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Finalmente si torna in zona bionda


10 Aprile 2021 / Lia Celi

“Tornare in zona arancione” per noi donne non significa uscire solo dalla zona rossa. Vuol dire anche uscire dalla zona grigia o zona nera – con riferimento alle nostre capigliature, beninteso. Perché finalmente riaprono i parrucchieri e su WhatsApp è tutto un fioccare di suppliche per fissare al più presto un appuntamento, anche a ore impossibili, pur di far cessare al più presto la tortura e il ludibrio di circolare con ricrescite a vista e tagli ormai privi di qualunque forma umana.

Se l’anno scorso i capelli in disordine erano prova di virtù e di rispetto delle regole del lockdown, tanto che perfino autorevoli anchorwoman esibivano con fierezza due dita di capelli pepesale, ora la non-acconciatura da pandemia ha perso ogni fascino e, anzi, dà l’ultimo tocco di tristezza a un look che risente di mesi di palestre chiuse, di centri estetici blindati e di demotivazione allo shopping.

Chi non ha fra le sue conoscenze un’amica che sa cavarsela con forbici, tubetti e pennelli ha rimediato alla buona con i mascara per capelli, i prodotti per il ritocco casalingo o con le tinture da supermercato. E così per i parrucchieri il sollievo per poter finalmente riaprire si associa all’ansia di dover rimediare a pasticci tremendi combinati nel segreto dei bagni: gente che in quattro e quattr’otto vuole tornare bionda dopo aver coperto tutta la chioma con una colata di nero corvino, o che ha tentato di spegnere il giallo con un riflesso cenere e ora si ritrova i capelli verdi tipo divinità marina.

Oltretutto già in tempi normali la cliente rivela i tratti meno concilianti del suo carattere sulla poltroncina del parrucchiere, figuriamoci dopo mesi di astinenza. Se anche fosse vero che i parrucchieri sono tutti gay (cliché assolutamente infondato visto che per la maggior parte sono sposati con prole), avrebbero delle ottime giustificazioni, dopo aver conosciuto nel loro mestiere quanto possono essere spaccamaroni, contraddittorie e infantili le donne, quando si tratta di taglio e colore.

Al tempo stesso, solo noi clienti, che sotto sotto crediamo ancora nelle fiabe ed entriamo nel salone con l’apprensione e l’aspettativa di Cenerentola in attesa della bacchetta magica della fata madrina, sappiamo come ci si accartoccia il cuore quando, dopo due ore di seduta, vediamo allo specchio qualcosa di molto diverso da quel che ci sembrava di avere chiesto e descritto con chiarezza. A quel punto la femmina alfa protesta e si rifiuta di pagare, o come minimo chiede lo sconto, la femmina beta come me deglutisce, finge di credere al parrucchiere e alle sue dipendenti che ripetono “sembra più giovane di dieci anni!”, poi ricaccia indietro le lacrime e, mentre paga fino all’ultimo centesimo, conta i minuti che la separano da quando potrà infilare la testa sotto il rubinetto e i mesi che ci vorranno per riavere le ciocche che la lavorante sta spazzando via dal pavimento.

Questo spiega anche come mai, quando scatta la fiducia e la comprensione reciproca fra parrucchiere/parrucchiera e cliente, il rapporto è come una vera storia d’amore, con un investimento affettivo che va ben al di là della prestazione professionale. Qualche settimana fa, in un momento di debolezza in zona rossa, indotta in tentazione dallo scaffale delle tinture casalinghe del supermercato che promettono colori naturali e multisfaccettati, ho whatsappato al mio parrucchiere  un semplice “e se…?” Al che lui mi ha risposto NO!”. E io, come Garibaldi, ho obbedito, per far sì che debba riparare solo ai danni della natura e non anche a quelli dell’imperizia. Spero che la mia fedeltà sarà premiata quanto prima, con un trionfale ritorno in zona bionda.

Lia Celi