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Quelli che… Jannacci già li conosceva


15 Febbraio 2018 / Nando Piccari

Vi ricordate “Quelli che…”, forse la più politica fra le canzoni di Enzo Jannacci? Con dissacrante ironia e spiccato gusto della metafora, quel grande artista vi dipingeva alcune stravaganti tipologie umane destinate a diventare veri e propri fenomeni sociali. Le cronache della scorsa settimana me ne hanno fatto venire in mente alcune.

Quelli che da tre anni fanno un lavoro d’equipe convinti d’essere stati assunti da un’altra ditta, oh yeh!

Chissà a Parigi le risate della Direttrice Generale Audrey Azoulay e dello stato maggiore dell’Unesco se, in assenza di un provvidenziale ravvedimento, arriverà sul serio la richiesta di dichiarare la spiaggia di Riccione “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”.
La Cooperativa Bagnini ci ha tenuto a far sapere che l’idea è partita da lei, dopo «uno scambio di opinioni con l’amico professore Guido Candela», al quale dev’essere successo ciò che capita quando una persona con cui sei in confidenza ti chiede a bruciapelo: “Questo vestito mi dona, vero?” Anche se la fa sembrare un carciofo, non puoi che rispondere: “Ti sta una meraviglia”. Una bugia talmente “di necessità” che, se detta da un cattolico praticante, verrebbe condonata anche dal più intransigente dei confessori, senza nemmeno un “pater, ave e gloria” di penitenza.

Abbiamo poi letto che Sindaca e Giunta hanno aderito alla proposta con entusiasmo, anche se in verità la cosa sembra non sia andata così liscia, per colpa dell’assessora legaiola. Avendo lei la delega alla sicurezza, voleva vederci chiaro su quella dizione sospetta – “patrimonio dell’umanità” – che le sapeva tanto di “buonismo della sinistra”, per cui ha deciso di interpellare tal Marrone, legato legaiolo di tutte le Romagne. Costui, roso dal dubbio che l’Unesco sia una delle fottutissime Ong che corrono a salvare i migranti in mare, anziché lasciarli affogare come meritano, ha chiesto a sua volta lumi a Salvini, il quale l’ha tranquillizzato: “Non preoccuparti, che a Parigi vi ci accompagno io; o l’Unesco vi riconosce quel titolo, o quando sarò capo del governo le farò fare la fine della Fornero”.

Ora, però, sembra profilarsi un altro dibattito culturale all’interno della Giunta riccionese, questa volta ben più acceso e divaricante. L’assessore al turismo ha infatti preteso che la richiesta all’Unesco sia corredata di colonna sonora costituita da una canzone in grado di illustrare al meglio alcuni fondamentali concetti storico-sociali, quali “mare d’estate”, “bagno d’acqua salata”, “abbronzatura in spiaggia”; e di conseguenza, com’era immaginabile, si stanno profilando differenti scuole di pensiero.

La corrente degli “edonisti moderati”, vicini a Forza Italia, vorrebbe poter scegliere o “l’operazione nostalgia” di “Legata a un granello di sabbia”, oppure il tocco di internazionalità dato da “Vamos a la playa”. La componente dei “semi di meloni”, che si rifà a non meglio precisati Fratelli d’Italia, si batte invece per imporre “Sei diventata nera, nera, nera / sei diventata nera come il carbon”.

Ma sono in molti a prevedere che alla fine l’avranno vinta quelli del “pensatoio legaiolo della Perla Verde”, perché se davvero sarà Salvini a guidare la perorazione riccionese all’Unesco, la colonna sonora vorrà deciderla lui. Ed avendo la necessità di dimostrare che i legaioli non odiano più “Roma ladrona” come ai tempi di Bossi, niente di più facile che si porti a Parigi “il coro dei lumbard” ad intonare quell’allegra canzonetta in romanesco dell’indimenticata Gabriella Ferri, che mi pare facesse: «Tutti ar mare, tutti ar mare / a mostrà le facce chiare…». O forse non erano “le facce” ma “le chiappe”? Non me lo ricordo bene, ma in certi casi non fa nessuna differenza.

Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro, oh yeh!

L’ignoranza e la superstizione si accompagnano quasi sempre alla protervia e alla presunzione, ma qualche volta diventano anche fonte di involontaria comicità. È il caso del petulante starnazzio in cui si è prodotta nei giorni scorsi quella congrega di patetici “scienziati fai da te” che ha tacciato di lesa libertà costituzionale l’Amministrazione Comunale di Rimini, per essere tempestivamente intervenuta “a muso duro” nei confronti dell’azienda trasporti, ingiungendole di rimuovere una demenziale pubblicità contro i vaccini, incredibilmente in bella mostra sugli autobus. La comicità sta in quel loro lamento: «Sono mesi che veniamo etichettati come “no-vax” (..) nonostante in ogni nostra azione si parli sempre e solo di libertà di scelta».

Attenzione dunque, loro non sono “no-vax”, sono solo “free-vax”. C’è una bella differenza: mentre il no-vax odia sempre e comunque i vaccini quasi quanto ama Grillo e Di Battista, il free-vax si riserva la “libertà costituzionale” di “fare come gli gira”: un figlio sì e uno no? Il vaccino solo negli anni bisestili? Niente vaccino se quel giorno piove troppo per uscire di casa?

Proviamo a fare il paragone con l’obbligo scolastico. Mentre il no-school giura “mio figlio mai, cascasse il mondo”, il free-school “non si butta via del tutto”, come si dice dalle nostre parti: “Io voglio essere libero di mandare mio figlio a scuola solo se mi va”.

Se poi il free-school decide di non mandarlo e a trent’anni gli rimane così ignorante da sbagliare i congiuntivi ed essere convinto che Santiago sia la capitale della Bolivia, potrà sempre candidarsi a Presidente del Consiglio come Di Maio.

Per essere coerenti fino in fondo, i free-vax dovrebbe far valere la loro “filosofia sciaparlona” anche nei riguardi della patente di guida: l’importante è saper comunque guidare, perché tutto quel trambusto per farsela rilasciare? E se uno prende la patente, chi gli garantisce che non abbia comunque un incidente? Ma poi diciamola tutta: nella Costituzione dove sta scritto che per guidare vi sia l’obbligo della patente?

Comunque la comicità no-vax e free-vax – non fa differenza – raggiungerà il suo culmine venerdì prossimo a Santarcangelo, dove la deputata Paola Taverna, celebre scienziata del “clan dei casaleggesi”, si esibirà sul tema «Salute e vaccinazioni pediatriche».

Vale per la Taverna (nomen omen) quanto il grande Professor Roberto Burioni – spero prima o poi di potergli stringere la mano – ha mandato a dire ad un altro quaraquaquà grullino che l’aveva sfidato ad un confronto pubblico: «Se parliamo di vaccini ci sono due possibilità: lei si prende laurea, specializzazione e dottorato e ci confrontiamo. Oppure – più comodo per lei – io spiego, lei ascolta e alla fine mi ringrazia perché le ho insegnato qualcosa».

Io non ho la scienza né l’eleganza del Prof. Burioni, per cui mi limito ad auspicare che, dopo i “no-vax” e i “free-vax”, arrivino quanto prima anche i “ma-vax”: il diminutivo di “ma-vax-affan…”

Quelli che hanno un sistema per perdere alla roulette, oh yeh!

Scorrendo Chiamamicitta.it di sabato scorso, faceva impressione non tanto la “sovrabbondanza seriale” di articoli riferiti a Giuseppe Chicchi (sei titoli e quattro foto in contemporanea) quanto l’assillante affanno, in essi contenuto, a ripetere una patetica bugiola che tenta di farsi beffe non solo della politica, ma anche della logica e perfino della matematica: “Non è vero che votando LeU si aiutino Salvini, la destra e Di Maio”.

A voler fare della psicologia un tanto al chilo, verrebbe da pensare che l’inconscio di Chicchi sia in queste giornate pervaso da un acuto senso di colpa, per essere lui a Rimini il comandante in capo nella guerra elettorale contro il centrosinistra, arricchita da un supplemento di rancorosità verso il Partito Democratico non suo, ma di molti “leuini” che ce l’hanno quale “marchio d’origine” che viene da lontano, fin dai tempi in cui detestavano il PCI (ovviamente “da sinistra”, ci mancherebbe altro).

So per esperienza che quando certe scelte politiche convinte (e la sua sicuramente lo è), hanno il sapore del dramma, non possono cedere alla “controindicazione” dell’inevitabile sofferenza che le accompagna. Ma per il rispetto e la stima che nel tempo ho imparato ad avere di Chicchi, mi piace pensare che, mentre è impegnato a favorire il miglior risultato possibile della sua lista, una parte di sé stia intimamente sperando di non fare molto male al partito che lui stesso ha contribuito a fondare, né di arrecare troppo dispiacere a grandissima parte di coloro che l’hanno portato ad essere una seconda volta Consigliere e Assessore Regionale, poi Sindaco di Rimini e infine Deputato della Repubblica, sia pure per un tempo innaturalmente breve.

Così come mi piace pensare che se Giuseppe avesse il ruolo nazionale che non ha, troverebbe il modo di lasciare fuori dalla porta la quota di voti a LeU – pochi o molti che siano – provenienti dall’ala delinquenziale dei No-Tav, o dai sodali degli infami vigliacchi che l’altro giorno hanno massacrato quel carabiniere a Piacenza, o dai lugubri idioti che inneggiano alle foibe.

Perché vivendone l’impegno con intensità, Chicchi ha sempre onorato la politica, sia da posizioni di potere che stando all’opposizione; ed anche nel suo “estremismo” degli albori non sono mai mancate lealtà, apertura mentale e spirito di ricerca. Per questo – perdonami Giuseppe – essendo forse io, per alcuni versi, perfino più “eretico” di te, “mi fa specie”, come si dice da noi, vederti dove sei.

Tu non sei come Bersani, che si addomestica la coscienza “raccontandosela” a suon di metafore che capisce solo lui; o “facendosela raccontare” da tristoni tetri e tamugni del rango di Migliavacca e Gotor.

Non sei neppure come Errani, l’adoratore di D’Alema che, pur non avendo la “perfidia politica” del suo idolo (sarebbe umanamente impossibile per chiunque), pende sempre e immancabilmente dalle sue labbra. Ricordo le risate che ci siamo fatti con Cardellini – che pure era amico di Vasco – la volta in cui, avendogli Silvano chiesto in un’intervista se ricordasse un momento particolarmente felice della sua vita, si sentì rispondere che si trattava del giorno in cui D’Alema era stato eletto segretario del partito, che allora era il PDS.

E men che meno sei come Grasso, il “turista per caso” capitato a sinistra, dopo essersi però dimenticato di versare, come tutti i parlamentari del PD, il contributo che si era impegnato a dare al partito che l’aveva portato in Parlamento. E che per questo meriterebbe il titolo di “grillino ad honorem”.

Nando Piccari