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Borgo San Giuliano che va salvato dal suo stesso successo


13 Giugno 2021 / Paolo Zaghini

Tommaso Panozzo: “Per le vie del Borgo. Storie, abitanti e itinerari del borgo San Giuliano” – Panozzo.

La curiosità. E l’amore per Rimini. Non può essere altro il sentimento che muove il giovane Tommaso Panozzo (classe 1994), ultimo figlio dell’editore riminese Massimo, ad indagare fra le pieghe della storia e guidarci in affascinanti scoperte di luoghi e avvenimenti di Rimini. E’ questa la sua terza guida riminese, dopo “Rimini. Le sue anime, i suoi tesori” del 2019, “Sulle tracce della Rimini di Fellini” del 2020 ed ora questo dedicato al Borgo San Giuliano. Tutti editi naturalmente dalla casa editrice di famiglia.

“A Rimini i quattro borghi sorsero spontaneamente nel corso del Medioevo in corrispondenza delle quattro porte urbiche: quello di San Giovanni, lungo la Flaminia, al di là dell’Arco d’Augusto; quello di Sant’Andrea fuori Porta Montanara; il borgo marina, lungo le mura nord-orientali della città. Il Borgo San Giuliano si trova invece all’inizio della via Emilia, la millenaria strada consolare (189-187 a.C.) che collegava ‘Ariminum’ (Rimini) con ‘Placentia’ (Piacenza)”.

Il Borgo crebbe notevolmente nel corso dell’Ottocento: a fine secolo era abitato da circa 2.000 persone in condizioni di vita precarie. Grande preoccupazione destava “l’aspetto dell’igiene pubblica: da quelle stradine, infatti, si sprigionavano pericolose infezioni che rischiavano di propagarsi per tutta la città”. Nel 1904 venne presa seriamente in considerazione l’idea di procedere alla demolizione del Borgo, ma il progetto non ebbe seguito. La stessa valutazione venne poi fatta dall’arch. Giancarlo De Carlo alla fine degli anni Sessanta, ma dopo un paio di infuocate assemblee in loco il Sindaco Ceccaroni e De Carlo capirono che non era aria. “Vogliono distruggere il Borgo! Prese la parola ‘Gamelino’ che, senza troppi fronzoli, disse: ‘Dovete sapere che io in cantina ho pronta la doppietta …’. Quella frase, insieme ad altri interventi più articolati, mise la parola fine sul progetto”.

“Il Borgo era abitato dai ceti popolari, principalmente gente di mare (circa la metà del totale) come pescatori, marinai, pescivendoli; a questo gruppo si aggiungevano carrettieri, fiaccherai e fornai. Altri ancora erano stallieri, o maniscalchi”.

“Quella del Borgo era gente socievole e ribelle allo stesso tempo: il degrado e la completa noncuranza da parte dell’Amministrazione spingevano facilmente i borghigiani verso gli ideali del socialismo rivoluzionario e dell’anarchia (…). Quel rione povero metteva paura ai ceti benestanti che abitavano dall’altra parte del Ponte. Fra i vicoli umidi del Borgo e nelle sue osterie, tra un bicchiere di sangiovese e un pranzo al cartoccio, nacque così il primo circolo anarchico d’Italia”.

Durante il Ventennio “l’antifascismo covava sotto la cenere e le autorità erano a conoscenza del clima di ‘fioca cospirazione’ che qui vigeva”. Diversi borghigiani diventarono poi partigiani: il giovane Mario Capelli, uno dei Tre Martiri impiccati il 16 agosto 1944 dai tedeschi, era uno di questi.

Tra il 1927 e il 1938 fu realizzato il nuovo scaricatore del Marecchia, ponendo fine alle disastrose piene del fiume fra le case del Borgo. Nel 1935 iniziò lo sventramento delle case per realizzare Viale XXVIII Ottobre (oggi Via Matteotti). Nel settembre 1937 venne inaugurata la scuola Decio Raggi, “la prima vera scuola elementare che il Borgo avesse mai avuto”. Nel 1938 fu aperto il nuovo ponte sul Marecchia, quello “dei Mille”.

Tra gli anni ’50 e ’60 il Borgo si spopolò. “I tre quarti della popolazione se ne andò: al Borgo rimasero soprattutto gli anziani e gli immigrati appena giunti in Città”. Nel 1979 vi abitavano ormai meno di cinquecento persone. Ma è alla fine degli anni ’70 che ci fu la svolta. Nel 1979 fu organizzata la prima “Festa de’ Borg” e la città incominciò a scoprire questo vecchio quartiere. Le feste, le tante iniziative promosse dal 1984 da la “Società de’ Borg”, i murales, “e’ mur di soranom”, le mattonelle, “Amarcord” e Fellini (tra realtà e fantasia): arrivò il ripopolamento delle vecchie case, la loro ristrutturazione e l’insediamento dei nuovi borghigiani. Sino alla grande riqualificazione dell’area del Ponte di Tiberio dell’ultimo decennio. Il Borgo “si è trasformato nel quartiere più di tendenza di Rimini, una piccola ‘Rive gauche’, tanto amata da intellettuali e turisti”.

Al nuovo successo del Borgo hanno contribuito in maniera determinante vecchi e nuovi ristoranti e negozi. Fra questi “la mitica Trattoria La Marianna, in assoluto il più antico ristorante ancora esistente” (ne abbiamo parlato recensendo il volume di Roberto Balducci “J anvùd dla Marianna. Una vetrina sul Borgo San Giuliano” edito da Panozzo nel 2018).

Tommaso però paventa un rischio reale: “Oggi sorge una nuova vera sfida: proteggere il patrimonio ancora esistente dalla banalizzazione e dal consumismo”.

“Deve avere inizio una nuova stagione: non può esistere economia del Borgo che non abbia, al proprio centro, la promozione della cultura locale e la tutela delle tradizioni antiche. Può sembrare paradossale detto di un luogo tradizionalmente anarchico, ma per difendere il Borgo è necessario recuperare una dimensione di ‘privatezza’, un concetto che non va confuso con la privatizzazione: non un indiscriminato ‘laissez faire’, una cessione integrale ai privati della gestione del quartiere, ma la convinzione che, per proteggere il Borgo e renderlo fruibile anche per le prossime generazioni, è necessario impedire l’abuso del bene da parte di masse amorfe e impersonali, che porterebbero inevitabilmente alla perdita dell’identità del luogo e della sua comunità”.

Tommaso si è laureato in giurisprudenza, in Italia e in Francia. Sta studiando per ottenere l’abilitazione allo svolgimento della professione. Ma contemporaneamente sta meditando su altri percorsi da proporci per scoprire luoghi e storie della nostra Città. Riuscirà ad abbinare la professione di avvocato con quella di scrittore (che sarebbe un peccato perdere avendo un’ottima penna)?

Paolo Zaghini