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Così nacque il “modello” emiliano-romagnolo del PCI, “ma non fu socialdemocrazia”


27 Novembre 2022 / Paolo Zaghini

“Storia del PCI in Emilia-Romagna. Welfare, lavoro, cultura, autonomie (1945-1991)” A cura di Carlo De Maria – Bologna University Press.

Questo volume è la tappa finale delle tante iniziative messe in campo per il centenario della nascita del Partito Comunista Italiano nella nostra Regione dalla rete delle Fondazioni democratiche in collaborazione con la rete degli Istituti storici della Resistenza, dell’Istituto Gramsci e dell’UDI.

Il lavoro è stato coordinato dalla Fondazione Duemila di Bologna e si è avvalso di tutte le altre undici Fondazioni emiliano-romagnole, nell’ambito del progetto “Partecipare la democrazia: storia del PCI in Emilia-Romagna”. Avviato nel 2019, il progetto si era dato quattro obiettivi che sono stati raggiunti (anche se alcuni di questi sono work in progress): la realizzazione di un portale web (https://parteciparelademocrazia.it) che raccoglie fonti documentarie digitalizzate, materiale fotografico, biografie, videointerviste; il primo censimento sistematico delle fonti archivistiche del PCI in Emilia-Romagna (“Per la storia del PCI in Emilia-Romagna: guida agli archivi” a cura di Eloisa Betti e Carlo De Maria edito da Bononia, 2022); la mostra storico-documentaria itinerante in tutte le province della Regione (a Rimini è stata allestita dal 14 al 23 gennaio 2022 presso il Museo Comunale) con catalogo edito dalla Pendragon (“Partecipare la democrazia. Storia del PCI in Emilia-Romagna. Catalogo della Mostra” a cura di Carlo De Maria); la pubblicazione delle ricerche storiche del gruppo di lavoro composto da una decina di ricercatori, ovvero questo volume.

Per svolgere queste attività la conoscenza e l’accesso agli archivi è stato fondamentale. La Guida agli archivi dà conto degli oltre 200 fondi archivistici conservati da enti pubblici e privati, degli organi territoriali del PCI, di singole personalità (dirigenti, amministratori, intellettuali) legate al partito, archivi di associazioni e istituti che fossero emanazione diretta del PCI. Il rischio da evitare era, ed è, la dispersione, col tempo e il passaggio delle generazioni, di carte e memorie, che sono invece da mettere in sicurezza.

Il volume, di oltre 600 pagine, contiene 10 saggi di ricercatori storici presso le Università emiliano-romagnole, coordinati dal prof. Carlo De Maria, professore associato di Storia Contemporanea presso l’Università di Bologna.
I saggi non trattano della forma-partito (cioè della sua organizzazione, dei gruppi dirigenti, dei risultati elettorali) quanto invece delle idee e dei progetti riformisti che i comunisti emiliano-romagnoli fra il 1944 e la fine degli anni ’80 hanno messo in campo nei nostri territori. Organizzato in quattro sezioni: politica e cultura, welfare e società, lavoro e impresa, partiti e istituzioni.

Traggo dalla Introduzione di De Maria gli elementi salienti dei vari saggi e che presenta così il percorso di studio effettuato: “Una delle esperienze di gestione, amministrazione e governo del territorio più significative è quella fornita dal Partito comunista in Emilia-Romagna tra gli anni Sessanta e Ottanta. Il riferimento è volutamente al Pci emiliano-romagnolo e non al partito nazionale per il quale probabilmente è vero quello che scriveva Alfredo Reichlin: ‘Il Dna dei comunisti fu molto diverso dal riformismo. E’ inutile raccontare storie: il Pci non fu il travestimento italiano della socialdemocrazia’”.

I saggi cercano di mettere in luce queste differenze, ovvero che le caratteristiche politico-culturali del Pci in Emilia-Romagna fossero almeno in parte differenti da quelle del Pci nazionale.

Nella sezione “Politica e cultura” scrivono Alberto Molinari, Federico Morgagni e Claudia Capelli. In quella “Welfare e società” scrivono Teresa Malice, Laura Orlandini e Roberto Parisini. Nella terza sezione, “Lavoro e impresa” scrivono Eloisa Betti e Tito Menzani. Nell’ultima, “Partiti e istituzioni” scrivono Fabio Montella, Andrea Montanari e Carlo De Maria.

In diversi saggi, tra le figure preminenti del Pci regionale, emerge il ruolo e l’azione di Renato Zangheri (1925-2015). “Una sicura discontinuità nella cultura politica espressa dal Pci emiliano-romagnolo si misura a partire dal 1955 con la nuova stagione della rivista ‘Emilia’, posta sotto la direzione di Renato Zangheri, allora trentenne. Coniugando ricerca storica e pratica politica, la rivista di Zangheri cominciò a tratteggiare un’identità storica e culturale emiliano-romagnola tesa a dare consapevolezza e forza a una comunità politica in via di costruzione. In altre parole, un modello politico-culturale per la regione di domani”.

E l’attenzione su Zangheri e Bologna prosegue con i fatti del 1977, anche se va detto che “la contestazione del 1977 ebbe il suo principale bersaglio polemico nella politica di Enrico Berlinguer del ‘compromesso storico’, il riavvicinamento tra Pci e Dc proposto dal segretario comunista fin dal 1973 in seguito al golpe cileno, nel cui alveo nascevano i governi di ‘solidarietà nazionale’ (…) E se è vero che il movimento si presentò per la prima volta sulla scena nazionale a Milano, e che Roma fu sicuramente la città maggiormente coinvolta per quantità e intensità nelle espressioni di protesta, fu sicuramente Bologna a rappresentare l’epicentro culturale”.

Il fatto vero fu che “la partecipazione ai governi di ‘solidarietà nazionale’ (1976-1979) indebolì la spinta riformistica del Pci e anche la sua immagine ‘alternativa’ rispetto al sistema di potere statale”. “Terminato il ‘trentennio’ di crescita economica e sociale post-1945, con il Settantasette salirono simbolicamente alla ribalta i ‘non garantiti’, ovvero la prima generazione di giovani dal dopoguerra che sentiva di non avere un futuro di crescita rispetto ai padri, perché destinata a vivere in un mondo orfano del ‘boom’, in recessione permanente, segnato da disoccupazione, precarietà, delusione e sfiducia”.

Il libro offre tantissime occasioni di riflessioni su periodi, sull’azione di dirigenti, su scelte a volte vincenti ed altre no. Ma il riformismo che ha segnato la storia del Partito Comunista della nostra Regione non dovrebbe andare perduto. De Maria conclude la sua Introduzione con questa riflessione: “Se è vero che negli anni Ottanta, la crisi del ‘modello emiliano’ si manifestò in primo luogo all’incrocio tra la dimensione istituzionale e quella sociale, con l’incrinatura del nesso ‘partecipzione-associazionismo-partito-istituzioni’, il suo rilancio – o, se si vuole, la nascita di un nuovo riformismo emiliano-romagnolo – potrà avvenire proprio sul terreno dei rapporti tra Regione, realtà locali e associazionismo, ma difficilmente sarà realizzabile senza un nuovo protagonismo dei partiti, a cominciare dal Partito democratico, che dovrà mettere in campo nuove strategie di insediamento sul territorio e di dialogo con la società”.

La presentazione del volume sabato 3 dicembre, presso la Sala della Provincia in Corso d’Augusto, alle 16.30, con De Maria che avrà come suoi interlocutori Giuseppe Chicchi, Sergio Gambini ed Emma Petitti, sarà una occasione importante per discutere del riformismo di ieri e di quello necessario da mettere in campo oggi come contributo alla riflessione del PD verso il Congresso.

Paolo Zaghini