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La pizza ideale del Ku-Klux-Klan di Montescudo


17 Marzo 2019 / Lia Celi

Io ci ho provato a prenotare alla locanda Malatesta di Montescudo, ma l’app mi diceva “tavoli esauriti”. Mai sono stata così soddisfatta di non trovare posto, visto che si tratta del ristorante balzato agli onori della cronaca nazionale per un episodio di antirazzismo – e questo è il lato triste della faccenda: ormai fa notizia il datore di lavoro che difende il dipendente non caucasico, mentre quello che discrimina, magari con la scusa di “non urtare certa clientela” invece è diventato ordinaria amministrazione (quando invece sarebbe pure reato).

Com’è noto, Riccardo Lanzafame, patron della trattoria sulle colline riminesi, ha visto un calo delle presenze e vari annullamenti di prenotazioni dopo che un compaesano lo aveva attaccato su Facebook per aver assunto un ragazzo originario del Gambia, prima in qualità di tuttofare e poi di pizzaiolo.

E ha risposto appendendo all’ingresso un cartello in cui ingiungeva ai razzisti di girare al largo, mossa che, grazie anche all’eco sui social, gli ha attirato su scala nazionale molte più simpatie di quanti nemici gli aveva procurato la sua indifferenza alle paturnie dei patàca col vizietto dell’apartheid.

Gente che ci vorrebbe riportare al 1938, quando perfino Faccetta nera venne censurata perché non abbastanza razzista (“bella abissina, sarai camicia nera pure tu, noi marceremo insieme a te”, ecc.): non era solo questione di gerarchia fra le razze, ma di vera e propria paranoia della «contaminazione». Mettere a posto questi ignoranti scalmanati, anche solo con un avviso scritto a penna, nell’Italia di oggi è un atto fuori dall’ordinario, degno di essere raccontato e commentato, quando nel resto del mondo civile, dove il monocolore bianco in tutti gli strati della società è finito almeno da trent’anni, gli «strani» sarebbero quelli che dànno noia a Lanzafame e al suo impiegato.

E sarebbero patetici, se non diventassero socialmente pericolosissimi, quelli che parlano di «supremazia bianca in pericolo», perfino in paesi dove gli europei hanno compiuto, loro sì, una vera e propria sostituzione etnica. Come l’australiano Brenton Tarrant, lo stragista di Christchurch: in Australia e in Nuova Zelanda, le popolazioni autoctone sono state decimate e conculcate dai bianchi, per di più con varie pendenze con la giustizia.

Il Ku-Klux-Klan di Montescudo, che probabilmente teme un complotto di Soros per sostituire i pizzaioli ariani, sicuramente ignora che la pizza stessa è un capolavoro di commistione globalista: il frumento è un cereale che viene dalla Mesopotamia, il pomodoro è sudamericano, i bovini da cui si ricava il latte per le mozzarelle sono stati originariamente domesticati in Iran, il basilico è indiano e perfino il lievito l’hanno inventato gli Egizi. Per chi vuole pasteggiare all’insegna dell’assoluta purezza etnica c’è una sola possibilità: restare a casa a mangiarsi il fegato.

Lia Celi