Due vite nella bufera della guerra e del razzismo
16 Aprile 2023 / Paolo Zaghini
Maurizio Temeroli: “L’ultima estate” Capponi Editore.
Il pensionato Segretario Generale della Camera di Commercio di Rimini Maurizio Temeroli ci ha preso gusto: dopo il romanzo familiare “Ritrovarsi. Due famiglie e cento anni di storia italiana”
(Digitalprint, 2021) ora questo delicato e drammatico romanzo “L’Ultima estate”. Protagonisti due giovani bolognesi, Rachele e Aurelio. Rachele è ebrea, insegna come supplente in una scuola pubblica. Aurelio, di famiglia cattolica, è avvocato in uno studio legale.
L’ultima estate felice per Rachele e Aurelio è quella del 1938, quando decidono di sposarsi mentre si sta scrivendo uno dei capitoli più tristi della storia italiana. L’ultimo scampolo di quiete prima della tempesta, prima che le leggi razziali e la seconda guerra mondiale, gli stenti e la distruzione, rendano anche la realizzazione dei più piccoli progetti di vita una corsa a ostacoli. “In Italia, durante l’immane tragedia del secondo conflitto mondiale, due eventi hanno distrutto la speranza di migliaia di individui: le leggi razziali emanate a partire dal 1938 e la campagna di Russia del 1941-43”.
La vicenda ha inizialmente come sfondo tre città: Bologna, la città dei due giovani, e poi Venezia e Rimini, mèta del loro viaggio di nozze.
Bologna, con i suoi portici e le sue piazze, è complice dell’inizio del loro amore. Ostinatamente sposi, in contrasto con le loro religioni e con il presentimento di ciò che potrà accadere, partono per le città della luna di miele.
Venezia, con i suoi palazzi e i ponti che si specchiano nei canali, li stordisce con la sua eterna e decadente bellezza.
E poi Rimini, dove l’atmosfera avvolgente di un lussuoso albergo, il Grand Hotel, li fa sentire parte di un mondo esclusivo, estraneo a ciò che accade intorno.
In quel luogo di villeggiatura avranno in “vantava oltre cento anni di attività”.aspettati incontri con l’amore clandestino tra la Petacci e Mussolini e con un giovanissimo Fellini, già prigioniero del suo genio creativo, che disegna il ritratto di Rachele firmandolo Fellas. Nonché un piccolo cammeo famigliare, dedicato all’oreficeria Burnazzi, che “vantava oltre cento anni di attività”.
Quell’estate rappresenterà il confine tra un prima, segnato dalla retorica fascista apparentemente innocua, e un dopo di sofferenze causate dalle leggi razziali e dalla guerra.
Nel libro anche un garbato rimprovero e un invito a risvegliare le coscienze perché, così come accade ad alcuni protagonisti del romanzo, i provvedimenti legislativi adottati dal governo entrarono gradualmente nella mente della società dell’epoca fino a essere considerati “normali”, trascurabili, per poi svelarsi più avanti in tutta la loro forza repressiva. “Molti ebrei sono fascisti dalla prima ora, anche qui a Bologna. E molti hanno incarichi e lavori importanti. Perché mai dovrebbero essere perseguitati?”.
Così anche il lettore “ingannato” dalla sapiente scrittura di Temeroli, si lascia cullare dalla dolcezza dei primi capitoli per poi essere risvegliato bruscamente, quando forse è troppo tardi.
La seconda parte del libro vede infatti Rachele, licenziata da scuola, con i genitori costretta a scappare in montagna e trovare rifugio in un piccolo borgo sperduto ed isolato per evitare l’arresto in quanto ebrei e la deportazione nei campi di concentramento tedeschi. L’assurdo era che le leggi razziali erano state abrogate nell’Italia liberata “con un decreto regio del gennaio 1944 ma Bologna era ancora occupata dai tedeschi e nella Repubblica Sociale Italiana le persecuzioni non erano finite e le deportazioni continuavano”.
Aurelio, nel luglio 1942, a 32 anni, venne richiamato in servizio e ad indossare di nuovo la divisa militare ed obbligato a partire per il fronte russo, “a combattere una guerra della quale non sapeva nulla, se non ciò che diffondeva la poca affidabile propaganda di regime”. A fine settembre 1942 Aurelio e le truppe italiane arrivano sulla sponda destra del fiume Don, scarsamente armate e mal vestite per affrontare l’imminente arrivo dell’inverno russo. Il 16 dicembre 1942 l’Armata Rossa scatenò l’offensiva contro le postazioni nemiche sul Don e le travolse. Aurelio venne ferito mortalmente: “Il freddo era così intenso da provocare una netta separazione tra il corpo, diventato un’unica cosa con il terreno ghiacciato, e la mente che si manteneva lucida. Fino a poco tempo prima sentiva un grande dolore alle estremità, mani e piedi bruciavano avvolti da una fiamma gelata, ma ora si era impadronito di lui uno strano stato di quiete. La vita lo stava abbandonando e in quel momento in cui il tempo sembrava essersi fermato, non riusciva a pensare ad altro che a Rachele”.
Rachele e i genitori di Aurelio non ebbero mai una comunicazione ufficiale della sua morte: era un “disperso”, come del resto altre decine di migliaia di militari italiani dispersi nella campagna di Russia. Ma nei primi anni ’50 Rachele volle andare in Russia a vedere il luogo della battaglia sul Don, dove probabilmente Aurelio era caduto. “Il terreno che fu campo di battaglia era tornato ad essere un fertile terreno agricolo coltivato a cereali. Il grano era già alto (…). Rachele faticava a immaginare che in quel luogo si fosse scatenata una guerra che aveva ucciso migliaia di giovani. Adesso poteva solo posare gli occhi su quello stesso paesaggio che aveva visto Aurelio in attesa della battaglia, quando sperava di tornare presto da lei”.
In questo secondo volume Temeroli compie un grande salto qualitativo nella narrazione. Gli impacci che si registravano nel primo volume, qui vengono felicemente superati. Il libro si legge piacevolmente e il racconto delle vicende dei due giovani prende il lettore sino all’ultima pagina.
Paolo Zaghini