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Don Di Grazia, uomo fra gli uomini


27 Febbraio 2017 / Paolo Zaghini

Salvatore Egidio Di Grazia: “Don Filippo Di Grazia – Un uomo tra gli uomini” Pazzini.

Don Filippo in una lettera al Vescovo Mariano De Nicolò: “Ho pensato di scriverle per presentarmi, data anche la mia esperienza con il Vescovo Giovanni [Locatelli]. Non ho avuto gravi problemi con lui (e spero lui con me). Ma quando venne da noi, in verità dopo non molto tempo, qualcosa offuscò i nostri rapporti: qualcuno gli disse che ero un prete comunista, laicista, secolari sta, un uomo incostante, di cui non ci si poteva fidare. Tutta verità? Qualcosa di vero ci sarà stato, indubbiamente. Sono diventato prete a 35 anni, dopo aver studiato all’università statale e insegnato nelle scuole pubbliche; ho continuato ad insegnare anche dopo l’ordinazione. Ma l’impegno più preciso e costante è stato indubbiamente nella scuola di Stato e con i gruppi di laici e singole persone forse diverse dai cattolici praticanti e militanti nei movimenti ecclesiali”.

Don Filippo Di Grazia (1929-2010) è stato una figura di rilievo del mondo religioso riminese dagli anni ’50 alla sua morte. Un uomo che, nonostante la sua “obbedienza” alla Chiesa, non ha mai rinunciato alla sua libertà di pensiero e di azione. Molto conosciuto dai ragazzi attraverso il suo insegnamento nel Liceo scientifico e per la sua partecipazione in tante associazioni del mondo cattolico.

Il nipote Salvatore, avvocato, ha ordinato le numerose carte dello zio pervenutegli dopo la sua morte. Da queste, dai colloqui con lo zio, Salvatore ha costruito un libro estremamente interessante che, seppur facendo perno sulle vicende tormentate dello zio con i poteri ecclesiastici, getta luce su tante vicende e protagonisti del mondo cattolico riminese del dopoguerra. Un ambiente sempre ovattato, nascosto, di cui ben poco trapela all’esterno. Che però attraverso le vicende che hanno visto protagonista don Filippo fa intravedere uno spaccato di fermenti e idee.

Filippo era nato a Catania in una famiglia poverissima. Con molti sacrifici riuscì a studiare. Arrivò in Romagna alla fine del 1945 dove ottenne i primi incarichi d’insegnante. La sua missione di maestro la riassumeva così: “Lo scopo della scuola è far sì che i bambini siano felici, mettendoli nella condizione di divenire adulti altrettanto felici”. Sui temi della scuola incontrò, e ne divenne stretto collaboratore, Maria Massani (1897-1990), una delle protagoniste cattoliche del mondo culturale riminese.

Nel 1956 entrò in seminario per diventare prete. Qui conobbe don Oreste Benzi, padre spirituale dei seminaristi. Sebbene lontani per temperamento e per idee, iniziò con lui una intensa collaborazione. Tanto da andare nell’estate del 1958 insieme in America a ricercare fondi per la costruzione della Casa vacanza a Canazei. Qui però si scontrarono con il Vescovo di New York e “con i preti irlandesi che sono gelosissimi e potrebbero farci cacciare dalla Diocesi”. In mezzo a tante difficoltà la missione però ebbe successo. Il 9 agosto 1961 la casa di Alba di Canazei venne inaugurata e iniziò l’organizzazione di corsi per i giovani.

Nel 1962 la collaborazione con don Oreste cessò: “A nulla erano valse le obiezioni di don Filippo, cioè che un affollamento eterogeneo avrebbe provocato difficoltà a gestire i corsi che richiedevano nei partecipanti un impegno e una coerente motivazione. A don Oreste ciò non interessava. Non aveva la sua formazione culturale, la sua attenzione alle scienze umane. Don Oreste considerava la Casa solo come uno strumento di ‘pastorale giovanile’, di continuazione dell’educazione religiosa svolta in parrocchia”.

Raccontare le tante storie che il libro presenta (il rapporto con Vincenzo Muccioli e la Comunità di San Patrignano, le divergenze e gli scontri con Comunione e Liberazione, i suoi lunghi viaggi alla scoperta dell’Islam e del buddhismo) non è semplice in una recensione. Però è difficile per chi ha il libro in mano non soffermarsi sulle pagine che raccontano la sua caduta in disgrazia perché ai suoi ragazzi seminaristi avrebbe detto di andare a vedere “Ultimo tango a Parigi”. In una lettera al Rettore del Seminario scrive: “Non ho assolutamente detto in classe: ‘Andate a vederlo’, pur sapendo di parlare a dei giovani maturi (25 anni!) che, divenuti preti, dovranno confessare gente concreta, che costantemente segue i fenomeni culturali del nostro tempo, che di problemi legati al sesso ne ha a non finire!”. In realtà a don Filippo, teologo moralista, è il dialogo finale che interessava quando la protagonista si chiede: “Ma questo uomo chi è? Chi lo conosceva?”. Nonostante l’accorata difesa, don Filippo venne sospeso dall’insegnamento di Teologia.

Ed ancora dalle pagine di don Filippo escono i racconti dei suoi rapporti con i Vescovi di Rimini: Emilio Biancheri “pastore amico”, con Giovanni Locatelli (“la Diocesi di Rimini era stata viva, dinamica, ricca d’iniziative, un po’ anarcoide, ma lo Spirito Santo muoveva tutto e tutti, ai tempi del Vescovo Emilio. Con Giovanni era diventata una specie di Repubblica di Platone piena di centri sospesi nello spazio, di motori immobili calati dall’alto, mentre coloro che erano stati chiamati a operare non dovevano far altro che eseguire”), con Mariano De Nicolò (“Dopo il suo ritorno a Rimini [da Gerusalemme, dove era stato 4 anni], non solo gli venivano posti limiti nell’insegnamento dell’Ecumenismo, ma anche sui contenuti del suo insegnamento di Teologia morale. Il Vescovo aveva molto da ridire, particolarmente sugli argomenti riguardanti la morale della persona, della vita, della coppia. Non c’era spazio per la ‘cura pastorale delle persone omosessuali’, per i ‘preti sposati’, per i ‘divorziati risposati’. Cominciava così la sua lenta e inesorabile emarginazione”), con Francesco Lambiasi (“dopo tante sofferenze nel tormentato rapporto con la gerarchia, la gioia e la consolazione che gli procurava l’amicizia con il Vescovo Lambiasi”).

Il Vescovo Lambiasi in occasione del suo funerale così disse: “Don Filippo è stato un innamorato del Signore e di ogni creatura umana, soprattutto dei poveri (…) sempre irrequieto, mai seduto, si è dato agli altri, soprattutto ai più poveri rimettendoci spesso di persona. (…) Da lui m sono sentito amato, accolto e intimamente compreso. Quando lo incontravo provavo la sensazione di trovarmi davanti a un patriarca che stava diventando bambino e mi risuonavano nell’animo le parole del Signore: ‘Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli’”.

Paolo Zaghini