-1983), Roberto Bacci (1984-1988), Antonio Attisani (1989-1993), Leo De Berardinis (1994-1997), Silvio Castiglioni (1998-2005), Olivier Bouin (2006-2007), Sandro Paascucci (2008), Chiara Guidi, Enrico Casagrande, Ermanna Montanari (2009-2011),
Charles Yriarte: "Francesca da Rimini. Nella leggenda e nella storia con fregi e disegni inediti di Ingres e di Ary Scheffer" A cura di Moreno Neri - Pontecorboli Editore. Moreno Neri ci ha “regalato”, dopo 150 anni dalla sua uscita in Francia, e in occasione del 7° Centenario della morte di Dante Alighieri, la traduzione in italiano di un testo sempre citato in tutti repertori dedicati alla vicenda di Francesca da Rimini tratta dal quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia. E’ un’edizione molto bella: in apertura una anastatica del testo francese del 1883 di Yriarte con fregi e disegni di Ingres e di Ary Scheffer; poi la traduzione in italiano e un ricchissimo apparato di note a cura di Moreno Neri. Neri negli ultimi quindici anni ha tradotto e curato opere del filosofo bizantino Pletone (la cui salma Sigismondo Pandolfo Malatesta portò a Rimini dalla Grecia e lo seppellì in un sarcofago esterno del Tempio Malatestiano), sull’alessandrina Ipazia, la prima donna filosofa e matematica, dei filosofi tedeschi Gotthold Ephraim Lessing e Jonathan Gottfried Herder, del filologo e filosofo francese Andrè-Jean Festugière, oltre a ricerche sulla massoneria, la sua storia e i suoi uomini. Ma ci ha anche edotto sulle frequentazioni di grandi intellettuali esteri
Il libro di Stefano Bonaccini prsidente della Regione Emilia-Romagna
Maria Giovanna Giuccioli: "Il Convento Francescano scomparso di Verucchio 1320-2020" - Pazzini. Un lavoro certosino di ricerca quello compiuto dall’architetto Maria Giovanna Giuccioli. Alla riscoperta di un luogo perduto, quello della chiesa e del convento di San Francesco a Verucchio, “che è stata parte fondamentale della nostra comune storia antica. I segni sono ancora fra noi: occorre semplicemente fare silenzio e guardare” (dall’introduzione di Lisetta Bernardi). Un edificio dimenticato, ma di grande importanza per la storia di Verucchio. Edificato fra il 1320 e il 1324, settecento anni fa, dentro le mura del castello di Verucchio, sotto la Signoria di Pandolfo Malatesta, su concessione del Papa Giovanni XXII. Il complesso monastico più importante della Verucchio malatestiana. “Questa chiesa francescana fatta costruire a Verucchio da Pandolfo Malatesta, figlio del ‘Mastin Vecchio’, celebre fondatore della dinastia, nove anni dopo la morte del padre, doveva diventare la ‘chiesa della famiglia’ per eccellenza (…) divenne consuetudine, nelle varie città malatestiane (Rimini, Cesena, Pesaro, ecc.) far diventare la chiesa intitolata a San Francesco [1181 ca.-1226] la sede del sepolcro di famiglia”. “Un convento maestoso seppur dall’aspetto austero, come si conveniva alle regole francescane e allo stile gotico allora in auge, ma che internamente doveva presentarsi come uno scrigno di tesori,
Giovanni Benaglia: "Colpevole! Fino a prova contraria. Discorso attorno al nostro sistema fiscale e al suo trattarci come incalliti evasori" Bookstones. Ultimamente, per una serie di episodi con uffici pubblici, nulla di drammatico, mi sono trovato però a chiedermi: ma perché uno deve essere sempre un bravo cittadino? E questa è anche la domanda fondamentale che Giovanni Benaglia ci pone con questa sua opera prima dedicata alle ingarbugliate vicende del pagamento delle tasse (in senso lato). Riminese, commercialista, esperto di contenzioso fiscale, Benaglia vorrebbe che lo Stato non ci considerasse degli evasori fino a prova contraria, ma cittadini e contribuenti per natura onesti: “per lo Stato italiano noi cittadini siamo una banda di delinquenti, ameno dal punto di vista della fedeltà fiscale. Non che questa scarsa considerazione sia storicamente del tutto sbagliata, ci mancherebbe. Siamo un popolo di evasori congeniti, privi di qualsiasi senso risorgimentale di Nazione, non riusciamo a capire che pagare le tasse è sì un fatto fastidioso ma serve per finanziare la Sanità, l’Istruzione, la Difesa, la Giustizia, tutte cose nelle quali prima o poi ciascuno di noi inciampa e poi ringrazia pure che sono gratuite. C’è da dire che, di contro, lo Stato negli ultimi ottant’anni non ha
Cristina Ravara Montebelli: "Le vie della seta a Rimini. Artefici e luoghi produttivi (XVI-XX sec.)" Bookstones. Avevo un “debito” con Cristina Ravara, una vecchia promessa non mantenuta: quello di raccontare il suo libro sulla lavorazione della seta Rimini. Lavoro frutto di una certosina e paziente ricerca in archivi e vecchissimi testi su questa attività nel Riminese (mi verrebbe da dire un lavoro all’Oreste Delucca). Il libro è uscito diversi anni fa, nel 2014, ma Cristina Ravara, archeologa, organizzatrice di mostre e convegni scientifici, sta continuando a lavorarci sopra, esplorando nuovi archivi e nuova documentazione, ed è probabile che prima o poi ne nasca un aggiornamento sulla base delle nuove scoperte storiche fatte. La storia della seta è lunga almeno cinquemila anni. La sua lavorazione nacque in Cina, per poi diffondersi in altri paesi dell’Asia. Importata per secoli in Europa (i romani la conoscevano e l’apprezzavano), qui la lavorazione iniziò ad avvenire solo dal XII secolo in Sicilia ed in Calabria, terre che subivano maggiormente gli influssi dall’Oriente. La coltivazione del baco e la lavorazione della seta si espanse poi in altre regioni italiane e in Europa. Gli abiti in seta iniziarono ad entrare nei guardaroba delle classi sociali più ricche di tutta Europa, diventando un bene
Giuliano Bonizzato: "Il sorriso della motociclista. Cronache di Rimini e della Romagna" - Il Ponte Vecchio. “Quando l’Italia era quasi fatta e mancavano soltanto gli Italiani, in compenso c’erano i romagnoli, una razza doc, rivoluzionari e patriottica, rissosa e mazziniana distribuita su un territorio omogeneo, ben caratterizzato tra ‘Il Po il Monte, la Marina e il Reno’. Come da definizione del Sommo Padre Dante. Che di solito ci azzeccava”. Ma al momento dell’Unità d’Italia “così fregarono la Romagna” i Farini, i D’Azeglio, i Cavour, Vittorio Emanuele III: “’Quando il vino è troppo robusto l’oste lo mescola con l’acqua’, disse Luigi Carlo [Farini]. ‘Pensate a quanto son sempre stati tranquilli i Ducati di Modena, di Parma, di Piacenza, per non parlare delle legazioni Pontificie di Bologna e Ferrara. Non hanno mai dato fastidio a nessuno, sembravano sempre addormentati. Quando è successo del casino mazziniano o garibaldino che fosse, state certi che c’era sempre di mezzo un romagnolo …”. Incorporiamo dunque la Romagna all’Emilia. Commento finale di Bonizzato: “Già. Ci hanno fregato così”. In questo nuovo, ed ennesimo libro, dell’avvocato Giuliano Bonizzato, una delle penne satiriche più caustiche e sardoniche di Rimini, l’Autore sceglie invece di non essere cattivo con nessuno (oddio, forse con
Marco Antonio Bazzocchi, Riccardo Gasperina Geroni: "Alfredo! Alfredo! Storie di Panzini e della Casa Rossa" - Pendragon. I più, non ferrati in storia della letteratura italiana, oggi si domanderanno chi fosse Alfredo Panzini (1863-1939). Ebbene fu uno scrittore e giornalista molto famoso, a cavallo fra Ottocento e Novecento, a cominciare dal successo che ebbe il suo reportage in bicicletta da Milano a Bellaria, con il titolo "La lanterna di Diogene" (Treves, 1907). Ma nel Riminese il suo nome è legato alla presenza della “Casa Rossa” alla Cagnona, frazione di Bellaria (ma in quegli anni ancora piccolo centro agricolo del Comune di Rimini), sua residenza estiva, luogo di appuntamenti culturali e oggi sede museale e deposito dell’archivio privato dello scrittore. Edificata nel 1909, divenne luogo di incontro con gli amici, i letterati (da qui passarono, tra tanti altri, Papini, Moretti, Serra, Aleramo, Sarfatti), i pittori (Dudovich, De Pisis) e per lui anche punto di osservazione privilegiato di quel mondo rurale che confluì nella sua narrativa come tema primario. Restò a lungo in disuso finché un ottimo restauro e uno straordinario allestimento dal 2007 l’hanno riaperta al pubblico. Nato a Senigallia da padre romagnolo, medico condotto, Panzini trascorse la sua giovinezza a Rimini. Frequentò poi