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La mano del Brunelleschi a San Giovanni in Marignano?


2 Settembre 2019 / Paolo Zaghini

Giovanni Rimondini: “Castello Mirabilis. Lo splendore dei Malatesta di Pesaro e il grande Rinascimento del Brunelleschi a San Giovanni in Marignano” – Pro Loco San Giovanni in Marignano.

Infiniti Malatesta (come precisa Rimondini, dizione preferibile a quella di Malatesti, anche se questa versione “non è del tutto scorretta per la presenza di una secolare tradizione”). Nel senso che lo studio di questa famiglia riserva sempre scoperte e sorprese. E così è anche per questo nuovo libro di Giovanni Rimondini, classe 1941, insegnante di storia e filosofia in pensione al Liceo Scientifico Serpieri, autore di decine di volumi dedicati alla storia di Rimini (da quelli dedicati all’archeologia romana ai tanti di storia malatestiana sino a quelli sulla società riminese del ‘700, ‘800 e ‘900).

Il libro ricostruisce la biografia di Pandolfo dei Malatesta (1390-1441), arcidiacono di Bologna e poi arcivescovo di Patrasso, ultimo erede del ramo dei Malatesta di Pesaro, e le vicende del castello di San Giovanni in Marignano, attuale Palazzo Corbucci, appartenente a quel ramo della famiglia.

La prima notizia su Pandolfo, in un documento pontificio, l’abbiamo nel 1407, quando all’età di 17 anni viene nominato arcidiacono di Bologna, “una carica importante nel governo ecclesiastico di una diocesi e seconda solo a quella di vescovo, nella città più grande dello Stato pontificio dopo Roma”. Certamente “qualità politiche notevoli le possedeva, visto che si era guadagnato, con tutti gli aiuti del caso, fin dall’adolescenza e giovinezza un posto importante, anzi esclusivo prima a Bologna poi nel concilio e nel conclave di Costanza, e per tutto il pontificato di Martino V aveva saputo godere della benigna attenzione del papa Colonna”.

Pandolfo è una eccezione nella storia della famiglia, perché “il numero dei Malatesta prelati è relativamente esiguo nei due secoli di potere della casa”, e quei pochi “destinati dai padri signori alle carriere ecclesiastiche con la primaria funzione politica di proteggere gli interessi della casa”.

Pandolfo si muove negli anni complicati e turbolenti dello Scisma d’Occidente, intendendosi con ciò la crisi dell’autorità papale che per quasi quarant’anni, dal 1378 al 1417, lacerò la Chiesa occidentale (fino a tre fra papi contemporaneamente) per il controllo del soglio pontificio. L’elezione di Martino V nel 1417, al termine del Concilio di Costanza, rappresentò la definitiva ricomposizione dello Scisma: Roma fu definitivamente ripristinata quale sede naturale della cattedra apostolica e Avignone chiuse la sua esperienza di centro della Cristianità.

Anche il ramo dei Malatesta di Pesaro partecipò attivamente alle fasi convulse del potere temporale in Italia a fine del ‘300, che videro il capofamiglia Carlo con un ruolo da protagonista anche al Concilio di Costanza mentre uno dei pontefici, Gregorio XII, a Rimini firmò la sua rinuncia: l’ultima abdicazione dal soglio di Pietro fino a quella di papa Ratzinger.

Ma negli “ultimi anni di vita dell’arcivescovo Pandolfo i sempre più convulsi movimenti della politica italiana e locale marchigiana-romagnola sono dominati da nuove figure. Sempre più invadente è il ‘cugino non germano’ signore di Rimini”, ovvero Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468)”.

L’ultimo periodo della vita di Pandolfo è decisamente sfortunato e si consuma a Pesaro nei problemi e in povertà, cioè senza benefici ecclesiastici che un papa ‘nemico’ gli aveva negato”. L’arcivescovo di Patrasso “non vide la fine del governo della sua famiglia su Pesaro che si sarebbe concretizzata nel 1444-1445, ma certamente doveva averla prevista. Non c’erano eredi maschi legittimi”. Pandolfo morì nel 1441 a 51 anni.

Nel 1438 la parabola di Sigismondo Pandolfo Malatesta era in ascesa, alleato di papa Eugenio IV, comandante militare di Francesco Sforza, l’uomo forte del momento. “Il signore di Rimini non faceva mistero di volere Pesaro e Fossombrone”, togliendole a Pandolfo, l’ultimo dei Malatesta di Pesaro. Ma, all’ultimo momento nel 1445, per intervento di Federico da Montefeltro, il nuovo conte di Urbino, grande nemico dei Malatesta, Pesaro fu venduta da Galeazzo Malatesta (1385-1461), fratello di Pandolfo e detto qualche ragione “l’inetto”, ad Alessandro Sforza, fratello di Francesco.

I papi Pio II e Alessandro VI tra ‘400 ed inizio ‘500 contribuirono a distruggere tutti i rami della famiglia Malatesta. Commenta Rimondini: “la distruzione dei Malatesta fu un errore politico; ai pontefici in quel momento conveniva mantenere al potere i signori di Rimini e di una buona parte della Romagna e delle Marche. L’astio personale di Pio II contro Sigismondo Pandolfo gli fece trascurare la necessità, per mantenere l’integrità dello stato pontificio, di non eliminare il consistente e ben organizzato dominio di Sigismondo Pandolfo Malatesta, la cui ‘disfazione’ avrebbe aperto in Romagna e nelle Marche un pericoloso vuoto di potere”.

Le vicende del castello di San Giovanni in Marignano rientrano in queste complesse vicende politico e militari. Costruito alla fine del ‘200, quando i monaci ravennati erano i proprietari del territorio, fu ammodernato dai Malatesta fra il 1438 e il 1442. Sottoposero il castello a quel “processo di rinnovamento detto da noi la Transizione – passaggio dal castello da forme medievali a forme moderne di fortificazione”. Del resto la società italiana del ‘400 era fondamentalmente una società della guerra, e il territorio fra Romagna e Marche era zona di passaggio e di scontro fra eserciti vari con la stessa San Giovanni a vedersela brutta.

E’ proprio negli anni in cui “si costruiscono le fortificazioni del nostro castello che tutta l’area della valle del Conca, del Ventena e del Tavollo diventa un confine stabile attorniato dagli stati di nemici sforzeschi e feretrani aggressivi. Ci si poteva quindi aspettare una ripresa delle cavalcate e il passaggio di eserciti consistenti; bisognava anzitutto avere un rifugio sicuro per i contadini. Ma le fortificazioni di San Giovanni in Marignano sono qualcosa di più di un semplice ‘ricetto’ per salvare persone e bestie, sono un presidio fortificato alla moderna, il più importante per tutta l’area terminale del Conca, in grado di fermare un esercito di media consistenza”.

Rimondini porta poi le prove della presenza del grande architetto toscano, Filippo Brunelleschi (1377-1442), a San Giovanni il 4 e 5 settembre 1438 in occasione della sua permanenza a Rimini dal 28 agosto al 19 novembre 1438, ospite di Sigismondo Pandolfo Malatesta. E si domanda anche se in quella occasione, con Lui, non ci fosse anche Leon Battista Alberti (1404-1472). “Chissà, forse il Brunelleschi e l’Alberti hanno disegnato qualche schizzo sul verso di una pergamena adatta al bisogno. Bastava in’idea abbozzata e i capimastro intelligenti avrebbero capito”.

Un libro scritto per schede a cui i lettori possono attingere le informazioni a loro utili. Non semplice, sicuramente molte parti per addetti ai lavori, come quando Rimondini discute di modalità costruttive, tipo “promurale, detto anche antemurale, barbacane, contrascarpa, falsabraga”. Ma certamente un nuovo tassello per la conoscenza dei fatti e dei personaggi della famiglia Malatesta, ramo di Rimini e ramo di Pesaro.

L’Assessore al Turismo del Comune di San Giovanni in Marignano Nicola Gabellini ha scritto nella sua presentazione: l’obiettivo “era quello di valorizzare al massimo la ricchezza storiografica della capitale malatestiana. Volontà concretizzatasi grazie al progetto ‘Rocche e castelli tra Malatesta e Montefeltro’, messo a punto dagli Assessorati al Turismo dei Comuni di San Giovanni in Marignano, Verucchio, San Leo e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna che ha reso possibile, grazie al lavoro svolto dallo storico Giovanni Rimondini, in collaborazione con la Pro Loco marignanese, la formulazione di una nuova chiave di lettura sulla storia di San Giovanni in Marignano in epoca malatestiana”.

Paolo Zaghini