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Così nacque la scuola pubblica per l’infanzia a Rimini


22 Aprile 2019 / Paolo Zaghini

“La strada maestra. Tracce di storia delle scuole comunali dell’infanzia nei Comuni capoluogo dell’Emilia-Romagna”. A cura di Lorenzo Campioni e Franca Marchesi – Zeroseiup.

Lorenzo Campioni, già dirigente alla scuola del Comune di Riccione e poi del Servizio regionale per l’infanzia, e Franca Marchesi, coordinatrice pedagogica dei nidi e delle scuole dell’infanzia comunali di Bologna, hanno coordinato la redazione di questo volume nel cinquantesimo anniversario della scuola d’infanzia statale (la legge n. 444 è del 1968).

Il 18 marzo 1968 lo Stato entrava in modo deciso e massiccio nella gestione diretta di scuole materne, assumendosi in proprio l’educazione dei bambini dai tre ai sei anni, prima lasciata quasi del tutto ai privati e alle Amministrazioni comunali.

Dirà Giancarlo Cerini, già dirigente del MIUR, nel suo intervento: “L’istituzione della scuola materna statale è il sintomo di un grande cambiamento sociale, antropologico e culturale del nostro Paese”.

“L’impegno verso l’educazione dell’infanzia e la qualificazione dei suoi servizi educativi e delle sue scuole è ‘La strada maestra’ indicataci dalla Commissione europea per creare comunità più solidali, giuste ed eque e, in particolare, per prevenire abbandoni scolastici futuri e collaborare ad abbattere la povertà. Molto prima, questa è stata la strada imboccata da numerose Amministrazioni comunali emiliano-romagnole, che hanno intercettato i bisogni, le esigenze, la sete di diritti di cittadinanza e hanno creato, soprattutto dai primi anni sessanta del secolo scorso, un sistema di scuole dell’infanzia e, successivamente, di servizi educativi per bambini in età prescolare”.

Ma, ricordano gli Autori, “i servizi educativi e le scuole dell’infanzia sono beni della comunità fragili. Necessitano di cure continue, investimenti economici e culturali, scelte politiche, amministrative e pedagogiche”.

Totalmente condivisibile l’annotazione, sempre di Cerini: “Ogni disegno progettuale richiede una elevata professionalità degli operatori (educatori, insegnanti, figure di collaborazione) che lo devono poi attuare. Non c’è nessuna scuola migliore dei suoi insegnanti”. Anche oggi il tema della formazione in servizio dei docenti rappresenta un passaggio obbligato per il rilancio della scuola dell’infanzia.

Il volume è composto da una prima parte in cui sono ricostruiti i passaggi significativi delle politiche nazionali sulle scuole dell’infanzia fino alle nuove prospettive del sistema integrato 0/6, seguito da una seconda parte dedicata alle politiche regionali (saggio di Anna Rosetti e Gino Passarini, dirigenti regionali del settore: “Nel periodo dei primi anni ’70 a metà degli anni ’80, si realizza nel territorio emiliano-romagnolo una lunga e ricca fase di costruzione dell’identità dei nidi d’infanzia e di un sistema con regole sue specifiche”).

Poi c’è un capitolo dedicato al CEIS di Rimini (“Un progetto educativo che si realizza” di Lidia Maggioli e di Giovanni Sapucci di cui ho già parlato qualche settimana fa nel pezzo “Perché Margherita è cittadina di Rimini”), “culla delle scuole dell’infanzia sperimentali, a cui hanno attinto molte scuole comunali”. Ed infine tanti capitoli quante sono le province dell’Emilia-Romagna, da Piacenza a Rimini.

Delle scuole comunali riminesi ha scritto Fiorella Zangari, responsabile della direzione tecnico-pedagogica della scuola e dei nidi d’infanzia del Comune di Rimini. La storia delle scuole comunali per l’infanzia a Rimini ha inizio nel luglio 1961 quando il Sindaco Walter Ceccaroni inaugurò la prima struttura a Villaggio Nuovo. Forti della storia e delle esperienze create dal 1945 al CEIS, la collaborazione tra Margherita Zoebeli e il primo direttore pedagogico del Comune di Rimini, Enea Bernardi, consentirono di travasare “i principi formativi del CEIS nelle nuove scuole comunali che attinsero a piene mani nell’impostazione metodologica della scuola attiva, la ‘scuola del fare’”.

Tra il 1961 e il 1971 il Comune di Rimini aprì dieci scuole materne, una all’anno, su tutto il territorio comunale sino ad arrivare ad avere quasi 1.100 bambini frequentanti. Nel 1976 saranno venti le scuole per un totale di 1.800 posti (contro 5 scuole statali per 330 posti, 3 asili privati laici per 300 posti, 22 scuole private religiose per 2.000 posti).

Grande attenzione venne posta nella costruzione delle scuole materne agli aspetti architettonici “cercando i terreni più adatti, tenendo presente la necessità di avere a disposizione, in idonea misura, spazio, luce e tranquillità. Gli aspetti architettonici, gli spazi interni ed esterni hanno il compito di favorire tutte le attività educative e di soddisfare le esigenze della comunità scolastica”.

Sostiene Fiorella Zangari: “il periodo agli anni ’70 fino alla metà degli anni ’80, rappresentò un momento pedagogicamente molto fruttuoso in cui la tradizione operativa venne arricchita di contributi sperimentali notevoli, alimentati da continua ricerca e, soprattutto, dalla disponibilità degli insegnanti di aprirsi al nuovo, ma con lo sguardo e l’attenzione a non tagliare i ponti con il passato. In seguito, con l’inserimento dei bambini con handicap nelle scuole dell’infanzia, venne introdotta la terza insegnante, si costituì l’equipe medico psico-pedagogica territoriale e, da un punto di vista metodologico, la scuola venne considerata come un ‘sistema educativo aperto che vedeva nel collettivo il suo strumento di lavoro”.

“Il processo verso l’integrazione scolastica passa da un concetto di ‘inserimento’, negli anni ’70, a quello di integrazione e diritto del bambino disabile a frequentare la scuola dell’infanzia”.

Sempre Cerini: “Con i suoi tanti ‘piccoli’ plessi l’infanzia è la realtà scolastica più diffusa sul territorio (oltre 23.000 punti di luce accesi sul nostro Paese), gode di credibilità persistente da parte dei genitori, ha un corpo professionale che – se incoraggiato – è disponibile all’innovazione ed alla creatività dei metodi e delle didattiche. In essi viene praticata un’idea di curricolo a tutto tondo, ove gli aspetti cognitivi si intrecciano strettamente con la qualità delle relazioni sociali e del clima affettivo. E’ in prima fila nella sfida della società multiculturale: primo luogo d’incontro di identità, di culture, di etnie per una via italiana all’integrazione che si pratica proprio a partire dalle aule e sezioni multicolori delle nostre scuole dell’infanzia”.

Un libro estremamente interessante, non solo per gli addetti ai lavori. Far crescere generazioni di bambini felici e sereni è interesse di tutti. Capire come (e i capitoli dedicati al rapporto con le famiglie sono estremamente interessanti) altrettanto.

Paolo Zaghini