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Prima gli Italiani! Ma prima ancora chi li offende


12 Agosto 2019 / Nando Piccari

Nella sua bellissima intervista a “La Stampa” di venerdì, ad un certo punto Papa Francesco afferma: «Sono preoccupato perché sento dei discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934: “Prima noi. Noi, noi”. Sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura… porta alle guerre».

Messa così, non è dato sapere con certezza a chi si riferisse Bergoglio. Ma se anziché Hitler avesse detto Mussolini, allora sarebbe stato pressoché scontato trattarsi di Salvini. È infatti arcinoto che il villanzone che bivacca al Viminale per non più di tre giorni al mese, dopo aver espresso in un’intervista la ritrita e vergognosa convinzione che «Mussolini ha fatto anche cose buone», non ha avuto alcun pudore a far proprie talune delle ripugnanti stronzate di quel losco trombone: «Tanti nemici, tanto onore», «Chi si ferma è perduto», «Tirerò dritto», «Me ne frego», «Darei la vita per difendere i confini».

Per non parlare dell’ultima smargiassata di pochi giorni fa, quando per dare maggiore enfasi all’ingiunzione di sfratto da Palazzo Chigi notificata a Conte e Di Maio, se n’è uscito con quel «Chiedo agli Italiani di darmi pieni poteri», che riesuma pari pari la frase con cui Mussolini diede effettivo avvio all’ignobile ventennio.

Conte ha reagito alla defenestrazione con istituzionale compostezza. Invece Di Maio sembra morso dalla tarantola e non sa darsi pace, per due ragioni che si possono facilmente comprendere. La prima è terra-terra: per uno che fino a ieri millantava di aver regalato il posto fisso ad un’infinità di precari, dev’essere stato terribile scoprire che il suo tanto decantato “contratto di governo” altro non era che un misero “contratto a tempo determinato”.

Di Battista, più furbo di lui, l’aveva capito da tempo e per questo “se l’era data”, tentando in un primo momento di travestirsi da giornalista mandato da Narciso Travaglio in giro per il mondo. Ma poiché anche al “Falso Quotidiano” lo sterco giornalistico non può superare certi limiti, ha poi dovuto inventarsi un’altra millantata attitudine, di cui s’è molto vantato sui social: quella di falegname, che almeno gli ha dato modo di apprezzare la differenza fra le seghe da legno e… le “seghe mentali”.

La seconda ragione è di più alto spessore, diciamo così. In queste ore il “clan dei casaleggesi” e la restante parte dello stato maggiore grillino paiono pervasi da un angoscioso stupore, che si concretizza nella domanda “ma cos’abbiamo noi di meno della Lega?” E hanno ragione. Perché è vero che “l’universo grillino” non è la “copia carbone” di quello leghista e viceversa; ma sono proprio le cose degli uni che mancano agli altri a rendere queste due forze complementari e, in quanto tali, allo stesso modo indispensabili – checché ne pensi qualcuno nel PD – ad un disegno politico che ha già dato avvio al cambio di pelle della nostra democrazia. La quale, insieme ad altre mostruosità, s’è regalata la disumanità del cosiddetto “decreto sicurezza”, che considera reato salvare esseri umani che stanno per annegare in mare.

Ma se tutto questo è vero, allora perché Salvini ha mandato all’aria il governo gialloverde, dando un così gran dispiacere ai suoi servizievoli alleati?

Il motivo è presto detto: ha paura che alla lunga si riduca il tasso di “coglionaggine filo-legaiola” che da mesi sta contagiando una larga fetta di elettori. È una preoccupazione che non gli deriva tanto dal timore di prevedibili sviluppi nella vicenda “rubli da Mosca”, perché al massimo succederebbe come per i 49 milioni di euro rubati dalla Lega agli Italiani: poche righe di cronaca e passa la paura!

No, il suo problema è la necessità di fuggire in tempo per non compromettersi con la legge di bilancio, quando anche il più cocalone degli Italiani prenderà atto che il tanto sproloquiare di flat tax, salario minimo, taglio al cuneo fiscale, non aumento dell’IVA – se necessario “spezzando le reni” all’Europa – altro non era che una presa per i fondelli.

A confortarlo in questo suo azzardo vi è inoltre la convinzione che anche nel caso non gli arrivassero i pieni poteri, troverebbe più di un reggicoda. Innanzi tutto la gracchiante comare Meloni, quella che quando appare in Tv con “due occhi come Bega” a invocare il sovranismo, ti fa pensare ad una cornacchia che si creda un’aquila. Se lei non bastasse, vi è pur sempre la riserva indiana degli ultimi rimasti in Forza Italia, a far da badanti a Berlusconi.

Ecco perché ostenta, o finge di ostentare, una boriosa sicurezza esibendosi in questi giorni sulle spiagge e nelle discoteche di mezza Italia, “panza al sole”, infradito ai piedi e biberone in mano. Il meglio di sé l’ha dato a Milano Marittima, pluri-immortalato alla console del Papeete mentre risuonava l’Inno Nazionale.

E pensare che fino all’altroieri il tricolore non era proprio nelle corde di Salvini. A Radio Padania conduceva la trasmissione “Mai dire Italia”. Nel 2011 dichiarava a “Radio 24”: «Il tricolore non mi rappresenta, non la sento come la mia bandiera». Al suo comizio di Bologna del novembre 2015, in Piazza Maggiore era tutto un cantare: «Bruciamo il tricolore». Due anni dopo scriveva ai sindaci leghisti: «Il 2 giugno tenetevi lontani da qualsiasi celebrazione. Non c’è nulla da festeggiare».

Bisogna però riconoscere che con quella “sbaraccata patriottica” a Milano Marittima Salvini ha reso più accettabile agli occhi dei leghisti il nesso fra il tricolore e il fondo schiena. Perché se Bossi, ai tempi in cui lui era uno dei suoi luogotenenti, tuonava con truce veemenza che «con il tricolore mi ci pulisco il culo», al Papeete Salvini s’è invece limitato a servirsene quale garbata occasione per ammirare le rotondità delle cubiste che sculettavano sulle note dell’Inno di Mameli.

Per finire, riporto il battibecco di ieri al bar, fra una tipa che aveva l’aria di un’aderente al Popolo della Famiglia e il barista: «Comodo per Salvini – diceva la prima – ostentare ringraziamenti alla Vergine Maria per avergli fatto la grazia di convincere i grillini ad approvare il suo “decreto sicurezza” ed esibire la corona del rosario solo quando gli serve, salvo poi lasciarla in un cassetto per andarsi a divertire al mare!”.  Con l’altro che le rispondeva: «Dovrebbe saperlo, cara signora che l’abbigliamento da spiaggia di noi maschietti non prevede quasi mai le tasche. Ma sono sicuro che Salvini, pur di non separarsi da quel simbolo di devozione, se lo tiene negli slip».

Nando Piccari