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E Tabac racconta ai ragazzi di Rimini cos’era fare il partigiano a 17 anni


11 Novembre 2019 / Paolo Zaghini

Valter Vallicelli “Tabac”: “Ultimo chilometro di una vita in salita. Diario di un partigiano” – ANPI Rimini – Cooperativa Gramsci Viserba – CGIL Rimini.

Un piccolo libro che racconta le vicende di un giovane ragazzo di 17 anni nei drammatici mesi dell’estate 1944 quando gli Alleati si mossero per sfondare la Linea Gotica tedesca ed avanzare verso nord, verso la pianura Padana. “Tabac”, il suo storico nome di battaglia (in ravennate tabac significa ragazzo), al secolo Valter Vallicelli, 92 anni e qualche mese, presidente onorario dell’ANPI di Rimini, ci racconta, a distanza di tanti anni, come e quando divenne partigiano nel ravennate in quella estate del 1944.

“Scrivere circa mezzo secolo dopo i fatti accaduti, si corre il pericolo di dare impronte psicologiche fuorvianti ai fatti. Sono in grado oggi di trasmettere questi ricordi con lo stesso stato d’animo in cui sono stati vissuti? Temo sia difficile. Oggi nelle stesse circostanze, sarei cauto, attento. Pondererei e rifletterei sul pro e contro, cercherei la razionalità facendo tesoro dell’esperienza maturata in tanti anni di vita vissuta. Sarei un partigiano con la testa, oltre che con il cuore. A 17 anni non ero nulla di ciò”.

Ma è questa esperienza vissuta che ha incantato ed affascinato le centinaia di giovani che Valter ha incontrato nelle scuole in questi anni, quando senza la pretesa di essere necessariamente un “buon maestro”, riusciva però a trasmettere la sua passione di combattente per la libertà di tutti. “Nei ricordi tutto si materializza, ma a 17 anni si esaltano i sogni, le prime turbolenze che ti travolgono, le passioni incontenibili che ti portano alla scoperta del tuo corpo. Non cammini, voli. E dentro a questo stato d’animo regnava sovrana la lotta, la tenacia, la morte e soprattutto la vita”.

E Valter ai giovani queste passioni riusciva a trasmetterle, a fargliele sentire attuali ed importanti anche per loro. Una scuola di vita che molti ragazzi ricorderanno per sempre. Scrive Giusi Delvecchio, presidente dell’ANPI provinciale, nella Prefazione: “Quando Valter arriva nelle scuole accompagnato dalla fedele compagna di vita Carla, suoi occhi e suo mentore, le ragazze ed i ragazzi lo accolgono con allegria ed ammirazione. Poi una volta seduti, il silenzio regna sovrano dentro l’aula dove risuona la voce di un uomo gentile che con lucidità racconta che cosa è stata la dittatura del fascismo e via via fino ad arrivare alla strage degli innocenti compiuta a Marzabotto. Nessuna frase è lasciata al caso e in una progressione di eventi cattura l’attenzione del giovane pubblico”.

Prima o poi arriva “la fatidica domanda: ‘Hai mai sparato? Hai mai ucciso qualcuno?’. Valter Tabac si fa sereno e risponde che lui, come tutti gli altri partigiani, era un ribelle non un omicida”.

Valter Vallicelli in Piazza Tre Martiri a Rimini il 25 aprile 2015

Valter non è stato un comandante partigiano, né un commissario politico. Nell’estate 1944 era un ragazzo vivace di 17 anni, che voleva diventare grande in fretta sulle orme del padre, dello zio, degli altri conoscenti tutti militanti comunisti e partigiani nel ravennate, inquadrati nella 28.a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, guidata dal comandante Bulow, Arrigo Boldrini.

Il padre, casellante ad un passaggio a livello in Comune di Savio dal 1934, nel 1942 fu trasferito a Rimini, al casello ferroviario del passaggio a livello di Via Pallotta a Viserba. A seguito dei bombardamenti su Rimini la famiglia a fine 1943 fu costretta a sfollare e tornò a casa dai parenti al Savio. Qui Valter iniziò a lavorare per la organizzazione tedesca Todt all’aeroporto di Ravenna. Ed ebbe inizio la politicizzazione di Valter: “A me la guerra fascista non piaceva (…). Noi contro il mondo intero, contro nemici che non avevano mai messo un piede in casa nostra, contro gente che non avevamo mai visto. Dovevamo, si diceva, riparare ai torti subiti (quali?), portare la civiltà (quella del fucile?), esigere un posto al sole (l’Italia ne aveva poco?). A me subito apparve il senso della sopraffazione, della guerra di conquista, dell’invasione di territori non nostri, lontani un’eternità”.

Chiese più volte di entrare a far parte delle squadre partigiane, ma le risposte “ci vuole tempo e pazienza” non lo convinsero. “Io non avevo tempo da perdere, né tantomeno pazienza”. Con alcuni amici formò una squadra partigiana irregolare, che realizzò alcuni colpi nel territorio limitrofo: raccolta d’armi, incendio di alcuni capanni dei tedeschi, spargimento di chiodi a tre punte sulle strade. “Si dice che la fortuna aiuta gli audaci. Ma quando si tratta di vita e di morte è meglio lasciare da parte la fortuna e far funzionare meglio la testa”. Gli atti messi in campo dai giovani della banda di amici di Valter rischiavano di provocare rappresaglie tedesche e il Comando partigiano fu costretto ad intervenire per bloccarle.

Dopo il 25 aprile 1945 la famiglia Vallicelli tornò al casello di Viserba. Valter che nel 1943 aveva imparato ad usare il telegrafo, venne assunto dalle Ferrovie. Ma contemporaneamente iniziò a vivere la vita di Partito (quello comunista naturalmente, a cui si era iscritto già nel 1944 al Savio): divenendo segretario della cellula di Rivabella, membro del Comitato di Zona del Fronte della Gioventù. “Dopo un ventennio di dittatura fascista l’ignoranza della politica era totale”, ma “il desiderio di sapere, conoscere, capire il senso delle cose” era grande. “Tutto era in fermento. In confronto, oggi si muore di noia”.

Militante del PCI dal 1944 al 1991 e poi di Rifondazione Comunista: “Il Partito mi ha forgiato la coscienza, mi ha trasmesso principi e valori irrinunciabili, mi ha aperto orizzonti sconosciuti, mi ha fatto scuola di cultura generale, è stato padre e madre di grandi sentimenti di solidarietà e di giustizia sociale, concreta espressione di vita politica pluralista e garanzia democratica”.