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Insegnante lavoro a rischio, Daspo per i genitori?


14 Gennaio 2018 / Lia Celi

A leggere le cronache, fare l’insegnante in Italia è diventato un lavoro ad alto rischio, dalla scuola dell’infanzia, in cui assegnare le parti nella recita di Natale è rischioso quasi come fare il giudice in un maxiprocesso antimafia, fino alle superiori, quando a prendere schiaffoni dai genitori per un’insufficienza in pagella non sono gli studenti che l’hanno presa, ma i professori che l’hanno data.

Si avvicina la fine del quadrimestre e chissà quanti docenti si sono iscritti a corsi di difesa personale per uscire incolumi dall’ordalia delle pagelle. Al netto delle differenze di status e di stipendio fra i docenti italiani e i loro colleghi stranieri, la sempre maggiore esposizione della classe insegnante alla violenza da parte degli alunni più turbolenti e soprattutto dei loro genitori è una costante in tutta Europa.

Per dire, nel Regno Unito, dove l’insegnamento è una professione rispettata e discretamente remunerata, si registra una vera e propria fuga dalla cattedra, che il governo May tenta di arginare con incentivi economici e avanzamenti di carriera. Ma niente da fare: molti mollano nel primo anno di insegnamento, o addirittura al termine della formazione. Oltre allo stress della didattica, in mezzo a ragazzi con mille problemi, c’è anche il peso crescente dei compiti burocratici che tolgono, se possibile, anche l’ultima poesia a un mestiere dal quale dipende (vedetela come volete, ma è così) il futuro del consesso civile e, in ultima analisi, dell’umanità.

Negli ultimi giorni ci siamo tutti commossi di fronte alla foto di «Fiocco di Neve», il bambino cinese che ha affrontato una lunga marcia a nove gradi sotto zero per raggiungere la sua scuola lontana: il suo visetto paonazzo è diventato un simbolo della santità tutta laica dell’istruzione, una conquista per cui in Asia e in Africa migliaia e migliaia di bambini e ragazzi, e soprattutto bambine e ragazze, che per studiare sono disposte ogni giorno a percorrere chilometri sotto il sole o al freddo e a sfidare violenze e persecuzioni – ricordiamo le studentesse nigeriane rapite nel 2014 da Boko Haram, il gruppo integralista che ha nel nome l’odio per la scuola (Boko Haram significa “libro vietato”).

Ma per ricordarci la dignità della scuola non serve guardare così lontano: tante maestre elementari della nostra zona vanno a scuola con le polsiere e tornano a casa con segni e lividi in faccia perché hanno a che fare con bimbi che mordono e picchiano. Loro però ci ridono sopra e dicono «non sono cattivi, poverini, è il loro modo per dirti che ti vogliono bene».

Purtroppo non è così per i genitori che se la prendono con gli insegnanti: magari nemmeno loro sono cattivi, ma solo inaspriti dal risentimento e feriti profondamente nell’ego, perché vivono il rimprovero ai figli come un attacco personale, e gli scende la catena. Forse per garantire la sicurezza di maestri e prof bisognerebbe pensare a un Daspo per i genitori intemperanti, come per gli ultrà da stadio.

Lia Celi