HomeCulturaCantelli Anibaldi, non contro Sanpa ma contro le sue caricature


Cantelli Anibaldi, non contro Sanpa ma contro le sue caricature


6 Giugno 2021 / Paolo Zaghini

Fabio Cantelli Anibaldi: “SANPA. Madre amorosa e crudele” – Giunti.

Era inizio giugno 2019 quando, preavvisato da amici comuni, mi ritrovai in Biblioteca a Coriano un gruppo di giovani che avevano chiesto di vedermi per parlare di San Patrignano. Fra loro Carlo Gabardini, autore e sceneggiatore del docufilm per Netflix SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano uscito il 30 dicembre 2020.

In questo primo incontro, a cui ne seguirono alcuni altri, diedi a Lui e ai suoi collaboratori una quantità enorme di materiali (libri, giornali, documenti, foto) da consultare che la Biblioteca di Coriano aveva accumulato dalla nascita della Comunità dal 1980 in poi. Difficile trovare in un solo luogo tutto quello di cui loro avevano bisogno e di questo non finirono mai di ringraziarmi (tanto da essere citato nella lista dei ringraziamenti finali del filmato). Ma in realtà svolsi solo il lavoro di capace bibliotecario nel fornire i materiali richiesti da utenti (libri rari su San Patrignano, che guardando l’apposito sito ScopriRete, risultano dati in prestito da anni, dopo che io andai in pensione il 30 settembre 2019, senza che alcuno si sia mai preoccupato di farli rientrare. Fra questi anche la prima edizione del libro di Cantelli Anibaldi uscito col titolo “La quiete sotto la pelle” per i tipi di Frassinelli nel maggio 1996. La Biblioteca di Coriano era l’unica a possederlo nella provincia di Rimini).

Cantelli Anibaldi scrive nella presentazione della nuova edizione: “Un giorno d’ottobre del 2019 ricevo una telefonata da Carlo Gabardini. Mi spiega che in una biblioteca di Coriano, paese nei dintorni della comunità, ha trovato una copia superstite del mio libro, ha iniziato a leggerla e non è più riuscito a staccarsene”. Cantelli Anibaldi successivamente concesse a Gabardini una lunghissima intervista testimonianza che è uno degli assi portanti del docufilm di Netflix (anche se devo dire che in quell’estate 2019 ancora i ragazzi non sapevano a chi lo avrebbero dato da trasmettere una volta ultimato. La mia andata in pensione interruppe i rapporti con Gabardini e i suoi collaboratori e dunque sino all’uscita del filmato del loro lavoro non seppi più nulla).

Cantelli Anibaldi, nato a Gorizia, classe 1962, a San Patrignano dall’ottobre 1983 (aveva 21 anni) dopo aver preso droghe (soprattutto eroina e cocaina) dal 1976, più volte scappato per tornare a farsi di droga. Ma poi sempre ritornato e qui rimasto, sino a due giorni prima della morte di Vincenzo Muccioli avvenuta il 19 settembre 1995, svolgendo per molti anni il ruolo di capo ufficio stampa della Comunità. “Il 18 giugno Vincenzo si ammalò. E io, che ero con Pietro la persona che più gli era stata vicina negli ultimi anni, non lo vidi più”.

La storia di San Patrignano è una storia complessa, articolata nel tempo. Il libro di Cantelli Anibaldi, il docufilm su Netflix, ma anche il romanzo “La collina” di Andrea Delogu e Andrea Cedrola (Fandango, 2014) raccontano dei difficili anni della nascita della comunità che arrivano sino alla morte di Muccioli nel 1995.

Occorre contestualizzare le storie e questo va fatto anche con le vicende di Sanpa. Oggi questa realtà è molto diversa da quella raccontata in questi testi. Anche se la battaglia per uscire dalla droga è sempre quella (come abbiamo letto anche nel recente libro “Sottovoci.. Storie di San Patrignano” con la presentazione di Marco Missiroli, edito da Mondadori nel 2019).

Il libro, oggi riedito col nuovo titolo, fu scritto tra il dicembre 1994 e l’agosto 1995. “Nelle mie intenzioni doveva essere una sorta di saggio sulla tossicodipendenza e su quanto fosse difficile venirne a capo. Volevo spiegare cosa accadeva davvero lì, a Sanpa, perché non ne potevo più delle descrizioni che mi toccava leggere ogni mattina sui giornali in quanto capoufficio stampa della comunità. M’indignavano quelle che dipingevano Sanpa come una riedizione di Auschwitz, ma pure mi irritavano, ormai, quelle che la celebravano come un posto unico al mondo per calore e umanità, guidato da una persona altrettanto unica: Vincenzo Muccioli, taumaturgo, santo e campione di bontà. Volevo spiegare al mondo che Sanpa non c’entrava nulla con quelle oscene o ridicole caricature”.

E’ un lungo racconto degli avvenimenti successi a San Patrignano in quegli anni, fatto da una persona estremamente intelligente: dall’esplosione numerica dei ragazzi qui accolti ai processi, dalla organizzazione della comunità e dei problemi nella gestione di questa. Ma anche riflessioni sull’essere tossicodipendente: “A San Patrignano, con mia grande sorpresa, non si parlava di droga, o se ne parlava relativamente. Non perché vi fosse al riguardo qualche censura, ma perché, questo l’ho capito più tardi, la droga non era il problema. Qui la droga era ritenuta semplicemente un sintomo, un’indicazione e lo sguardo era costantemente fissato sulle cause, su ciò che la droga, ma anche spesso il parlare di droga, nasconde. (…) l’aspetto più sorprendente di San Patrignano era l’assenza di un vero e proprio programma terapeutico”.

E prosegue: “Di San Patrignano, più che gli aspetti del programma terapeutico, il fatto di essere tenuto sotto controllo nel periodo iniziale o di dover sottostare alle inevitabili limitazioni che regolano la vita in comune di trecento persone, mi affascinava e preoccupava il fatto che ogni parte della comunità, anche quella apparentemente più trascurabile, rivelasse una sconcertante continuità con tutto il resto. Era come se lo spirito di quella esperienza si fosse solidificato nelle strutture, come se a San Patrignano forma e sostanza fossero la stessa cosa. La comunità non ammetteva per questo un rapporto asettico, lo stesso che avevo potuto vivere nei luoghi dove avevo cercato di ‘guarire’ dalla tossicomania – gli ospedali prima, le altre comunità poi – ma richiedeva una partecipazione coraggiosa e incondizionata, un’autentica messa in gioco. Non era possibile starci come si sta in una clinica”.

E poi gli anni dei processi. Nel 1995 Cantelli Anibaldi sostiene che Sanpa era arrivata alla fine di un ciclo: c’era la grandezza di un uomo, Muccioli, ormai però degenerata in titanismo e megalomania con l’espansione incontrollata della comunità. “Benchè il processo si fosse appena concluso, la Procura di Rimini, per dimostrare che riteneva quella di San Patrignano soltanto una vittoria di Pirro, ci aveva già inviato qualche giorno prima una squadra di poliziotti, che con la solita grazia avevano perquisito il nostro ufficio da cima a fondo, sequestrato i dischetti del computer e le schede di tutte le ottomila persone passate dalla comunità dal 1978”.

Cantelli Anibaldi iniziò a ritenere che “la possibilità di salvarsi dipende ormai da una dolorosa assunzione di responsabilità… Si tratta di decidere se si è disposti a pesanti concessioni per garantirsi un futuro in una qualche forma, oppure non retrocedere nemmeno di un metro col rischio, nella sconfitta, di perdere tutto”. La malattia di Muccioli fece vivere alla comunità un periodo di stasi, in cui però Cantelli Anibaldi decise di andarsene da San Patrignano.

Questo suo libro, scrive nella Presentazione, “non è affatto ‘contro’ San Patrignano perché Sanpa è stata una parte importante, per molti versi determinante della mia vita, e solo un idiota può essere contro la propria vita o pensare di amputarne o manipolarne parti sconvenienti e dolorose: sono proprio quelle, spesso, a rivelarti a te stesso, a farti capire chi sei”.

Oggi Fabio Cantelli Anibaldi è il Vice-Presidente del Gruppo Abele ed il responsabile della comunicazione di don Luigi Ciotti. La sua battaglia contro le droghe prosegue.

Paolo Zaghini