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E la Rimini di Sigismondo volle far rivivere Atene e Roma


8 Ottobre 2018 / Paolo Zaghini

“Gli antichi alla Corte dei Malatesta. Echi, modelli e fortuna della tradizione classica nella Romagna del Quattrocento (l’età di Sigismondo)”. Atti del Convegno Internazionale, Rimini, 9-11 giugno 2016.  A cura di Federicomaria Muccioli e Francesca Cenerini, con la collaborazione di Alessandro Giovanardi – Jouvence.

Il volume raccoglie molte delle relazioni tenute nel corso delle due giornate di studio svoltesi a Rimini nel giugno 2016 promosse in collaborazione da CARIM, dalla Biblioteca Gambalunga, dal Museo di Rimini e dal Dipartimento di Storia dell’Università di Bologna.

Oltre venti gli interventi presenti nel libro che descrivono il complesso rapporto instaurato dai Malatesta, in particolare da Sigismondo e dal fratello Novello, con la cultura della classicità greca e romana. Le relazioni tra il mondo malatestiano e il mondo classico vengono analizzate da un punto di vista non solo artistico, ma anche letterario, epigrafico, archeologico e numismatico.

Uno dei curatori del convegno, e del volume, Federicomaria Muccioli, docente di storia greca all’Università di Bologna, nel presentare il convegno affermava che esso sarebbe stato realizzato “in un’ottica divulgativa, non riservata esclusivamente ai soli addetti ai lavori”. Un falso vero e proprio: i testi presenti nel volume sono di grande complessità e presuppongono conoscenze approfondite in vari campi del sapere.

La verità è che i saggi esplorano con notevole studio i vari aspetti della famiglia Malatesta. Del resto, come ricorda Muccioli, “i Malatesta sono da sempre sotto i riflettori, almeno dai tempi di Dante”. Alla metà del Quattrocento a Rimini “una piccola corte fu capace di competere, sia pure per un breve periodo, con centri ben più ricchi e potenti, almeno per quanto riguarda le belle arti”. E in questi anni “nella Rimini di Sigismondo il fervore tutto umanistico della rivitalizzazione dell’epoca classica è un fervore volutamente ostentato”.

In questo quadro va registrata “la capacità del signore malatestiano di interagire con i suoi intellettuali e artisti”, a incominciare dalle scelte fatte nella costruzione del Tempio Malatestiano. “Egli, a suo modo, è un principe filosofo, o meglio, data la sua personalità con molte sfaccettature, anche un principe filosofo”.

Ricordiamo questi grandi personaggi della cultura umanistica presenti a Rimini alla corte malatestiana: Pisanello, Matteo de’ Pasti, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Roberto Valturio, Basinio da Parma.

Naturalmente mi è impossibile dar atto di tutti gli interventi. Mi soffermerò solo su alcuni per le suggestioni che mi hanno saputo dare. Incomincerei dall’intervento di Leonardo Quaquarelli dedicato a “Ciriaco d’Ancona a Rimini” (1391-1452), il fondatore o padre dell’archeologia. Più volte nella nostra Città, a Lui si devono le prime descrizioni dei nostri maggiori monumenti romani (l’Arco e il ponte). In poche pagine, ma dense di annotazioni e rinvii bibliografici, Quaquarelli riesce ben a darci conto dell’importanza di queste testimonianze per la conoscenza della nostra storia romana.

Giacomo Calandra di Roccolino nel saggio “Le medaglie malatestiane. Confronto iconografico con i modelli numismatici romani” ci porta a conoscere “il corpus delle medaglie malatestiane, uno dei punti più alti della medaglistica rinascimentale”. Le medaglie nascono da un’invenzione di Pisanello, che fra il 1438 e il 1439 realizzò la prima medaglia moderna per Giovanni VIII Paleologo, uno degli ultimi rappresentanti dell’Impero Romano. Del resto è comunemente accettato il fatto che le medaglie nascano su modelli della monetazione romana. Questa nuova forma d’arte fu accolta con entusiasmo sia dai principi sia dagli intellettuali nelle diverse corti. Autore della maggior parte delle medaglie malatestiane fu il veronese Matteo de’ Pasti, ma per Sigismondo lo stesso Pisanello realizzò due medaglie .

Donatella Frioli invece nel saggio “Tra classici, padri e umanisti. Scandagli sparsi sulle biblioteche dei Malatesta e del loro entourage” ci porta a conoscere, attraverso le biblioteche di Sigismondo e di Novello Malatesta e di tre importanti collaboratori del casato (Pietro Turchi, Giacomo degli Anastagi, Giovanni di Marco), il loro mondo culturale di riferimento tra la fine del Medioevo e l’affermarsi dell’Umanesimo. Per Novello Malatesta parla da sempre la raccolta libraria da lui creata a Cesena che continua ancor oggi a riservare sorprese agli studiosi.

Mentre invece “gli interessi sigismondei sono diversi da quelli volti a moltiplicare testi e libri della vecchia e nuova cultura: ormai condivisa è l’opinione che Sigismondo ha ‘guidato’ lo sviluppo di una letteratura cortigiana e il suo tradursi in parola scritta, commissionando testi e libri i grado di promuovere e arricchire quel processo autoapologetico, di ratifica/consacrazione dinastica condiviso d’altronde da altri principi delle corti padane”.

Il regista di questa operazione è Roberto Valturio, “il ministro della cultura di Sigismondo”, incaricato dal principe “di ricercare e acquisire testimonianze librarie ‘afferenti’ a tutti i possibili campi dello scibile, per costruire la biblioteca ‘identitaria’ della corte stessa”. Per Sigismondo “l’amore per l’antico non manca di riflettersi in quella ricercata e richiamata discendenza dalla stirpe di Scipione l’Africano che ne esalta la dimensione romana, ‘attentamente’ celebrata in tutti i poemi composti in suo onore”.

Infine il saggio di Federicomaria Muccioli dedicato a “Roberto Valturio, le fonti classiche e la mediazione umanistica”. “Roberto Valturio rappresenta, insieme a Basinio da Parma, l’intellettuale più importante attivo alla corte di Sigismondo”. “Valturio è scrittore e consigliere a 360 gradi del principe, quanto meno dal 1446 (data del suo ritorno a Rimini da Roma) fino alla morte del Malatesta nel 1468. Un uomo dalle molte amicizie, maturate tra Rimini, Bologna e Roma, i luoghi in cui visse, studiò e lavorò e si costruì una formazione classica”.

“In maniera meno plateale rispetto a Federico da Montefeltro o anche al fratello Malatesta Novello, che decise di fare della sua biblioteca l’opera più illustre della sua signoria, pure Sigismondo raccolse libri e utilizzò copisti, con il fondamentale aiuto di Valturio”. Nella sua opera principale, “De re militari”, numerosissime sono le citazioni dirette di autori antichi, sia latini sia greci, mediati spesso dal Petrarca, autore di riferimento all’epoca per il recupero dei classici. Va inoltre detto che nei testi di Valturio c’è sempre un “elogio incondizionato di Sigismondo, ripetutamente e adulatoriamente definito il migliore dei principi”. Uomo di corte in toto.

Paolo Zaghini