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Israeliani e Palestinesi, la tragedia di due popoli vittime della storia

Come sottolineato a suo tempo dall’intellettuale palestinese Edward Said, il conflitto che continua a lacerare l’area mediorientale è doppiamente tragico in quanto contrappone due popoli entrambi vittime della storia, una storia crudele e cinica, tutta di matrice occidentale. Da un lato l’antisemitismo europeo culminato nella catastrofe della Shoah, dall’altro la spartizione neo-coloniale dei territori dell’ex Impero Ottomano voluta da Francia e Inghilterra nelle battute finali del primo conflitto mondiale.

Risale al 1917 la decisione del governo britannico di assicurare una “national home”, ossia un “focolare nazionale” agli ebrei d’Europa soggetti a persecuzioni ricorrenti e a sanguinosi pogrom. Il ministro inglese A. Balfour, ispiratore della proposta, si fa interprete dell’aspirazione a dare vita a uno Stato ebraico, formulata a fine Ottocento da Theodor Herzl, intellettuale ungherese che fonda ufficialmente il sionismo nella temperie antisemita sorta in Francia con il caso Dreyfus.

Il sionismo, movimento nazionalista come tanti allora in Europa, ma con venature socialiste, nella fase iniziale vagheggia per il popolo di Israele una soluzione territoriale in ogni possibile area del mondo, in Palestina, Argentina o addirittura in Uganda.

In realtà gli inglesi – ai quali le Nazioni Unite nel 1920 avevano confermato il governo dell’ex provincia ottomana – prendono la decisione di individuare nella Palestina il territorio idoneo all’insediamento ebraico, senza ricercare il consenso arabo. Lo slogan di offrire “una terra senza popolo a un popolo senza terra” non tiene conto della realtà demografica. Si calcola, con dati riferiti al 1915, che fosse presente nell’area una maggioranza araba di circa 600 mila unità, assieme a circa 80 mila ebrei e a 70 mila cristiani.

Sta di fatto che migliaia di ebrei europei, per i problemi già evidenziati, si sentono incoraggiati a lasciare i paesi d’origine e ad acquistare terre e abitazioni in Palestina. Nel 1931 il numero dei residenti appartenenti a tale religione sale a 175 mila unità, di contro ai 765 mila arabi.

Con l’avvento delle Leggi razziali introdotte da Hitler e dai vari fascismi al potere, fra cui quello italiano, il numero degli ebrei costretti ad abbandonare i loro paesi per il Medio Oriente o le Americhe, aumenta ulteriormente. Continuerà a salire anche in seguito. In particolare, i sopravvissuti all’Olocausto originari dell’Est europeo, alla fine del secondo conflitto mondiale si trovano nella condizione drammatica di chi ha rotto i ponti con il passato. La lacerante perdita dei congiunti e delle relazioni sociali precedenti alla deportazione, le violenze, i tradimenti e il disprezzo subiti, la perdita della casa e dei beni, tutto ciò rende ben difficile, se non impossibile, un ritorno indietro. Coloro che hanno cercato di farlo, tornando alle città e ai paesi nei quali erano vissuti, sono stati malamente accolti, se non respinti o addirittura uccisi.

Ancora una volta, contrasti religiosi e atteggiamenti razzisti che allignano in Europa vengono scaricati sulla sponda mediorientale del Mediterraneo, costretta ad assorbire quote di immigrati difficilmente gestibili in un’area ristretta, in buona parte arida e rocciosa. La convivenza dei due popoli sullo stesso territorio si rivela subito conflittuale, con tensioni tra le due comunità che esplodono in vero e proprio scontro armato quando nel 1948 è proclamato lo Stato di Israele, decisione presa a maggioranza dall’ONU e avversata da tutti i paesi arabi.

Quanto è successo dal 1948 a oggi meriterebbe approfondimenti specifici, anche per i gravi fatti accaduti sia nell’area che nei paesi arabi circostanti. Nel frattempo decine di migliaia di palestinesi avevano dovuto lasciare le loro case ed erano stati costretti a raccogliersi in veri e propri campi profughi. Le poche voci che da una parte e dall’altra predicavano il dialogo e un confronto ragionevole tra i due popoli sono state tacitate e soffocate da prevaricazioni militari e atti di terrorismo.

La stagione degli accordi di Oslo che nel 1993 sanciscono finalmente il riconoscimento reciproco dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina rappresentata da Yassir Arafat, e dello Stato di Israele – rappresentato da Yitzhak Rabin, assassinato di lì a poco da un estremista israeliano – è malauguratamente troppo breve.
Intanto l’esodo verso Israele continua anche per ragioni legate alla nuova situazione geo-politica conseguente al crollo dell’URSS dopo la caduta del muro di Berlino.

Ma è al clima di Oslo che bisogna ritornare se si vuole che ragionevolezza e confronto civile prevalgano sugli isterismi religiosi e sulle pulsioni primordiali. Ѐ inaccettabile veder morire ogni giorno decine e decine di civili fra cui donne e bambini. Per questo sarebbe utile che Israele facesse seguito alle numerose risoluzioni delle Nazioni Unite per la restituzione dei territori occupati dal 1967 in poi, e ponesse fine agli insediamenti da parte dei coloni che hanno fatto della Cisgiordania un’area frantumata e oltremodo sacrificata. Allo stesso tempo Hamas, fino a oggi focolaio di terrorismo, ha il dovere storico di riconoscere lo Stato di Israele come stanno facendo numerosi Paesi arabi, e di rinunciare all’uso indiscriminato della violenza ai danni della popolazione.

Riteniamo che la sconsiderata decisione dell’ex-presidente USA, Donald Trump, di fare di Gerusalemme – città sacra per ebrei, arabi e cristiani – la capitale dello Stato di Israele, abbia accentuato il contrasto fra due popoli che a guardar bene hanno tanti elementi in comune, a partire dalle lontane origini semitiche per giungere ai costumi e alla religione stessa, basata per entrambi sul ‘Libro’ e la fede in un unico Dio. La revoca, da parte della presidenza Biden, della provocatoria decisione del suo predecessore sarebbe una dimostrazione concreta di disponibilità a un confronto costruttivo e all’auspicata pace in Medio Oriente.

Una storia raccolta a Gerusalemme narra che i fondatori delle tre grandi religioni monoteistiche, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, tornano ogni notte dall’al di là e si ritrovano segretamente sulla Spianata delle Moschee per dialogare in pace. Il confronto civile è l’unica strada possibile per la convivenza.

Lidia Maggioli – Antonio Mazzoni

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